Clint torna ancora al cinema (questa volta solo in veste di regista) ed è meraviglioso. Il suo nuovo film, Richard Jewell, rappresenta il sottile fil-rouge dei personaggi sinora tratteggiati con maestria dal regista/attore che negli anni ha dovuto lottare per elevarsi da un’identità ancora cucita di “pistolero reazionario”.
Nulla di più sbagliato perché nel corso della sua lunga carriera, Eastwood ha saputo trar spunto da storie vere e biograficamente attendibili per delineare il destino e le scelte di personaggi carismatici, controversi, contradditori. Come dimenticare J Edgar il capo dell’FBI, Bird, il jazzista Charlie Parker o Chris Kyle il cecchino americano di American Sniper? E ancora: Walt Kowalski di Gran Torino, i tre amici del Midwest Spencer, Anthony e Alex che sventarono un attentato a un treno europeo, Earl Stone, l’orticultore e veterano della Corea diventato efficacissimo corriere della droga (The mule) e soprattutto Sully, Chesley Sullenberger, il pilota che salvò la vita all’intero equipaggio ammarando nell’Hudson ma finendo coinvolto in un’inchiesta sul delicato dilemma del “fattore umano”?
Dalla gloria all’esposizione mediatica, alla gogna e alla difficile quanto ottusa preponderanza dell’ordine precostituito, delle forze di polizia e del “quarto potere” nonché dell’opinione pubblica, ecco il grande tema di riflessione di Richard Jewell.
Il film è incentrato appunto sulla figura dell’omonima guardia giurata quarantenne (morta d’infarto nel 2007) bamboccione sovrappeso dotato di pedante zelo ma grande capacità di osservazione che durante le Olimpiadi di Atlanta del 1996, scoprì uno zaino bomba in un frequentatissimo parco di Atlanta pieno di persone per un concerto, riuscendo a evitare una strage ben peggiore di quella occorsa ma finendo per essere accusato di essere il responsabile dell’attentato.
Il volto è quello di Paul Walter Hauser (bravissimo) capace di calarsi con maestria nei panni del timido nonché solingo Richard che, come ogni piccolo “inetto”, Svevo dixit, sogna un futuro diverso dalla sua frustrante alienazione quotidiana (il suo ruolo è quello inizialmente di rifornire con prodotti di cancelleria una ditta dove conoscerà proprio il suo “deus ex machina”, Watson Bryant, un avvocato di dubbia fama ma dal cuore grande interpretato da un convincente Sam Rockwell). Licenziato a causa di un eccesso di zelo sia nella ditta che presso un’università dove operava come tutore della sicurezza ed era immancabilmente sbeffeggiato nell’esercizio delle sue mansioni da alcuni giovani matricole, trova l’aspirazione della sua vita nel lavoro di guardia giurata di presidio all’Olympic Centennial Park di Atlanta. La sua indole di novello sceriffo di una cittadina di provincia, alle prese con scherzi perpetrati da adolescenti e il classico scherno (per la sua pignoleria osservativa), trova il redde rationem nello zaino pieno di bombe. E salva o comunque evita un massacro, ridottosi a due morti e un centinaio di feriti.
Richard diventa eroe. Tutti ne parlano, la madre Bobo (Kathy Bates) ne è orgogliosa. Richard assapora quanto la vita gli ha sempre negato, ovvero la gloria, la mondanità specchiata nella proposta addirittura di scrivere un libro (chiaramente composto dal solito ghost-writer) assolvendo al mestiere che ha sempre desiderato sin da bambino ovvero essere un “uomo di legge”.
Si sa tuttavia che la fama è effimera e che come una freccia dall’alto scocca, vola veloce di bocca in bocca. Anche di quelle più infamanti. Infatti, il quarto potere, il quotidiano locale Atlanta Journal-Constitution, trova nella figura dell’eroe il principale sospettato suffragato da fonti e indagini interne dell’FBI, proprio quell’ente governativo così adorato da Richard.
Sarà solo l’inizio di un incubo in cui le vicende giudiziarie e i confronti privati con la madre sempre più esasperata ma mai arrendevole, vedranno il protagonista coinvolto in un’ingiustizia profonda di fondo, in un processo sommario, schernito da avvoltoi della stampa e poliziotti federali (bersagli del potere preferiti di Eastwood), incarnati dalla femme fatale Kathy Scruggs (Olivia Wilde) e dalla glaciale interpretazione di Tom Swaw (Jon Hamm), l’agente che conduce le indagini.
Richard, tuttavia, con quell’aria mite e quel comportamento posato, risponde sempre con pacatezza come Giobbe, con un comportamento che lo rende quasi “falso e contraddittorio” agli occhi della stessa opinione pubblica e del suo avvocato. Ma Richard non è falso, no. E’ semplicemente fiducioso. E’ arrabbiato dentro, malgrado la sua indole bonaria e remissiva; malgrado la “fissazione” per l’ordine, per le armi (unico punto comico in cui si riesce a sorridere a denti stretti), per la pignoleria, per l’osservazione della legge. In lui si nasconde il germe della delusione ma nutre accanto a questo sentimento la remota quanto indubbia speranza nell’operato dell’FBI, tale da giustificar dinanzi alla madre quella violazione necessaria della privacy con il sequestro dei beni (persino dell’intimo della donna) e l’umiliazione del suo buon nome. Richard subisce tutto, persino la perdita della dignità con il muto rispetto che quelle indagini siano necessarie e fondamentali per provare la sua innocenza nonostante le indicazioni dello stesso avvocato: sarai fritto se continui a comportarti come uno zerbino, paiono trovare in lui un mite cenno d’assenso. Ma è solo facciata. Perché alla fine Richard saprà dar risposta a tutti con stile e orgoglio.
Eastwood in due ore e dieci ci fa sprofondare nei sogni di un popolo americano pronto a votare al cinismo, a innalzare su un piedistallo un uomo come eroe e ancor più velocemente a desiderarlo morto. Non risparmia nulla: dai presunti scoop investigativi mossi da reporter, spesso incapaci e senza titoli ma sufficientemente avvenenti da ottenere la posizione che ricoprono, subdoli al punto da essere capaci di doppi-giochi e sobillazioni, persino prostituirsi, pur di assicurarsi esclusive di prima pagina, ai processi sommari a cui sono necessarie spiegazioni e spiegazioni per trovar il punto debole di un castello di carte di sospetti semplicemente incoerenti. Non importa. Basta che parli. Basta che si difenda perché come si sa, difendersi è sempre ammettere la sconfitta di questi tempi. Chi perde spiega. E Richard spiegherà tanto sempre e comunque in confronti serrati da risultare falso e contraddittorio proprio perché vero.
C’è un po’ di Pirandello in Richard Jewell: l’unico mezzo per affermare la realtà dei fatti è negarla, dire il falso in un’attualità disarmante. Il tema della libertà di stampa collusa, delle indagini pilotate e della violazione dell’identità umana sono analizzati con cura e con giusto rigore dal regista. Ma c’è, sembra dirci Eastwood, soprattutto un sentimento del tempo vecchio quanto il mondo ma attuale capace di regnare incontrastato come germe in un mondo fatto di pupazzi, marionette e tanta, tanta maschera di cinica virtute: l’imbroglio. E l’unico antidoto con cui fronteggiarlo sembra essere il coraggio di non arrendersi mai, sempre e comunque.
Da vedere.
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