Anna è un film di routine con cui Besson torna alla sua formula più fortunata, quella della donna d’azione bellissima e letale, per raccontare le vicende di una supermodella che in realtà lavora come sicario per il KGB. Ma lo fa senza un minimo di voglia di dire qualcosa di nuovo e, anzi, non solo recuperando premessa e svolgimento di Nikita, ma addirittura andando dietro spudoratamente allo stile di John Wick e Atomica Bionda. Quello che un tempo era il maestro di questo cinema diventa qui un allievo diligente ma blando. Questo non vuol dire che abbia perso la mano: le scene d’azione sono comunque dignitose e cristalline. Ma sono realizzate senza entusiasmo, contando solo sul mestiere.
Molto più interessante la struttura del film, che continua a saltare avanti e indietro nel tempo come un puzzle. Besson ci racconta un pezzo di storia, lasciando volutamente dei buchi qua e là, per poi tornare indietro e riempirli di rivelazioni che ci costringono a rimettere tutto in discussione. Non è male, anche se alla lunga Besson ne abusa e il giochino inizia a diventare prevedibile. Ogni volta che una situazione non trova risoluzione, hai già capito che subito dopo ti verrà contestualizzata con un flashback. Il che toglie anche slancio al film: non appena c’è un po’ di crescendo, TAAAC, arriva il flashback che ti taglia le gambe come un paio di birrette a stomaco vuoto.
Anche tra il cast nulla da segnalare. L’unica che sembra divertirsi un minimo è Helen Mirren, nei panni della capa di Anna al KGB. Luke Evans e Cillian Murphy staccano l’assegno. Sasha Luss ce la mette veramente tutta, ma non è né Milla Jovovich né Scarlett Johansson. A complicare ulteriormente le cose – se vedrete il film in lingua originale – c’è che Besson si è inventato di far parlare i russi in inglese con l’accento russo ANCHE TRA DI LORO, con relativo effetto comico. Le comparse russe parlano in russo, mentre i tre russi principali – Anna, Alex/Evans e Olga/Mirren – parlano in inglese come i cattivi dei film anni ’80. È una roba talmente gratuita e senza senso da disturbare non poco.
Dopo un prologo nel 1987, Anna si sposta al 1990. Siamo negli ultimi mesi di vita dell’Unione Sovietica, anche se questo dato non avrà mai peso nel film. Anna vive con il suo violento moroso in una stamberga di Mosca. Sono entrambi tossici, lui l’ha tolta dalla strada e ora pretende fedeltà totale. Lei invece sogna una vita migliore e vorrebbe arruolarsi nella marina. All’inizio del film la vediamo compilare la domanda sul suo portatile in salotto.
È il 1990. Anna compila la domanda per arruolarsi in marina su un portatile. Quindi via internet. Non ci sono fili, quindi ha una connessione wireless.
Vi giuro che ci ho messo un po’ per capire cosa non andava in questa scena. Siamo talmente abituati a una situazione del genere nelle nostre vite che questa cosa non salta immediatamente all’occhio, almeno finché non ripensate al “quando”.
E questo è solo l’inizio. Per tutto il resto del film, ambientato sempre nel 1990, toh massimo 1991, Anna maneggia laptop, cellulari Nokia simil-3310 e chiavette USB, lascia messaggi video in risoluzione ridicolmente alta e, a un certo punto, ruba i filmati di un sistema di sorveglianza a circuito chiuso comodamente registrati su un hard disk.
Dopo tutto internet è entrato nelle nostre case da metà anni ’90 e le chiavette USB non c’erano. E comunque no, una tossica in un appartamento di Mosca nel 1990 non poteva avere un laptop.
Le incongruenze sono talmente sfacciate che non posso pensare si tratti di un caso: mi sa di pigrizia veramente allarmante da parte di un regista che fino a un paio di anni fa sembrava avere ancora voglia di vivere.
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