ghisi grütter
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domenica 2 febbraio 2020
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brava e dannata
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Il film narra l’ultimo periodo della vita cantante e showgirl Judy Garland, passato in preda alla dipendenza dall’alcol e dai farmaci. È basato sul dramma teatrale End of the Rainbow di Peter Quilter, del 2005. Per ottenere la custodia dei due figli più piccoli Judy avendo bisogno di molti soldi per potersi comprare una casa e permettersi bravi avvocati, accetta di fare una lunga tournée a Londra, dov’era molto amata: una serie di spettacoli nel corso di sei settimane al The Talk of the Town.
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Il film narra l’ultimo periodo della vita cantante e showgirl Judy Garland, passato in preda alla dipendenza dall’alcol e dai farmaci. È basato sul dramma teatrale End of the Rainbow di Peter Quilter, del 2005. Per ottenere la custodia dei due figli più piccoli Judy avendo bisogno di molti soldi per potersi comprare una casa e permettersi bravi avvocati, accetta di fare una lunga tournée a Londra, dov’era molto amata: una serie di spettacoli nel corso di sei settimane al The Talk of the Town.Uno degli obiettivi del film, infatti, è mostrare la diva come una madre single lavoratrice che lotta per avere il tempo e i soldi per stare con i figli.
Ma il suo è un “mal di vivere” che trova le matrici nell’infanzia e, come narra il regista, nelle sue carenze affettive e nel duro addestramento che la cantante ha subìto da ragazzina per riuscire a sfondare nel mondo dello spettacolo. Il film, infatti, in alcuni flash back mostra come la cantante sia stata spinta da Louis B. Mayers della MGM, per potenziare le sue prestazioni, ad assumere consistenti dosi di farmaci, dai quali rimarrà dipendente per tutta la vita.
Judy Garland era nata nel 1922 come Frances Ethel Gumm nella contea di Itasca in Minnesota, ultima di tre sorelle. Era figlia d’arte, infatti entrambi genitori erano attori di vaudeville (il padre era un tenore e la madre una pianista) e con loro aveva debuttato piccolissima (a due anni e mezzo) sul palcoscenico insieme alle sorelle Mary Jane e Dorothy Virginia. A soli 17 anni aveva interpretato il film “Il mago di Oz” che la rese celebre.
Cinque sono stati i suoi mariti: il musicista David Rose che lascerà presto per sposare il regista Vincente Minnelli, da cui nel 1946 avrà Liza, che seguirà le sue orme. Si sposerà poi con Sidney Luft, da cui avrà due figli Lorna e Joey, con cui avrà un rapporto burrascoso.
Il film “Judy” è ambientato prevalentemente a Londra nel dicembre 1968, quando le performances della Garland si alternavano tra alti e bassi, e tra un successo e l’altro la cantante aveva delle terribili cadute presentandosi sempre in ritardo in scena e talvolta completamente ubriaca. La cantante sarà raggiunta dal suo amico Mickey Deans, musicista e imprenditore, la cui presenza sembra avere su di lei un impatto positivo. Lei lo sposerà durante la tournée londinese, ma alle prime difficoltà la sua fragilità la riporterà a drogarsi. In una scena Judy viene visitata da un medico che le chiede: “Prende qualcosa per la depressione?” e lei risponde “Quattro mariti. Le sembra stia funzionando?” R
upert Goold, attivo soprattutto in ambito teatrale, traccia un quadro preciso di questa donna talentuosa ma sofferente, mostra la sua paura di fallire e di essere dimenticata, il suo bisogno di amore e di accettazione e la sua dipendenza anche dal palcoscenico. Oltre a ciò la sua voglia di essere una donna “normale” che vive e cresce i suoi figli amata come donna e come madre e non solo come artista. Anche se il film non lo mostra, Mickey Deans la troverà morta a casa sua a Londra, a quarantasette anni, dopo aver ingerito accidentalmente una dose eccessiva di farmaci. Il film è abbastanza convenzionale e non aggiunge conoscenza sul mondo dello spettacolo talvolta spietato. “Judy” è forse un po' troppo teatrale, ma ha in Renée Zellweger una grande interprete che si trasforma completamente in Judy, cantando perfino al suo posto come lei. Per questa sua interpretazione ha già vinto il Golden Globe 2010 ed è candidata al prossimo Oscar.
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(di antonio montefalcone)
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samanta
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mercoledì 12 febbraio 2020
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una grande interpretazione in un fil mediocre
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Il film non vuole raccontare la vita di Judy Garland, ma un momento della sua vita nel 1968, l'anno prima della sua morte, quando andò a Londra per 5 settimane a cantare, ben pagata per rimediare una difficile situazione finanziaria. Il film che ha avuto uno scarso successo commerciale (ha incassato circa 40 milioni di $ in tutto il mondo), è mal congegnato e anche diretto con scarsa fantasia (il regista è l'inglese Rupert Gould al suo secondo film in 4 anni), nel senso che oltre a descrivere con lungaggini il periodo di Londra per far comprendere il personaggio che abusava di alcool e di farmaci (barbiturici, ansiolitici) con alcuni flashback fa vedere la giovane Judy vessata dalla M.
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Il film non vuole raccontare la vita di Judy Garland, ma un momento della sua vita nel 1968, l'anno prima della sua morte, quando andò a Londra per 5 settimane a cantare, ben pagata per rimediare una difficile situazione finanziaria. Il film che ha avuto uno scarso successo commerciale (ha incassato circa 40 milioni di $ in tutto il mondo), è mal congegnato e anche diretto con scarsa fantasia (il regista è l'inglese Rupert Gould al suo secondo film in 4 anni), nel senso che oltre a descrivere con lungaggini il periodo di Londra per far comprendere il personaggio che abusava di alcool e di farmaci (barbiturici, ansiolitici) con alcuni flashback fa vedere la giovane Judy vessata dalla M.G.M. per l'interpretazione di Dorothy ne Il Mago di Oz e in particolare dal boss della casa produttrice Louis Meyer con diete ferree perché era grassottella (la mayor aveva dovuto rinunciare a Shirley Temple e a Deanna Durbin), imbottita di pillole per dimagrire e sonniferi per dormire, accettata solo per la sua voce meravigliosa.
Però questo è solo l'inizio della sua nevrosi nel film non viene raccontato anche solo con qualche flashback alcuni momenti importanti: l'insucesso del film Il Pirata di Minnelli, dopo vari successi, che la portò a tentare il suicidio (fatto che si ripetè), almeno poteva raccontare il mancato Oscar per E' nata una stella, premio ultra meritato che le venne scippato da Grace Kelly, interpretazione che a detta unanime dei critici è considerata una delle migliori performance del cinema, successivamente anche se prese una nomination per Vincitori e Vinti, nel 1963 abbandonò il cinema per dedicarsi solo al canto. Peraltro il regista scegliendo un attrice di 50 anni come Renèe Zellweger (al suo secondo Oscar dopo quello come attrice n.p. Ritorno a Cold Mountain) non poteva utilizzarla quando aveva 30 anni, per i flashback invece ha scelto una attrice giovanissima ( Darci Shaw)
Il periodo a Londra è descritto in modo prolisso, in omaggio al politically correct si cerca di introdurre il tema omosessuale con la gag di 2 ammiratori gay con cui esce una sera facendo uno sproloquio sulla diversità. Judy era una donna sessualmente vorace: 5 mariti, molte relazioni (Glenn Ford, Orson Welles, Tyrone Power) ed è vero che era considerata un'icona gay ma per il suo carattere battagliero, ma quando un giornalista nel 1965 a San Francisco le chiese il motivo di questo, rispose brutalmente "I couldn't care less" (non me ne può fregare di meno!). Il film per rimpolpare la trama si dilunga sul suo affetto per i 2 bambini che aveva, che però nella realta erano più grandi: Joey 14 anni e Lorna 16. Il finale appare penosamente sdolcinato descrivendo lei nell'ultimo concerto imbottita di alcool e di farmaci che s'interrompe mentre canta Over the Raimbow e il pubblico si alza in piedi e prosegue la canzone. Grande invece è la recitazione di Renèe Zellweger che è riuscita, anche truccandosi perfettamente, a somigliare a Judy nelle espressioni esprimendo con efficacia una donna sola tormentata dall'ansia e dalla depressione spesso ubriaca, con un passato di successi favolosi, un presente incerto ed un futuro avverso.
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loland10
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martedì 4 febbraio 2020
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voce e silenzio
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“Judy” (id., 2019) è il secondo lungometraggio del regista e direttore artistico inglese Rupert Goold.
‘Non vogliono i diversi che vadano al diavolo!’
Judy si sente esclusa e confinata ospite dopo lo show di due suoi grandi fan. Una conoscenza superficiale diventa un oltre il cinema e le loro vite. Anche i due amici sono fuori dalla società del tempo. Un abbandono a se stessi. Una diva all’epilogo e non riconosciuta in patria e due omosessuali aassionati di musica che conoscono (più di altri) l’animo della grande voce di Judy. Una festa il loro incontro. Commozione sincera.
La vita ultima e gli epiloghi amari della diva e cantante Judy Garland.
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“Judy” (id., 2019) è il secondo lungometraggio del regista e direttore artistico inglese Rupert Goold.
‘Non vogliono i diversi che vadano al diavolo!’
Judy si sente esclusa e confinata ospite dopo lo show di due suoi grandi fan. Una conoscenza superficiale diventa un oltre il cinema e le loro vite. Anche i due amici sono fuori dalla società del tempo. Un abbandono a se stessi. Una diva all’epilogo e non riconosciuta in patria e due omosessuali aassionati di musica che conoscono (più di altri) l’animo della grande voce di Judy. Una festa il loro incontro. Commozione sincera.
La vita ultima e gli epiloghi amari della diva e cantante Judy Garland. Una tournée londinese nel 1968 per non finire completamente nell’oblio. Una serie di concerti per fare dei soldi, togliere i debiti e mantenere i suoi due figli. Quattro mariti e ne arriverà un altro. Litigi e errori, incontri e scontri, antidepressivi e pasticche, pianti e divismo.
Il film è un avanti e indietro tra la grande star de ‘Il mondo di Oz’ (appena diciassettenne già una vera icona) e altri set con il mondo da mamma in crisi squattrinata e abbandonata da tutti.
L’Europa riconosce la sua grandezza come cantante e la sua voce incantevole sa di tritatutto tra il successo, l’instabilità e il vuoto dentro; ma oramai il suo mondo mangia ogni suo canto. Una vocalità dimenticata tra i teatri di Londra e lontana dalla giusta dimensione a Hollywood. Finisce per rovinarsi da sola circondata da persone poco attente a lei ma a ben altro. Judy si ritrova divorata da se stessa, usata come non mai dalle sue grandi capacità e distrutta da una notorietà che si abbatte sulle sue ansie e i problemi famigliari.
Nel film (adattamento del dramma teatrale ‘End of the Rainbow’) si sente la sua voce, nella grande interpretazione di Renée Zellweger, a metà circa, quasi un affronto per un tal tipo di pellicola. Ma bisogna dire altresì è propria la parte scorbutica, di scontri, di contatti fuori dallo show che il film ha qualcosa da dire e raccontare. Più del resto. E del palco,
Ecco che i momenti umani, l’incontro con i due omosessuali, il suono del pianoforte, la telefonata alla figlia, la solitudine in camerino, le camminate notturne, il toccare il palco senza prove sono la vera essenza del suo raccontarsi o meglio del suo ricordare di essere una donna fragile e una mamma in crisi. La pellicola tende al glamour durante le canzoni e lo show col pubblico: la performance di Renée Zellweger riesce ad eliminare l’eccesso di compiacimento verso una diva che ha bisogno di versare silenzi verso chi ne conosce la bravura.
I vari intermezzi e ricordi della sua giovanissima età da un set all’altro sono una sorsata di illusione per la ragazzina che ‘piccola, non carina, semplice’ ma ha una dote unica nella sua voce e nel canto melodioso che emana con grande vigore.
E l’ascolto di ‘Come Rain or Come Shine’ e ‘Over The Rainbow’ dà il gusto di un ‘biopic’ non troppo intenso e alquanto riverente, corretto ma che non osa oltre al dramma che si consuma. I titoli finali ricordano la sua morte a soli quarantasette anni a Londra.
Renée Zellweger regge benissimo la parte co un’interpretazione di grande effetto (candidata come attrice protagonista ai prossimi Oscar; premiata ai Golden Globe).
Regia: teatrale e diligente, languida e reverente.
Voto: 6+/10 (***) -cinema vitreo-
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pippo
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giovedì 28 maggio 2020
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grande zellweger ma film poco coraggioso
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Il film che l’ultimo periodo della vita dell'attrice e cantante Judy Garland, è interpretato in modo a dir poco straordinario da Renée Zellweger ormai del tutto distante anni luce ,sia nell'aspetto che nella voce e nel carattere,
dai sui precedenti ruoli. Sulla vita di Judy Garland sono state scritte varie biografie e spesso escono fuori verità e retroscena scomodi . Con un personaggio del genere scomparsa a soli 47 anni e con un vissuto composto da esperienze che avrebbe potuto starci in 3 vite ed oltre ,il film manca di approfondire la parte vissuta all'inizio di carriera sotto la Mgm se non limitandosi a brevi flashback , ma in realtà il fulcro di tutta la vicenda è quello , mentre invece vengono ampiamente mostrate le serate Londinesi .
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Il film che l’ultimo periodo della vita dell'attrice e cantante Judy Garland, è interpretato in modo a dir poco straordinario da Renée Zellweger ormai del tutto distante anni luce ,sia nell'aspetto che nella voce e nel carattere,
dai sui precedenti ruoli. Sulla vita di Judy Garland sono state scritte varie biografie e spesso escono fuori verità e retroscena scomodi . Con un personaggio del genere scomparsa a soli 47 anni e con un vissuto composto da esperienze che avrebbe potuto starci in 3 vite ed oltre ,il film manca di approfondire la parte vissuta all'inizio di carriera sotto la Mgm se non limitandosi a brevi flashback , ma in realtà il fulcro di tutta la vicenda è quello , mentre invece vengono ampiamente mostrate le serate Londinesi .Non viene per esempio approfondito su come sia stata sfruttata dallo showbusiness con la dipendenza da anfetamine, dai mariti da cui veniva derubata dei guadagni.
E la vita di una ragazza che entra in un mondo arido e composto da persone spregevoli in un epoca in cui le donne non avevano diritti , questo è quello che sta dietro le quinte e che per mancanza di coraggio non verrà mai raccontato . Un film che in definitiva manca di coraggio ,che avrebbe dovuto e potuto osare molto di più avendone pienamente i mezzi.
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wolvie
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domenica 26 luglio 2020
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oscar per sosia
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Il film è tutto nell' interpretazione mimetica della Zellweger, perfetta fino allo sfinimento nell' immedesimarsi nella Judy Garland al tramonto.
Questo bioptic si mette in fila nel nuovo genere cinematografico biografico inaugurato con il film sui Queen e che s indirizza più dalle parti del recente "Stan & Laurel", anche se i numeri musicali non mancano. Narrare gli ultimi due anni della star in caduta libera tramite il rinato uso dei flashback per narrare antefatti illuminanti sulla vicenda richiede oramai originalità registica smisurata, e qui siamo invece nel classico tout court, vorrei rispolverare la filmografia anni '70 ma non mi sembra il caso.
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Il film è tutto nell' interpretazione mimetica della Zellweger, perfetta fino allo sfinimento nell' immedesimarsi nella Judy Garland al tramonto.
Questo bioptic si mette in fila nel nuovo genere cinematografico biografico inaugurato con il film sui Queen e che s indirizza più dalle parti del recente "Stan & Laurel", anche se i numeri musicali non mancano. Narrare gli ultimi due anni della star in caduta libera tramite il rinato uso dei flashback per narrare antefatti illuminanti sulla vicenda richiede oramai originalità registica smisurata, e qui siamo invece nel classico tout court, vorrei rispolverare la filmografia anni '70 ma non mi sembra il caso.
La dipendenza dalle droghe, dall' alcool, i rapporti con il laido Louis B. Mayer, la ricerca spasmodica dell' amore (ben 5 matrimoni tra cui Vincente Minelli, bravo Rufus Sewell) sono tutti temi ben rappresentati che con pochi picchi narrativi emozionali ci portano alla catarsi finale, "Over the Rainbow " cantata in coro da tutti gli spettatori a teatro.
Morte fuori scena raccontata nella didascalia finale.
Non è molto, ma finalmente la Renee ritrova un ruolo vero dai tempi di "Bridgette Jones".
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felicity
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martedì 24 novembre 2020
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una denuncia del lato oscuro dello showbusiness
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Il film punta tutto sulla sua protagonista - Judy e la Zellweger che la incarna quasi annullandosi in lei - che decide di seguire scena per scena, primo piano dopo primo piano, senza controcanto a quel che lei fa e vive.
Il prologo ci annuncia quel che accadrà, ci rivela l’origine del trionfo e della sofferenza. La rinuncia ad una vita comune o normale, scelta senza ritorno consumata con sguardo poco convinto.
Una proposta che non si poteva rifiutare: addio alla libertà, pur di avere quello che tutte vorrebbero, pur di sfuggire ad un destino da cassiera o casalinga, grazie a qualcosa che le altre non hanno, una voce straordinaria.
Ma quella decisione pesa da subito, è evidente che non funzionerà.
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Il film punta tutto sulla sua protagonista - Judy e la Zellweger che la incarna quasi annullandosi in lei - che decide di seguire scena per scena, primo piano dopo primo piano, senza controcanto a quel che lei fa e vive.
Il prologo ci annuncia quel che accadrà, ci rivela l’origine del trionfo e della sofferenza. La rinuncia ad una vita comune o normale, scelta senza ritorno consumata con sguardo poco convinto.
Una proposta che non si poteva rifiutare: addio alla libertà, pur di avere quello che tutte vorrebbero, pur di sfuggire ad un destino da cassiera o casalinga, grazie a qualcosa che le altre non hanno, una voce straordinaria.
Ma quella decisione pesa da subito, è evidente che non funzionerà.
I flashback, numerosi e didascalici, ci svelano tutto.
Renée Zellweger interpreta Judy in maniera eccezionale, ha la stessa incredibile voce, intensa e profonda, di quando era appena più che adolescente.
Una diva che vede pian piano affievolirsi la sua fiamma, mentre già s’incammina sul viale del tramonto, immersa nella luce del crepuscolo.
Il film di Rupert Goold non è solo un biopic, ma una denuncia ad una Hollywood che sembra per fortuna essere sempre più diversa da quei modelli produttivi, e anche un omaggio, accorato, delicato, intimo ad una delle figure del mondo dello spettacolo che ancora oggi rappresentano la storia.
Negli Stati Uniti, Judy Garland è un mito, un’icona, un esempio per chi vuole fare spettacolo e un vero e proprio simbolo.
Considerare questo aspetto, per il pubblico non statunitense, potrebbe rendere più chiara la portata di questo film in patria, e soprattutto l’importanza di una performance come quella della Zellweger che davvero si trasforma in Judy, non solo attraverso trucco, postura, voce (parlata e cantata), ma anche perché riesce a metterne in scena i turbamenti profondi, le ferite, i traumi, in una performance che effettivamente rende degno di nota un film altrimenti assolutamente trascurabile.
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francesca meneghetti
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martedì 4 febbraio 2020
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da qualche parte, lassù, sopra l'arcobaleno
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La scena che strappa le lacrime è questa: Judy Garland, grande soubrette americana, nel suo ultimo live, si blocca nell’esecuzione di “Over the rainbow”, la voce rotta dal pianto, nella consapevolezza della fine imminente. Un anonimo ammiratore si alza in piedi e interrompe il silenzio di ghiaccio, creatosi in sala, proseguendo la canzone. Lo imitano, uno dopo l’altro, gli altri spettatori, a rendere un ultimo omaggio a Judy. E’ il suo funerale laico ante mortem. E’ il momento alto del film, che pure “spacca” per la stupefacente interpretazione di Renée Zellweger, bravissima a cantare, ballare, modificare la postura così da risultare gracile e ingobbita fuori di scena, tonica e scattante sul palcoscenico.
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La scena che strappa le lacrime è questa: Judy Garland, grande soubrette americana, nel suo ultimo live, si blocca nell’esecuzione di “Over the rainbow”, la voce rotta dal pianto, nella consapevolezza della fine imminente. Un anonimo ammiratore si alza in piedi e interrompe il silenzio di ghiaccio, creatosi in sala, proseguendo la canzone. Lo imitano, uno dopo l’altro, gli altri spettatori, a rendere un ultimo omaggio a Judy. E’ il suo funerale laico ante mortem. E’ il momento alto del film, che pure “spacca” per la stupefacente interpretazione di Renée Zellweger, bravissima a cantare, ballare, modificare la postura così da risultare gracile e ingobbita fuori di scena, tonica e scattante sul palcoscenico. Meno convincente nell’espressione del viso (sottoposto a un trucco invecchiante), spesso atteggiato a quel sorrisetto tra l’imbarazzato e il compiacente che ricorda troppo Bridget Jones. L’opera racconta un breve spaccato della vita di Judy, ormai sul viale del tramonto (la morte arriverà sei mesi dopo). Si trova a Londra, dove ha accettato una scrittura ben remunerata (senz’altro più dei 150 dollari ricevuti in una serata americana). Vi è stata costretta per pagare i suoi debiti e per comprare una casa, che non ha più, dove poter vivere con i suoi due figli più piccoli, che le mancano molto, e che sono contesi con il marito Sid. Nel racconto londinese (che ha un breve prologo oltre Oceano) si inseriscono dei flashback che ricordano l’infanzia della sfortunata attrice: avviata al cinema da bambina, come figlia d’arte, e costretta, da adolescente, ad assumere psicofarmaci per far fronte alla fame (onde raggiungere la perfetta magrezza) e alla stanchezza (fino a 18 ore di lavoro!). Stanno qui le radici della propensione all’alcol e alle pasticche che accompagnano inevitabilmente la vita adulta. Ma la droga più forte è la venerazione del pubblico. Questa le dà energia e passione. Appena se ne allontana, riemergono la rabbia per il fallimento, la fragilità, la solitudine (colmata solo brevemente dall’arrivo dell’ultima fiamma, per la verità un giovane uomo interessato a sfruttare la sua fama). Il tristissimo film, che vira verso il musical, è ben confezionato, quasi ad arte, al fine di aggiudicarsi almeno un Oscar. E’ anche autoreferenziale (nel senso che parla anche del cinema) e in tal senso piuttosto ipocrita: le accuse in esso contenute a un sistema che recluta giovani donne – gallinelle dalle uova d’oro – per sfruttarle al massimo, fino a farle deragliare così da dover ricorrere a sostegni etilici o chimici, si potrebbero rivolgere anche al sistema attuale. Ma non basta l’autocritica per ritrovare purezza. C’è un altro punto che lascia perplessi: la rimozione, tranne un fuggevole incontro, della figura della figlia maggiore, Liza Minnelli. Eppure le due donne, sempre a Londra, al Palladium, erano state protagoniste di uno show straordinario. Solo cinque anni prima. Possibile che una madre in crisi non cerchi il contatto telefonico con una figlia grande, in grado di capirla? L’appeal del film avrebbe potuto crescere, oltretutto. Forse le ragioni di questa omissione sono di ordine legale: Liza, che ha sofferto di problemi simili a quelli della madre, è ancora viva. E tutelata da temibili avvocati, si suppone. Ma allora il progetto su Judy era opportuno (date le ferite che potrebbe infliggere a Liza) o invece opportunistico (dato il cinquantesimo anniversario della morte di Judy)? Certo è che i sogni giovanili di Judy (o di Dorothy del Mago di OZ) sono rimasti davvero sospesi lassù, da qualche parte, sopra l’arcobaleno.
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francesco izzo
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domenica 2 febbraio 2020
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una storia drammatica, a volte un pò inverosimile
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Anche se la brava attrice/cantante americana degli anni 40-60 viene interpretata magistralmente da una bravissima Renée Zellweger, trovo che le finzioni - soprattutto nel finale - siano un pò troppo inverosimili e banalizzino un film complessivamente discreto e ben fatto.
La povera Judy bambina era stata preda dell'affarismo di un produttore, che, ancor prima di rovinarle la giovanissima vita con ritmi di lavoro frenetici, le aveva rovinato anche la salute con pillole e regimi di diete per mantenerne la linea .Questo vediamo almeno nei "flashes back". Vediamo però poi nel film una diva, ormai affermata ed ultraquarantenne, che, piuttosto a corto di soldi, per pagarsi gli avvocati e riprendersi i figli di un suo matrimonio finito, se ne va a Londra dove, trattando con sufficienza pianista ed agente del suo nuovo spettacolo,alla fine non riuscirà - a causa dei suoi problemi psicologici e di alcoolista- ad onorare più gli impegni presi.
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Anche se la brava attrice/cantante americana degli anni 40-60 viene interpretata magistralmente da una bravissima Renée Zellweger, trovo che le finzioni - soprattutto nel finale - siano un pò troppo inverosimili e banalizzino un film complessivamente discreto e ben fatto.
La povera Judy bambina era stata preda dell'affarismo di un produttore, che, ancor prima di rovinarle la giovanissima vita con ritmi di lavoro frenetici, le aveva rovinato anche la salute con pillole e regimi di diete per mantenerne la linea .Questo vediamo almeno nei "flashes back". Vediamo però poi nel film una diva, ormai affermata ed ultraquarantenne, che, piuttosto a corto di soldi, per pagarsi gli avvocati e riprendersi i figli di un suo matrimonio finito, se ne va a Londra dove, trattando con sufficienza pianista ed agente del suo nuovo spettacolo,alla fine non riuscirà - a causa dei suoi problemi psicologici e di alcoolista- ad onorare più gli impegni presi. Nel mondo reale succede che, in questi casi, si venga cacciati e si perda quantomeno quell'opportunità di lavoro. Nel film invece succede che il rimpiazzo -un chitarrista/cantante - le ceda il suo posto in scena, dove, come dell'alcool a casa, aveva invece bisogno del suo canto per esprimersi e sentirsi forse meglio. Anche se- con la sua vita distrutta, dopo aver cacciato in malo modo il suo ultimo giovane marito e dopo che i figli le hanno detto che vogliono restare col padre - alla fine non riuscirà nemmeno più a cantare.
Un pò patetiche e sdolcinate, a mio avviso, anche le figure dei due gay-fans e l'affetto incondizionato dell'agente donna che, invece di seccarsi per la sua inaffidabilità - che nel mondo reale viene giustamente letta anche come mancanza di rispetto - nel film sta tutta dalla sua parte fregandosene completamente, nel finale,persino del suo ruolo/lavoro.
Insomma: una storia drammatica, a volte un pò troppo edulcorata, con d'altra parte delle belle canzoni, che sono una delle parti migliori del film.
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