Il Traditore. L'han visto così a Cannes e hanno applaudito. Per chi mette a nudo criticità che non siano di casa loro i francesi non frenano l'entusiasmo. Quanto a Favino, speriamo che non si monti la testa dopo questa memorabile prestazione. Come Don Masino, potrebbe fuggire in America per non farsi accoppare dalla mediocrità dei suoi connazionali macchiettari. Azione e abiezione, folklore e spettacolo, necessari e sufficienti per condurvi al multisala.
I "don" Bellocchio ve li fa vivere, abilità (e bravura di tutti gli attori nel loro meglio) nel caratterizzare, effetto di studio e lunga convivenza mentale con tali personaggi. Visti da due prospettive: una, puntata sull'individuo con il suo odio e le sue paure; l'altra sull'insieme di una genia di immaturi, torvi e sanguinari, stipati in quei gabbioni da zoo, insulti e schiamazzi da stadio. Tra questi Bellocchio ritiene e configura emblematico Totò Riina (Nicola Calì). Tenebre nella coscienza, attaccato a pregiudizi rusticani che considera valori. Il tipo giusto per rappresentare il fenomeno criminale e confrontarsi con lo Stato. E lo Stato esiste, almeno nei suoi servitori, uniformi e sbiaditi. Chi siede sullo scranno più alto per amministrare giustizia e distribuire ergastoli è un paziente moderatore di sproloqui e chiassate. Lo stesso Giovanni Falcone, pur nei tocchi agiografici, non va oltre l'intelligenza e l'intuito umano.
Non ha uno spessore Buscetta, non altro che un "fimminaru" (il donnaiolo di una volta). Un "italiano vero", comunque. Per più versi ricorda Giacomo Casanova e non soltanto per l'interesse per le donne. Gaglioffi, peripezie e pericoli, prigioni e evasioni, protezioni e sovvenzioni opache, uno morì sulla propria poltrona, l'altro sul proprio letto. Non basta, pur essendoci un abisso (il veneziano spaventosamente erudito, il palermitano con le elementari) entrambi col vezzo di scribacchiare per raccontarsi e di filosofare sui casi loro. Dovete, pertanto, sorbirvi la diatriba su chi è o non è "uomo d'onore", oziosa, proprio adesso che il concetto di onore è sempre più nebuloso.
Masino può sembrare in qualche maniera una vittima di qualcosa che non è facile definire. Fateci caso, nel '68 aveva 40 anni, già ripulito, aveva viaggiato, non uno stupido. Avrebbe potuto vedere più di un film di Bellocchio, trarne riflessioni, suggerimenti. Invece, è stato abbandonato alla sua devianza in un'epoca in cui pullulavano i maitres à penser, oggi rifugiati in tre o quattro nella riserva indiana dei talk show.
C'è un monito, una lezione? Da Bellocchio dovete aspettarveli.
Forse c'è anche un equivoco. Spesso i moralizzatori confondono chi rappresenta lo Stato con coloro che detengono il potere. Certo, in buona misura coincidono, ma sempre di meno. Sfuggirebbe quel "senso dello Stato" che richiede esclusivamente un profilo etico. C'è chi rimane irretito nella dimensione mentale prima ancor che ideologica della critica del "politico".
E così, verso la fine, compare una faccia di civetta risecchita, vi scruta impassibile. E' lui, Belzebù il baciatore.
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