Ema

   
   
   

Larraín, la forza di scavare dentro

di Fabio Ferzetti L'Espresso

Ci sono film dai quali si esce più scossi del previsto, che forse non convincono fino in fondo ma scavano dentro, che lasciano un vago sapore di incompiuto ma costringono a ripensare molte delle categorie con cui abitualmente guardiamo al cinema - e forse al mondo. Sono i film che vale davvero la pena vedere. L' ultima fatica del grande regista cileno di "Neruda", "Post Mortem", "El Club" e tanti altri titoli memorabili, appartiene a questa categoria insidiosa fin dalla scelta della protagonista. Una giovanissima danzatrice che dopo aver adottato col suo compagno un bambino lo riporta in orfanotrofio quando questi appicca un incendio. Salvo poi scoprire che il peso di quella scelta è perfino più insopportabile di quello della colpa. Ne scaturisce una complicata odissea difficile da sostenere e perfino da raccontare. Perché la spiritata Ema (Mariana Di Girolamo), occhi enormi, capelli decolorati, corpo nervoso e capace di performances sorprendenti, è pronta davvero a tutto per riconquistare il bambino. E "tutto" qui significa battersi fino all' ultima provocazione con (ma anche contro) il compagno coreografo (Gael Garcia Bernal). Sedurre con ogni mezzo chiunque le si pari davanti, senza distinzioni di sesso o di età. Prodursi in elettrici assolo di danza nelle strade o sopra la baia della labirintica Valparaiso, coprotagonista del film. Sfidare la ricerca artistica del compagno ballando dionisiaci reggaeton con le altre ballerine-baccanti del gruppo. Ma anche andarsene in giro a incendiare luoghi pubblici con un lanciafiamme, tanto per farci capire cosa pensa Ema del nostro piccolo mondo ordinato e filisteo. In un moltiplicarsi di azioni apparentemente caotiche ma legate da una logica precisa quanto sovversiva. Con qualche falla nel racconto (al punto di vista del figlio perduto, per esempio, il film non dedica un momento, ma il realismo psicologico e la correttezza morale sono l' ultima preoccupazione di Larraín), riscattata da un impatto visivo di rara potenza. Nonché dalla capacità di dar vita a un mondo abitato da corpi, comportamenti (e "famiglie") ancora in gran parte ignoti. Prendere o lasciare insomma. Ma con il primo film al presente di un regista che da "Tony Manero" in poi aveva guardato soprattutto al passato più cupo del suo paese, faremo i conti a lungo.
Da L'Espresso, 6 settembre 2020


di Fabio Ferzetti, 6 settembre 2020

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