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Ken Loach, una commedia umana

di Fabio Ferzetti L'Espresso

Ricky il rosso, rosso di capelli e forse di rabbia, ha un lavoro sfibrante, una moglie che è poco meno che un angelo, una figlia 11enne rossa come lui ma angelica come la madre, un primogenito adolescente che sfoga la sua smania di crescere in provocazioni familiari alzo zero o in raid con la sua gang di writers sui muri di Newcastle. Ricky, Abby, Seb e Liza sono così ben scritti e interpretati (da non professionisti naturalmente) che meriterebbero ognuno un film. Ma Ken Loach guarda alla società, non agli individui. I suoi film misurano cosa succede a un gruppo di persone in certe condizioni. E le condizioni qui si chiamano "gig economy", quella in cui inciampa Ricky quando per uscire da una lunga disoccupazione si mette a fare il corriere con un furgone noleggiato alla ditta per cui lavora senza essere assunto, come si usa oggi («qui non lavori per noi, lavori con noi», lo blandisce il capo). Sulla carta è una promessa di autonomia e di futuri guadagni. In pratica è un inferno senza orari né diritti, con una bottiglietta per orinare alla guida e una scatola nera sempre accesa che registra percorsi, pause e consegne (diabolica e costosa: se si rompe le spese le paga lui). Nel film però non c' è solo Ricky, stakanovista ignaro e rassegnato. Ci sono le riconoscenti vecchie signore che Abby assiste a domicilio correndo in giro per la città ma trattando ognuna di loro «come se fosse mia madre». Ci sono le bravate di Seb, che sublima la sua rabbia di escluso in talento artistico, ma tira troppo la corda. Ci sono i clienti di Ricky, un colorito campionario umano trattato anche in chiave di commedia. C' è insomma tutta la nostra epoca, tratteggiata a meraviglia anche se la città la vediamo solo dal finestrino, perché in questo film in cui nessuno ha mai tempo per nessuno, e il lavoro rischia di disintegrare la famiglia, Loach ha sempre tempo e attenzione per tutto. Per i rami scossi dal vento là fuori, per quelle casette a schiera che evocano lotte e conquiste lontane, per quei passanti appena intravisti che illuminano con finezza orientale un sentimento insieme acuto e sfuggente del mondo. Qualcuno rimprovera a Loach e al suo sceneggiatore Paul Laverty di "usare" i loro personaggi a servizio di una tesi. In realtà è difficile oggi trovare personaggi più pieni di vita e di sottintesi di questi. La tesi a volte è nell' occhio di chi guarda. In sala dal 2 gennaio.
Da L'Espresso, 29 dicembre 2019


di Fabio Ferzetti, 29 dicembre 2019

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