Avengers: Endgame

La resa dei conti, la parola fine (sin dal titolo) dei giochi e all'intera saga degli Avengers è arrivata.
E l'opera è qui a raccontarci le conseguenze dell'apocalisse scatenata dal capitolo precedente e a concentrarsi stavolta più sulle dinamiche psicologiche dei suoi protagonisti, sulle emozioni, piuttosto che sull'azione (comunque sempre godibile, spettacolare e avvincente). La pellicola celebra il sacrificio dei suoi supereroi, sviluppa la loro introspezione, i loro ricordi. La regia e gli attori sono funzionali a questa complessa messinscena. E l'apparato visivo è di grande ed efficace impatto (nonché di gran cura e tecnica).
Tra citazioni, omaggi e rimandi alle pellicole precedenti, a farla da padrona in questo viaggio meta-cinematografico tra i 22 film Marvel di questo ultimo decennio, è la nostalgia.
La sceneggiatura mette i suoi vulnerabili personaggi a confronto con i traumi del passato e con i rimpianti per i loro errori o per le occasioni mancate. Debolezze e fallimenti che hanno avvicinato sempre più l'empatia dello spettatore film dopo film per ognuno di loro, e che in quest'ultimo capitolo si rafforza ulteriormente.
E forse in sostanza è proprio qui l'elemento più interessante ed affascinante di questo malinconico epilogo di una travolgente e mitologica saga: oltre ogni cosa essenziale e alla fine di tutto, di una storia di amicizia e salvezza o di una apocalittica tragedia, del senso di impotente disfatta o di speranzosa voglia di riscatto, dentro ogni ordinario individuo o straordinario super-eroe, soltanto una cosa permane e fa la differenza, la più solenne e irriducibile di tutte: il lato umano nella sua più toccante ma preziosa, potente fragilità...