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Altra storia tipicamente americana, tratta da fatti realmente accaduti, e altro eroe quasi per caso. Siamo più o meno sulla falsariga di Sully, anche qui abbiamo un anonimo personaggio che diventa improvvisamente famoso, ma in breve tempo passa dalle stelle alle stalle, per poi lentamente risorgere, ma solo dopo aver toccato il fondo, quasi solo contro tutti, salvo il prezioso aiuto di poche persone che credono in lui, più per una questione di istinto che di pura razionalità. Nel bel mezzo assistiamo al solito ambaradan costituito da inquirenti ottusi, media senza scrupoli, popolo credulone, violazione di diritti e della privacy, sconvolgimento e sconquassamento della vita di persone innocenti, dei loro legami familiari e delle loro relazioni sociali. Sì, insomma più o meno il solito minestrone già visto e ampiamente previsto.
Eppure… eppure succede qualcosa nel buio della sala cinematografica, perché per più di due ore scorrono immagini che non ti annoiano neanche per un secondo, si seguono le vicissitudini di questo Richard Jewell, personaggio sovrappeso e tondeggiante, caratterizzato fin da subito nella sua semplicità e nell’eccesivo zelo (che sarà fonte di guai) con cui svolge il suo lavoro. Bastano infatti poche scene iniziali e qualche efficace scambio di battute e il personaggio è già bello costruito, assolutamente credibile e perfettamente funzionale allo svolgimento del film. Nello stesso modo sono magistralmente introdotti anche tutti gli altri personaggi della storia, sono sufficienti poche inquadrature, l’ambientazione, qualche cenno, uno sguardo e sapremo già di loro tutto quello che poi servirà per il proseguo.
Bè certo, sono tutti attori bravissimi, a partire dal pacioccoso protagonista, passando per un Sam Rockwell in grande spolvero e una sempre più incredibile Katy Bathes, che interpreta un personaggio materno così ricco di umanità e sensibilità, fino ad arrivare alla cinica giornalista impersonata da Olivia Wilde. Per non parlare poi dei personaggi minori, la segretaria di Rockwell, l’agente dell’FBI, l’amico cacciatore di Richard, via via fino all’ultimo dei figuranti, tutti quanti regalano performance di qualità.
Ma è sufficiente avere un buon cast per ottenere un buon risultato? No. E allora qual è il segreto che fa funzionare tutto?
Io non so come abbia fatto, se abbia imparato la lezione dai grandi (Leone, Siegel), se sia una questione di istinto, se sia una sua dote naturale, se sia un miscuglio di tutto questo oppure sia solo mestiere, ma so che in tutti i suoi film (anche quelli meno riusciti) scatta sempre un meccanismo che ti lascia incollato alla poltrona e ti fa immergere nella storia che scorre sullo schermo. E’ come se avesse trovato una formula magica che gli permette di mettere in scena le vicende che più lo appassionano e rendervi tutti quanti partecipi. Una formula che può ripetere all’infinito e che sembra funzionare sempre. Anche e soprattutto stavolta.
Questo è un film di Clint Eastwood (“The Name Above the Title”), non c’è bisogno di aggiungere altro.
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