Una serie tv per dimenticare Pretty Woman
di Stefano Balassone La Repubblica
All' inizio Homecoming (Amazon Prime) la segui un po' distratto, forse solo per la curiosità di vedere insieme Julia Roberts e Sissy Spacek e non perché ti attragga la prospettiva di un' ennesima storia di suspense e paranoia. Poi ti fai catturare dall' originalità del formato e del linguaggio.
I dieci episodi della stagione durano mezzora, misura solitamente praticata dalle sit com che si organizzano in gragnuole di battute ma inusuale quando serve il tempo delle emozioni, del pensare, dell' attesa delle svolte. Homecoming per fortuna non comprime il racconto ma lo distende fra gli episodi che uno vede come fossero uno solo.
Così vedi le puntate una appresso all' altra, non per l' ansia indotta dalle invenzioni della trama ma perché segui passo passo i caratteri dei personaggi che si mettono a fuoco. Dallo yuppy iper gasato al burocrate che sulle prime pare ridicolo, ma si rivela per l' invincibile uomo medio, ma non mediocre, che Hollywood adora. Julia Roberts la ritroviamo nelle fattezze di una donna ossuta e insapore, nascosta al mondo da una frangetta tipo burqa. Ma Pretty Woman traspare, di tanto in tanto, a promettere una svolta, col semplice aiuto del sorriso e di una ciocca posta di traverso. Del resto, il passare da brutta a bella e viceversa rientra nel profilo "doppio" di Homecoming, tra passato e presente, scena e retroscena, occulto ed evidente.
Se non si perde la bussola è merito della regia (Sam Esmail, nome da segnare) che prende per mano chi guarda e ne previene i dubbi grazie a invenzioni formali secche ed efficaci. Ad esempio: passato e presente si distinguono per il video a tutto schermo dedicato all' accaduto rispetto a quello stretto (fra bande laterali) dedicato a quanto accade successivamente; le "cesure in continuità" che sottolineano il rincorrersi del tempo e degli ambienti; la visione a perpendicolo, funzionale per tenere la paranoia in gioco.
Aggiungi la musica e le orecchie e gli occhi sono entrambi ben serviti.
Da La Repubblica, 22 aprile 2020
di Stefano Balassone, 22 aprile 2020