Liberamente tratto dal romanzo di Jack London del 1909, ne rimarca i tratti salienti del libro, ambientandolo in una Italia partenopea.
Il modello registico sviluppa tecniche diversificate: una prima parte intervallata da immagini di repertorio (artefatte o reali?), che indugiano su una ricercata necessità di neorealismo documentaristico per immagini (alquanto didascalico ad onor del vero), narrazione cinematografica classica, dove primeggia un Marinelli (oramai maestro dialettale), primi piani su sfondo neutro con monologhi esplicativi più o meno riusciti.
Nella seconda parte abbiamo il piacere di rivedere un Carlo Cecchi folgorante che sembra riproporci un gigionismo, che sembra venire direttamente, dopo anni da " Morte di un Matematico Napoletano".
Opera che divide questo "Martin Eden" italiota, che comunque resta importante nel panorama asfittico del cinema italiano pre e post covid 19. Forse non volendolo consciamente, il film s inserisce di diritto nel classico genere storico sociale italiano ( quelli che ci facevano vedere a scuola una volta: Rosi e Vancini docet!).
Il potenziale della lotta sociale e della rivalsa, tramite la cultura, è ben narrato e partecipato, anche se l ultima parte del film è la più debole, dove il tormento dello scrittore di successo viene sviscerato per quadri che non hanno troppa resa: il duello, la conferenza all' università, il nuotare finale verso il tramonto.
Film affascinante che ha il coraggio di misurarsi con il Mito (Jack London), senza rincorrere la retorica narrativa della materia, ma cercando una via personale che porti l individualismo (il film stesso) all' interno di un contesto sociale (La sala cinematografica e i festival) per ottenere il riscontro desiderato.
Ma il successo sarà sempre effimero, senza L' amore
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