Devo innanzitutto fare alcune premesse.
La prima è che non ero partito per vedermi un film brillante. Avevo la ferma intenzione di comprare il biglietto per l’ultimo Polanski. L’affare Dreyfuss mi ha sempre interessato come mi interessa quella parte di storia, messo sullo schermo da un professionista come il regista di tanti capolavori, mi sembrava un’occasione ghiotta.
La seconda è che difficilmente mi cimento in una recensione dopo aver visto il film una sola volta.
La terza è che reputo Woody Allen il miglior regista statunitense vivente. È un maestro che ha spaziato in vari generi portando sempre il suo bagaglio di esperienza e genialità. Il suo punto di vista è sempre originale dovuto a una cultura superiore, non solo di cinema.
Il suo periodo migliore credo vada dalla fine anni ’70 alla metà del decennio successivo, quando ha girato capolavori come “Io e Annie”, “Manhattan” “Zelig” “La rosa purpurea del Cairo”. Ma poi ha saputo ripetersi nel tempo.
Vedendo questo suo ultimo film ho avuto un leggero rimpianto, una lieve nostalgia generale mi ha pervaso. Ho notato ancora di più quanto la sua produzione riscatti la sua città. New York appare perennemente nella sua opera, perché New York è di Woody Allen più che di Scorsese e di chiunque altro cineasta, e ultimamente lo accosto sempre di più ad un altro maestro, il francese Eric Rohmer.
Tutti e due sono le guide turistiche della propria città.
Per tutti e due non sono le storie a fare i film, ma le persone. Nei loro film le storie sono inventate ma reali, quindi banali. Sono storie che conosciamo: la quotidianità. Sono le persone a essere originali. Quando una coppia si lascia, ne parla, non ne fa un dramma. Perché in un mondo di 7 miliardi di persone non ce n’è una sola adatta a te. Per cui non mi dispero e mi volto da un’altra parte, con dei rimpianti, magari.
Ecco, l’ultimo film di Woody Allen parla di questo, anche di questo. In fondo non è influente di cosa parli, è importante come ne parla. Il regista statunitense più europeo di sempre ha aggiunto un’altra mattonella al suo muro. A 84 anni non avrà più un prolungato periodo d’oro, ma non abbassa mai la guardia. Un film senza grandi genialità ma di una grande cultura. Un buon film.
Ah, per quanto riguarda la recitazione vale il detto di un altro maestro, in questo caso: non sono gli attori a recitare, ma le telecamere. Per il resto, come da compito, la tecnica è semplicemente perfetta. L’esperienza non è acqua.
Woody Allen invecchia e ci invecchia bene.
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