The Irishman

È di nuovo il fascino del racconto a posteriori, cioè tutto in flashback, di un anziano sopravvissuto a permettere a Scorsese di filmare un'altra grande, densa e potente pellicola. Un'epopea gangster meditativa, interessante e fluviale nel suo ritmo lento e mnemonico, magniloquente e malinconico nei suoi toni da tragedia greca; dove l'intreccio e lo scorrere del tempo sembrano fondersi in un unicum difficilmente ripetibile (si tocca almeno 50 anni di storia Americana nella solida e stratificata sceneggiatura di Steven Zaillian tratta dal libro di Charles Brandt 'I Heard You Paint Houses'). Al di là della dimensione epica del dramma, però, al centro di tutto e a fare la forza di quest'opera, c'è un'avvolgente atmosfera funerea, intimista ed elegiaca, un intenso senso di sconfitta e rimpianto, e soprattutto ci sono i rapporti emotivi e psicologici tra Sheeran, Bufalino e Hoffa, l'ambiente malavitoso in cui vivono, e la Storia che andranno ad influenzare. Superlativi De Niro e Al Pacino, ma ancora più sublime di loro Joe Pesci in versione minimalista e raggelante. La classe della regia di Scorsese e quella del montaggio della fedele Thelma Schoonmaker impreziosiscono tutto il film. L'accurata e notevole messinscena e l'elegante, raffinato apparato visivo-sonoro, lo elevano al rango di capolavoro. 'The Irishman' è il monumentale tramonto di un'epoca e di un modo di fare grande cinema. Una lunga parabola di rimorso e solitudine che lascia aperto almeno uno spiraglio finale sulla comprensione o sulla redenzione. Quella più umana (o divina) che ci sia... Assolutamente imperdibile.