PJ Harvey - A Dog Called Money

Un film di Seamus Murphy. Con P.J. Harvey, Terry Edwards, John Parish Titolo originale A Dog Called Money. Documentario, durata 94 min. - Irlanda, Gran Bretagna 2019. - Wanted MYMONETRO PJ Harvey - A Dog Called Money * * * 1/2 - valutazione media: 3,71 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Tra vita e arte il rockumentary su PJ Harvey

di Paola Zonca La Repubblica

Un bimbo afghano dal viso buffo e tenerissimo si affaccia al finestrino di un'automobile e vi schiaccia contro il suo piccolo naso: ancora non si sa chi è a bordo della vettura, ma basta questa suggestiva scena per incuriosire lo spettatore. Incomincia così il documentario PJ Harvey. A dog called money che, presentato nella sezione Panorama della scorsa Berlinale, inaugura dopodomani la nuova sala virtuale " Wanted Zone", realizzata dall'etichetta distributiva Wanted Cinema in collaborazione con MYmovies e dedicata a film ricercati provenienti da festival, vincitori di premi e apprezzati dalla critica e dal pubblico internazionale. Non un semplice streaming, ma la simulazione di una proiezione reale a orario fisso (in questo caso alle 19,30 preceduta alle 19 dall' introduzione di Ernesto Assante), con acquisto del biglietto sul sito del proprio cinema di riferimento che aderisce alla piattaforma, tra cui c' è anche il milanese Wanted Clan. Trattandosi di una prima visione, il costo è di 6,99 euro. La cantautrice britannica di culto - che agli esordi negli anni '90 fece scandalo con i suoi atteggiamenti provocatori e i testi a luci rosse, che ha collaborato con Nick Cave, Björk e Tom Yorke e che oggi si è evoluta coniando una formula di rock al femminile tra le più influenti degli ultimi trent' anni - viene accompagnata nei suoi viaggi a Kabul, in Afghanistan, in Kosovo e a Washington DC dal fotografo irlandese Seamus Murphy, che firma il suo film di debutto. Tutte esperienze che l'artista ha trascritto su un quaderno di appunti e che hanno poi ispirato il suo ultimo, impegnato, album The Hope Six Demolition Project, oltre al libro di poesie e scatti The Hollow of the End (2015). Non si tratta di una biografia e nemmeno di un ritratto: Murphy sceglie piuttosto di cogliere PJ Harvey mentre cammina, osserva, riflette, ed infine compone nello studio di registrazione londinese nel seminterrato della Somerset House, allestito per dare la possibilità al pubblico di assistere all' intero processo creativo attraverso un'enorme vetrata. È Kabul ad avere il maggiore spazio, tra i rumori della città, le fognature a cielo aperto, i militari, le bancarelle dei mercatini di strada, le macerie di un cinema bombardato. Immagini che sono accompagnate dai suoi pensieri (" poche donne, donne nascoste, donne coi tacchi alti in mezzo alle rocce e al fango") e da stralci delle sue canzoni. Ma più spesso il regista lascia che siano i luoghi visitati, le persone incontrate e intente nei loro lavori quotidiani a trasmettere senza parole quelle sensazioni e suggestioni che saranno poi preziose per il lavoro della musicista. Strappa un sorriso amaro il ragazzino che si accorge della telecamera e si mette in posa come un soldato in miniatura. Ma c' è anche Washington, col fiume Potomac che divide la parte ricca della città governativa da quella dei quartieri come Anacostia dove i giovani sono disoccupati e la povertà è drammatica. In Kosovo vediamo i monaci del monastero di Decani, le feste e i musicisti rom, ma anche i migranti al confine tra Grecia e Macedonia. PJ Harvey non fa proclami politici, ma non è difficile capire da che parte stia: senz' altro da quella degli "ultimi". Se da una parte si può avere l'impressione che l'autore non approfondisca mai i personaggi e i luoghi, limitandosi ad inanellare una sequenza di belle immagini senza spiegazioni, dall' altra va riconosciuto che il "rockumentary" evita di prendere una piega autoreferenziale o autopromozionale. Le undici tracce si ascoltano tutte, compresa quella che dà il titolo al cd, ma nel loro " farsi", mai nella versione definitiva. E il rapporto tra vita e arte viene restituito in modo spontaneo e naturale, dando un'idea per nulla retorica di come nasce la musica anche a chi non è un fan di Polly Jean Harvey.
Da La Repubblica, 19 maggio 2020


di Paola Zonca, 19 maggio 2020

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