thomas
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mercoledì 12 febbraio 2020
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la guerra come orrore assoluto
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C'era una volta una filmografia western in cui "gli indiani" erano i cattivi e i "cowboy" i buoni, poi negli anni '70 iniziò un lungo esame di coscienza da parte degli USA che rivoluzionò il genere western e portò Hollywood almeno a riconoscere la verità storica: i pellerossa furono vittime di una guerra crudele volta a privarli della terra che avevano sempre abitato. Capolavori come "Balla coi lupi" stanno lì, a ricordarci com'è andata veramente.
E c'era una volta una filmografia di genere bellico in cui la guerra era spettacolarizzata, i soldati erano eroi alla ricerca di gloria, i generali grandi condottieri ricchi di acume, poi Stanley Kubrick con "Orizzonti di gloria" spiegò che spesso, dietro la deciisone di attaccare una postazione nemica, vi era soltanto la vanagloria di un comandante desideroso di fare carriera e Steven Spielberg con "Salvate il soldato Ryan" fece vedere che, quando un soldato viene colpito dal nemico in guerra, non cade a terra come fulminato, ma rimane vivo e dilaniato dalle ferite a soffrire atrocemente.
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C'era una volta una filmografia western in cui "gli indiani" erano i cattivi e i "cowboy" i buoni, poi negli anni '70 iniziò un lungo esame di coscienza da parte degli USA che rivoluzionò il genere western e portò Hollywood almeno a riconoscere la verità storica: i pellerossa furono vittime di una guerra crudele volta a privarli della terra che avevano sempre abitato. Capolavori come "Balla coi lupi" stanno lì, a ricordarci com'è andata veramente.
E c'era una volta una filmografia di genere bellico in cui la guerra era spettacolarizzata, i soldati erano eroi alla ricerca di gloria, i generali grandi condottieri ricchi di acume, poi Stanley Kubrick con "Orizzonti di gloria" spiegò che spesso, dietro la deciisone di attaccare una postazione nemica, vi era soltanto la vanagloria di un comandante desideroso di fare carriera e Steven Spielberg con "Salvate il soldato Ryan" fece vedere che, quando un soldato viene colpito dal nemico in guerra, non cade a terra come fulminato, ma rimane vivo e dilaniato dalle ferite a soffrire atrocemente.
1917 fa parte del secondo filone, quello che fa volentieri a meno delle frasi roboanti, dello spettacolo, della favoletta bellica secondo cui conquistare una medaglia è il massimo desiderio di un soldato. 1917 ci ricorda che la guerra è un orrore assoluto, il più grande degli orrori; e ce loricorda facendoci vedere topi, cadaveri di giovani lasciati a decomporsi nei campi, famiglie private di ogni loro ricchezza, neonati condannati a morire di fame per mancanza di latte, soldati che barattano una medaglia con una bottiglia di vino "perchè avevo sete".
La guerra raccontata da Sam Mendes è un monito ad ognuno di noi perchè a nessuno venga in mente di dimenticare il passato e, nel farlo, il regista ci fa vivere in quell'inferno, ci fa seguire senza fermarci mai i due soldati in missione, che non sono eroi, ma soltanto persone che sentono il dovere di fare la cosa giusta e che, al termine, scelgono come premio il riposarsi seduti contro il tronco di un albero, guardando il prato dinanzi a loro.
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ashtray_bliss
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martedì 21 gennaio 2020
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emozionante pianosequenza bellico.
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Sam Mendes ritorna alla regia e lo fa con un film visivamente potente ed emozionante, un film di guerra dove la guerra non sta che sullo sfondo, per raccontare, essenzialmente, una storia di coraggio e amore per la vita, di speranza e futuro. Collocato durante il periodo bellico più feroce che il mondo abbia mai conosciuto, ovvero la Prima Guerra Mondiale, ispirato ai racconti del nonno del regista e allo stesso dedicato, Mendes mette in scena una storia che sotto il manto dell'apparente semplicità narrativa si scopre di una potenza visiva coinvolgente e viscerale che conquista lo spettatore e gli permettere di vivere quasi direttamente, in prima persona, l'avventura rischiosa ed emozionante del protagonista Schoffield.
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Sam Mendes ritorna alla regia e lo fa con un film visivamente potente ed emozionante, un film di guerra dove la guerra non sta che sullo sfondo, per raccontare, essenzialmente, una storia di coraggio e amore per la vita, di speranza e futuro. Collocato durante il periodo bellico più feroce che il mondo abbia mai conosciuto, ovvero la Prima Guerra Mondiale, ispirato ai racconti del nonno del regista e allo stesso dedicato, Mendes mette in scena una storia che sotto il manto dell'apparente semplicità narrativa si scopre di una potenza visiva coinvolgente e viscerale che conquista lo spettatore e gli permettere di vivere quasi direttamente, in prima persona, l'avventura rischiosa ed emozionante del protagonista Schoffield.
Merito indubbio della eccezionale fotografia la quale non solo ricrea spazi e luoghi in modo incredibilmente vivido e realistico ma riesce abilmente ad incastrare un passaggio nell'altro, senza evidenti stacchi di montaggio. Dalle soffocanti e anguste trincee, vere e proprie formicaie, si seguono i coraggiosi anti-eroi, due giovani amici ansiosi di tornare a casa, e ci ritroviamo anche noi sul vero e proprio terreno di battaglia. Una no-man's land sporca, fangosa, dove si respira la morte e si calpestano i cadaveri di uomini e animali. E si procede tra fattorie abbandonate, città distrutte, notti incendiarie, fiumi impetuosi, boschi meravigliosi e selvaggi, anticamere dell'ennesima inutile battaglia.
Impressionante l'abilità tecnica della fotografia nel ricreare un ambiente così verosimile, ricco di passaggi poetici e struggenti (la scena dei cicliegi in primis) ma pure inquietanti come solo la guerra sa produrre.
Eppure la missione deve andare avanti, e altra non è che raggiungere in una singola giornata (prima dell'alba) un reggimento pronto ad attacare i tedeschi. Una missione che va annullata, rinviata a tutti i costi perchè è una trappola. Una strategia messa a punto dal nemico per indebolire l'esercito brittanico e far morire così banalmente almeno 1.600 uomini incluso il fratello del più giovane dei due, Blake.
Una missione di salvataggio motivata da ragioni peraonali, emotivi e famigliari che vede il coinvolgimento di soli due uomini. I rischi sono elevati e concreti ma la missione non contempla l'opzione del fallimento o sarà una strage; un bilancio pesante per l'esercito brittanico.
Ed in ciò consiste l'epica anti-bellica del film in questione: nel concentrarsi su una storia apparentemente semplice, sulla trasposizione delle eroiche gesta di due soldati sconosciuti, anonimi, i quali per una volta non hanno il compito (e l'ordine) di uccidere ma quello di impedire un attacco inutile, salvaguardando la vita di uomini, padri, mariti e garantirgli di vedere un'alba in più.
Ecco allora che la violenza, intrinseca caratteristica bellica, non viene mai esplicitamente mostrata anche durante gli episodi più cruciali di questa incredibile ed emozionante avventura. La violenza in 1917 non è mai protagonista, così come non lo è la morte e questa è una caratteristica quasi unica e peculiare per un film di guerra.
L'epica si rintraccia nell'appassionante e toccante storia di sopravvivenza, nell'attaccamento alla vita, nel saper cogliere la bellezza anche nei momenti più disperati e rischiare tutto per un bene più grande. Non per la patria, non per le medaglie, non per un ideale. Semplicemente per evitare una carneficina e guadagnare un giorno di vita in più. Un concetto così semplice ma così nobile, importante, essenziale.
Sorretto da due attori praticamente sconosciuti nonostante la presenza di attori del calibro di Cumberbatch, Firth & Strong (rilegati a ruoli di mee comparse), 1917 risulta una scomessa vincente che meritatamente si guadagna ben 10 nonination agli Oscar 2020. Opera dal contenuto semplice e non propriamente originale che conquista e convince grazie alla mirabile messa in scena eseguita come un lungo piano sequenza che permette agli spettatori di partecipare insieme al suo protagonista vivendo, letteralmente, una esperienza cinematografica senza precedenti.
Grande regia e fotografia superlativa, tensione, azione e coinvolgimento emotivo ne fanno un ottimo prodotto, uno dei film di guerra più interessanti degli ultimi anni e possibilmente del nuovo decennio.
Voto: 3.5/5.
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savio 86
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mercoledì 29 gennaio 2020
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la nascita dell' "iperealismo digitale"
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Ciò che caratterizza “1917” di Sam Mendes (il regista di American Beauty per intenderci) è l’uso di un linguaggio cinematografico completamente nuovo.
Tutti noi abbiamo ancora negli occhi i racconti dei nostri nonni o di chi ha vissuto una guerra, qualunque essa sia: questi racconti non sono sempre le grandi imprese della Storia che leggiamo sui libri, a volte sono semplici episodi, più o meno secondari, oppure storie di vita quotidiana, viste con gli occhi di chi quelle vicende le ha vissute.
Sam Mendes mette lo spettatore nei panni di un soldato della Prima Guerra Mondiale e racconta un episodio, una semplice consegna di un messaggio ad un altro reggimento, facendoci immergere nella realtà della Grande Guerra.
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Ciò che caratterizza “1917” di Sam Mendes (il regista di American Beauty per intenderci) è l’uso di un linguaggio cinematografico completamente nuovo.
Tutti noi abbiamo ancora negli occhi i racconti dei nostri nonni o di chi ha vissuto una guerra, qualunque essa sia: questi racconti non sono sempre le grandi imprese della Storia che leggiamo sui libri, a volte sono semplici episodi, più o meno secondari, oppure storie di vita quotidiana, viste con gli occhi di chi quelle vicende le ha vissute.
Sam Mendes mette lo spettatore nei panni di un soldato della Prima Guerra Mondiale e racconta un episodio, una semplice consegna di un messaggio ad un altro reggimento, facendoci immergere nella realtà della Grande Guerra. La storia è semplice e lineare: il 2° reggimento rischia di cadere in una trappola e due semplici caporali del 7° reggimento, William Schofield e Tom Blake (interpretati rispettivamente da dai giovani George MacKay e Dean-Charles Chapman) devono raggiungere la nuova linea, dove è anche in servizio il fratello di Tom (Richard Madden), e consegnare l’ordine del Generale Erinmore (Colin Firth). Così inizia la storia e termina con la semplice consegna del messaggio al colonnello Mackenzie (Benedict Cumberbatch), attraverso il classico sistema delle peripezie (bisogna addentrarsi in territorio nemico con i tedeschi in ritirata).
Ciò che però è fenomenale è il modo in cui questa storia viene narrata: un piano sequenza di due ore, dove si seguono da vicino i due protagonisti, come se lo spettatore fosse il terzo uomo della spedizione: siamo di fronte ad un “iperealismo digitale” che porta alle estreme conseguenze le teorie cinematografiche del Dogma 95, epurandolo però di tutti quei fattori che ne compromettevano la fruibilità al grande pubblico.
Sono due gli elementi che caratterizzano la regia: da un lato un uso impeccabile del digitale, che permette una visione della scena “in prima persona”, dando l’illusione che la camera non stacchi mai per due ore (tranne una sola, funzionale, elissi - quando William perde i sensi), dall’altro Mendes abbandona un classico linguaggio cinematografico per usare le forme, i tempi, i movimenti e molti schemi narrativi, dei videogiochi “sparatutto in prima persona”.
Può sembrare un paradosso, ma quei principi del Dogma 95 (la camera in spalla, il punto di vista in prima persona, le lunghe sequenze) sono state applicate e perfezionate nel mondo videoludico, dove quelle stesse regole sono funzionali all’immedesimazione giocatore-personaggio, elementi che nei film degli ultimi 20 anni troviamo ma solo “accennati” per alcune scene (fa scuola qui “Il Cigno Nero” con le stupende scene di ballo a 360°).
L’obiettivo è quindi raggiunto: far rivivere gli orrori della Grande Guerra, i pericoli, il fango, le distese di cadaveri, il filo spinato, le trincee; il tutto dimostra come, nell’era digitale, si avanzi verso il livellamento dei linguaggi, con la scomparsa delle distinzioni nelle varie aree della comunicazione.
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gadoraid
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venerdì 31 gennaio 2020
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sopravvalutato
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Sicuramento esco fuori dal coro ..ma a mio modesto parere il film è sopravalutato.Il piano sequenza non basta a farti immergere negli ambienti di guerra. In certi momenti sembra di essere piu' in un gioco della serie Call of Duty. Non me ne vogliano chi ha giudicato questo film con 5 stellette. Ho ancora negli occhi i rumori e i piano sequenza temporali del Dunkirk di Nolan che non aveva bisogno di sceneggiatura in quanto la sceneggiatura era tutta nella visione stessa.
Il film di Mendes manca di qualcosa. Non basta farti vedere le trincee, non basta farti vedere due ragazzi inespressivi che corrono impauriti tra le sortite dalle trincee.
Non basta.
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Sicuramento esco fuori dal coro ..ma a mio modesto parere il film è sopravalutato.Il piano sequenza non basta a farti immergere negli ambienti di guerra. In certi momenti sembra di essere piu' in un gioco della serie Call of Duty. Non me ne vogliano chi ha giudicato questo film con 5 stellette. Ho ancora negli occhi i rumori e i piano sequenza temporali del Dunkirk di Nolan che non aveva bisogno di sceneggiatura in quanto la sceneggiatura era tutta nella visione stessa.
Il film di Mendes manca di qualcosa. Non basta farti vedere le trincee, non basta farti vedere due ragazzi inespressivi che corrono impauriti tra le sortite dalle trincee.
Non basta. George McKay appare piu' nella parte rispetto a Dean Charles Chapman ma risulta alcune volte veramente inespressivo.
Penso ad un Di Caprio in un ruolo del genere. Manca la sofferenza vera, manca la tragedia vera nei solchi delle comparse di una guerra inutile e disastrosa. Tutto troppo ricostruito..troppo manieristico e autocelebrativo. Manca anche l'epicità dell'impresa. Manca un vero tuffo in un torrente freddo. Il sangue nei volti troppo finto.
Tutto molto abbozzato. Anche gli stessi topi sembrano troppo "topi". Molto probabilmente il film vincerà l'Oscar.
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samanta
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domenica 26 gennaio 2020
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in questa guerra vince chi sopravvive
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Occorre fare una premessa: i film sulla I guerra mondiale sono molti, di questi diversi hanno sottolineato la tragicità di questa guerra come: All'ovest niente di nuovo di Milestone, Orizzonti di Gloria di Kubrick, il nostro film si situa in questo filone. Benedetto XIV definì la Grande Guerra "un'inutile strage", un massacro spaventoso di fanti mandati a morte per conquistare pochi KM di terreno, sul fronte francese morirono 1.400.000 soldati francesi, gli inglesi solo nella battaglia della Somme persero 410.000 soldati. Le conseguenze per l'Europa furono disastrose, la frammentaziione degli Imperi generò il nazionalismo, nacquero i mostri totalitari: Comunismo e Nazismo e poi la II guerra mondiale.
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Occorre fare una premessa: i film sulla I guerra mondiale sono molti, di questi diversi hanno sottolineato la tragicità di questa guerra come: All'ovest niente di nuovo di Milestone, Orizzonti di Gloria di Kubrick, il nostro film si situa in questo filone. Benedetto XIV definì la Grande Guerra "un'inutile strage", un massacro spaventoso di fanti mandati a morte per conquistare pochi KM di terreno, sul fronte francese morirono 1.400.000 soldati francesi, gli inglesi solo nella battaglia della Somme persero 410.000 soldati. Le conseguenze per l'Europa furono disastrose, la frammentaziione degli Imperi generò il nazionalismo, nacquero i mostri totalitari: Comunismo e Nazismo e poi la II guerra mondiale.
Il film racconta un momento della guerra nella primavera del 1917, la regia è di Sam Mendes sceneggiatore, produttore e regista non prolifico ed eclettico (007 Spectre, Noi 2 sconosciuti, Era mio padre).
[Spoiler] 2 caporali William (George MacKay) e Tom Blake (Dean-Charles Chapman) sono chiamati dal generale Erinmore (Colin Firth) che comunica che interrotte le comunicazioni gli ordina di attraversare un terreno abbandonato dai tedeschi e raggiungere il reggimento del colonnello McKenzie (Benedict Cumberbatch) e dare ai 2 un messaggio con l'ordine di non attaccare i tedeschi, perché è una trappola del nemico nella quale potrebbero morire 1600 uomini tra cui il fratello tenente di Tom. Il viaggio sarà pieno di insidie in una landa livida e desolata tra le rovine delle case e il materiale bellico abbandonato, Tom muore ucciso a tradimento da un tedesco ferito che lui aveva soccorso. William pero porta il messaggio e riesce ad imporsi al fanatico McKenzie che aveva già aveva lanciato la prima ondata e voleva continuare l'attacco ma che lo sospende, malgrado le perdite il fratello di Tom è vivo e a lui William consegna gli oggetti personali del morto.
Il film è un'esposizione senza forzature di quell'enorme ecatombe, che stravolge non solo gli uomini ma anche la natura. La vicenda appare come un incubo in cui i 2 soldati, praticamente gli unici protagonisti, corrono disperati contro il tempo e le vicissitudini, il regista si avvale dell'utilizzo di vari piano sequenza (molto bello il primo quando i 2 soldati corrono per una lunga trincea per raggiungere il punto in cui dovranno uscire per attraversare il territorio abbandonato). La riflessione sull'atrocità della guerra avviene dal solo scorrere delle immagini, molto bella la scena di William che raggiunge il reggimento ed incontra i soldati che cantano, prima dell'attacco, un lento e sereno inno religioso che parla dell'abbandono dei dolori e degli affanni per una terra più serena e lieta. Ottima la recitazione dei 2 soldati specie quella di McKay, Colin Firth e Cumberbatch appaiono in due camei ma sono come sempre efficaci.
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casomai21
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venerdì 24 gennaio 2020
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umanita e coraggio nel delirio di guerra
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Il film è ambientato nella campagna francese, sconvolta nella sua agreste quotidianità da un inutile conflitto.La prima inutile guerra mondiale è descritta nella sua crudezza in un ritmo incalzante ed appassionato. Ben ricostruiti i presidi militari ,rifugi e lunghissime trincee sotto un cielo plumbeo ed in un'atmosfera spettrale L'obiettivo come già nei film di Wajda si concentra su alcuni particolari talvolta struggenti come la bambola dimenticata in una casa saccheggiata, talvolta raccapriccianti nel rappresentare corpi dei caduti o di animali, abbandonati nei campi o negli acquitrini e privi di una pietosa sepoltura.Ancor più suggestive le riprese notturne della città in fiamme di oscuri personaggi(soldati tedeschi) che si aggirano minacciosi e coi volti nascosti da fuliggine,nebbia ed oscurità.
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Il film è ambientato nella campagna francese, sconvolta nella sua agreste quotidianità da un inutile conflitto.La prima inutile guerra mondiale è descritta nella sua crudezza in un ritmo incalzante ed appassionato. Ben ricostruiti i presidi militari ,rifugi e lunghissime trincee sotto un cielo plumbeo ed in un'atmosfera spettrale L'obiettivo come già nei film di Wajda si concentra su alcuni particolari talvolta struggenti come la bambola dimenticata in una casa saccheggiata, talvolta raccapriccianti nel rappresentare corpi dei caduti o di animali, abbandonati nei campi o negli acquitrini e privi di una pietosa sepoltura.Ancor più suggestive le riprese notturne della città in fiamme di oscuri personaggi(soldati tedeschi) che si aggirano minacciosi e coi volti nascosti da fuliggine,nebbia ed oscurità. Splendide le riprese del protagonista trascinato nelle gelide acque dalle correnti in un torrente impetuoso e che ricordano quelle di Di Caprio in Revenant.Così come è facile ricordare il film Bastardi senza gloria quando è rivelata la psicologia e gli atteggiamenti dell'irriducibile soldato tedesco, che non si arrende e preferisce soccombere e resistere fino allo stremo delle forze piuttosto che accordarsi col nemico. Ma la storia inaspettatamente ci restituisce anche scene più umane e rassicuranti, come gli esempi di solidarietà e di 'amicizia tra i due protagonisti, che non si aspettavano le trappole dei tedeschi e le difficoltà del percorso di guerra.Una donna,terrorizzata rifugiata in un sottovano e che accoglie generosamente una tenera bimba abbandonata di cui non conosce la madre.Inoltre si assiste al meritato riconoscimento e alquanto tardivo dell'eroismo dei protagonisti, che con loro suo sacrifico hanno evitato una offensiva nemica ed evitato nuove vittime innocenti. Il film si conclude dopo tanti orrori di guerra con una dolorosa accettazione della perdita di ifamiglia con l'immagine di una grande quercia, un vero albero della vita che continua e simbolo della genealogia familiare alla cui base si siede il protagonistache alla ricerca di protezione e di giusto riposo. Nonostante, il soggetto del film riguardi la guerra nella sua crudezza, il messaggio del film è da ritenersi un invito allla pace ed alla soliarietà
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loland10
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mercoledì 29 gennaio 2020
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tempi e spasmi
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“1917” (id., 2019) è l’ottavo film del regista-sceneggiatore-produttore britannico Sam Mendes.
Il cinema (ri)disegna dei quadri e fa degli scherzi a tutti. Chi vede la finzione pensa di equipararla al reale e chi vuole raccontare il reale (non visto e sentito) sembra dire di riviverlo in corsa e successione senza tempi morti. Ecco che il cinema di Mendes sviluppa poco il contorno, annienta le pause e scaraventa il tutto in una sequela di andata,
Il tempo parte. In se nei tempi da ripresa. È il 6 aprile del 1917 quando parte il cronometro per il regista. Niente pause, solo attese e presunti silenzi.
Il nemico pare non esercizi mai, anzi il nemico è schivare pallottole e pensare di aiutare quando è in difficoltà (la scena dell’aereo in avaria).
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“1917” (id., 2019) è l’ottavo film del regista-sceneggiatore-produttore britannico Sam Mendes.
Il cinema (ri)disegna dei quadri e fa degli scherzi a tutti. Chi vede la finzione pensa di equipararla al reale e chi vuole raccontare il reale (non visto e sentito) sembra dire di riviverlo in corsa e successione senza tempi morti. Ecco che il cinema di Mendes sviluppa poco il contorno, annienta le pause e scaraventa il tutto in una sequela di andata,
Il tempo parte. In se nei tempi da ripresa. È il 6 aprile del 1917 quando parte il cronometro per il regista. Niente pause, solo attese e presunti silenzi.
Il nemico pare non esercizi mai, anzi il nemico è schivare pallottole e pensare di aiutare quando è in difficoltà (la scena dell’aereo in avaria). Anzi il nemico ti pugnala e vorresti aiutarlo: il gesto mortale è fuor inquadratura. Il sangue e la morte si incontrano. Da un aereo colpito e in caduta libera, inizia il vero film dell’ansia e del tempo che (s)corre sulla testa del film stesso.
6 Aprile 1917. Inizio, giorno mese e anno.
1, un piano sequenza che sembra unico. La maestria fa il resto; lo stacco in nero riesce a far cambiare inquadratura e ricominciare la corsa.
9, la prova de nove per un regista che sa sempre cosa fare; prima il film è dopo la storia o navigare, come un tuffo da piattaforma, dentro il corso della storia.
1, aggiungere uno zero per le candidature ai prossimi Oscar; o l’Academy ha preso un abbaglio o il film è di quelli da studiare, o sono tutti fuori di testa o questo registro britannico, da qualche lustro, la sa veramente lunga.
7, il numero di un ricordo e di un racconto, il numero di una corsa che non si ferma mai fino all’arrivo. Alla chiusura dello schermo pare ancora correre tutto mentre immaginiamo Mandes che esce dallo schermo (‘una rosa purpurea della trincea e di un comando imperioso’) e insegue noi comuni spettatori oltre la sala.
Incipit di avvicinamento in un verde anomalo e un fruscio leggero e tranquillo.
La ripresa si ferma sui volti, poi indietreggia e indica la strada per i due fino ad una trincea dove si parte per un incontro, un comando e una corsa senza pausa.
Dentro una trincea per fuggirne, incontro al nemico che di vede poco, terra di nessuno, colori affumicati, acque putride, cadaveri sotto e per galleggiare, ruderi e stanze impolverate, resti e cenere, fuochi e spari, silenzi e carovane da prendere.
Caporale uno: William caparbio e sfinente, solido e sognante; arriva all’incontro; Caporale due: Tom amico e intenso, forte e solidale; è dentro la corsa dell’altro.
Film in ammanto crepuscolare dove cielo, polvere e freddo sono in carreggiata perenne. Dove ogni gesto di ripresa è dentro il set che scorre al nostro sguardo. Dove i nostri occhi e i nostri corpi sono in sintonia con tutto.
Le sequenze seguono le ombre morenti di commilitoni e due in fuga da un pericolo
Storia: è l’ordine da eseguire, portare un dispaccio importante per bloccare la morte sicura di oltre 1600 ragazzi nell’attacco ai tedeschi che strategicamente si sono ritirati oltre la Linea Hindenburg. I due soldati britannici William e Tom hanno il compito di portare il messaggio: la loro corsa è contro il tempo nel mezzo della terra non amica.
Uso della storia: il regista opera un servizio a se stesso per raccontarla senza quasi mai farla vedere; pochi attimi, qualche gesto, un aereo, fuoco e incendio e la corsa fra l’assalto (una scena di grandissima intensità e girata in grande spolvero registico). La storia pare sospesa tra la tecnica pura e la polvere continua
Simboli: la polvere, il fango, l’acqua, il filo spinato, i cadaveri, le pallottole, la posizione, il buio, lo schermo nero, il topo, il salto, le pietre, l’elmetto e il pugnale. Tutto contribuisce come il cielo consunto e la luce scevra di desiderio come di farsi vedere (e farci vedere), come il manto verde iniziale (‘torneranno i prati’ di Ermanno Olmi è una speranza del dopo ma quasi circolare nella follia di una guerra); poi una ragazza e una neonata che si incontrano sotto la bufera in una città spettrale con un incendio da cardiopalma.
Piano sequenza (idea): il piano sequenza unico non c’è, la struttura sembra unica ma restano degli stacci. Certo i tempi e il tempo non corrispondono alla durata del film. Sarebbe stato un qualcosa di eccezionale.
Corsa folle: è lo spettatore che viene coinvolto appieno, follemente fino alla trincea giusta (tra assalti e polvere ovunque).
Ansia e incontro: l’arrivo e il saluto, il fratello e il tenente Blake, il respiro di una vita e l’emozione repressa. Fine di una corsa e incontro frontale, la camera si muove sempre ma lì il contatto umano è essenziale, statuario e commovente.
Cast: George MacKay (William Schofield) e Dean-Charles Chapman (Tom Blake) sono I due soldati votati alla prova attoriale di grande impegno. Riescono con capacità e forza volitiva; si deve dire che tutte le parti sono convincenti con atti ‘retorici’ quasi dovuti. Si ricordano Mark Strong (capitano Smith), Andrew Scott (tenente Leslie), Colin Firth (generale Erinmore) e Benedict Cumberbatch (colonnello MacKenzie).
Fotografia di Roger Deakins: di grande livello, pare e no solo, inneschi l’ansia del film con chiaroscuri opprimenti, grigi fendenti e bui trapelanti; e il fuoco pare un diversivo distruttivo di ogni riuscita e di ogni folle corsa. Un fuoco che arde dentro al sergente che bon si perde d’animo e ricomincia a macinare passi veloci per arrivare al battaglione giusto....
Musica di Thomas Newman: focale e focosa, silente e viscida, rantolante e angusta.
Regia di Sam Mendes: maniacale, intensa, laterale e attorno, dentro l’elmetto.
Voto: 7½ (***½) -cinema di scontro, persuasivo-
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antonio baldini
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mercoledì 29 gennaio 2020
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un esercizio di stile senza arte
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Per carità, ottima regia (unico piano sequenza girato con maestria), ottima la scenografia che non si astiene dal ritrarre anche la "crudità" della guerra coi suoi morti e cadaveri, buona la colonna sonora
Ma la sceneggiatura?
La trama è talmente banale che sembra unicamente un pretesto per fare iniziare il film (una missione da portare a termine, un territorio ostile, un fratello da salvare, un comandante arrogante, una coppia di amici che da come è presentata capisci subito che uno dei due sarà destinato a morire...)
Il film prosegue senza approfondire nessun evento; non ci si può nemmeno appellare al fatto che il film voglia esaltare la freddezza della guerra perchè non c'è nemmeno introspezione dei personaggi, ma rimane sui clichè.
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Per carità, ottima regia (unico piano sequenza girato con maestria), ottima la scenografia che non si astiene dal ritrarre anche la "crudità" della guerra coi suoi morti e cadaveri, buona la colonna sonora
Ma la sceneggiatura?
La trama è talmente banale che sembra unicamente un pretesto per fare iniziare il film (una missione da portare a termine, un territorio ostile, un fratello da salvare, un comandante arrogante, una coppia di amici che da come è presentata capisci subito che uno dei due sarà destinato a morire...)
Il film prosegue senza approfondire nessun evento; non ci si può nemmeno appellare al fatto che il film voglia esaltare la freddezza della guerra perchè non c'è nemmeno introspezione dei personaggi, ma rimane sui clichè. I tedeschi sono tutti cattivi, gli inglesi sono buoni e i francesi si fidano, il protagonista non desidera medaglie ma vorrebbe tornare a casa. Non c'è tempo per soffermarsi su nessun aspetto della storia perchè in realtà ogni cosa che succede sembra solo uno stratagemma per non fare annoiare il pubblico e continuare con il piano sequenza, non ha una vera importanza
Dopo questa lunga carrellata di eventi a sè stanti si arriva al finale che è talmente scontato che gli stessi personaggi sembrano quasi imbarazzati; sono talmente abbozzati che sono incapaci di trasmettere una qualunque emozione
Sinceramente ve lo sconsiglio; non lo paragonerei nemmeno a un videgioco perché a meno di confrontarlo con un Super Mario (trama: Mario deve salvare la principessa da Bowser e alla fine ci riesce) in genere hanno trame più complessse
Questo film è come quando si fa una bella foto alla torre di Pisa o al colosseo; può essere anche bella ma è totalmente impersonale
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[+] un'esperienza di immersione visiva e amplificata
(di antonio montefalcone)
[ - ] un'esperienza di immersione visiva e amplificata
[+] assolutamente d'accordo
(di no_data)
[ - ] assolutamente d'accordo
[+] lo riguardi quando è di buon umore
(di no_data)
[ - ] lo riguardi quando è di buon umore
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jaylee
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domenica 2 febbraio 2020
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oltre la trincee attraverso l’inferno
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6 Aprile 2017, Francia. La Grande Guerra. 2 giovani soldati Britannici sono inviati oltre le loro trincee, nella cosiddetta Terra di Nessuno, per consegnare un messaggio prima dell’alba al Battaglione Devon: non attaccate, è una trappola dei Tedeschi. Tra i 1600 uomini del Devon, il fratello di uno dei due soldati.
Sam Mendes, uno dei migliori registi britannici degli ultimi 20 anni, torna a fare un film di guerra (il primo fu Jarhead, sottovalutata opera del 2005), ed è qui alla sua prima sceneggiatura, ispirata ai racconti di suo nonno. Da un punto di vista della fotografia, 1917 è una meraviglia: un unico piano sequenza di quasi 2 ore che seguono i due compagni dall’inizio alla fine (con qualche accorgimento tecnico per i montaggi, che comunque sono praticamente invisibili) e l’effetto è quello di un coinvolgimento emotivo incredibile.
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6 Aprile 2017, Francia. La Grande Guerra. 2 giovani soldati Britannici sono inviati oltre le loro trincee, nella cosiddetta Terra di Nessuno, per consegnare un messaggio prima dell’alba al Battaglione Devon: non attaccate, è una trappola dei Tedeschi. Tra i 1600 uomini del Devon, il fratello di uno dei due soldati.
Sam Mendes, uno dei migliori registi britannici degli ultimi 20 anni, torna a fare un film di guerra (il primo fu Jarhead, sottovalutata opera del 2005), ed è qui alla sua prima sceneggiatura, ispirata ai racconti di suo nonno. Da un punto di vista della fotografia, 1917 è una meraviglia: un unico piano sequenza di quasi 2 ore che seguono i due compagni dall’inizio alla fine (con qualche accorgimento tecnico per i montaggi, che comunque sono praticamente invisibili) e l’effetto è quello di un coinvolgimento emotivo incredibile. In fin dei conti non sappiamo niente o quasi dei 2 personaggi (il nome di battesimo verrà rivelato quasi alla fine), ma con loro siamo intrappolati nelle immagini, nell’ansia di non sapere cosa ci aspetta oltre quella altura, oltre la trincea, dietro il muro. E ovviamente il tempo che, come recita il pay-off del film, è il nemico.
Questo 1917 ci ha ricordato un altro grande capolavoro, Orizzonti di Gloria di Kubrick del 1957: anche qui Prima Guerra Mondiale, anche qui una famosissima scena di un attacco oltre le trincee ripreso con un singolo piano sequenza, anche qui una complessiva sfiducia nei confronti di chi guida le truppe al macello. C’è anche una scena dove i soldati ascoltano una canzone che in qualche modo ricorda una scena analoga. Ma se, nel caso di Kubrick, la famosa scena dell’assalto durava qualche minuto, qui stiamo parlando di tutto un film, che, vi assicuriamo, sembra durare meno della metà. I due protagonisti (Dean Charles Chapman e George McKay, quest’ultimo che secondo noi avrebbe meritato almeno una candidatura all’Oscar) hanno provato per 6 mesi prima di girare, e francamente ne è valsa la pena.
1917 è Cinema nel senso migliore del termine: spettacolare senza sovrautilizzo di effetti speciali, ambientazioni all’aperto ampie e reali, sintesi della storia in 2 ore. Finalmente un contraltare adeguato alle Serie TV che sembrava ormai avessero lasciato le sale col Grande Schermo alla Disney (con risultati alterni), a Tom Cruise (scegliete voi Mission Impossible o Jack Reacher), a James Bond (a proposito…) o ancora peggio alle baracconate tipo vari Fast &Furious e Transformers.
L’altro confronto è con Dunkirk di Nolan: probabilmente l’altro è un film superiore, ma questo 1917 ha il pregio di voler raccontare non una Impresa Colossale, ma la straordinaria traversata di due giovani uomini, quasi come fosse più grande di loro, ma sempre andando avanti, attraverso crateri, trincee, fiumi, tutti pieni zeppi di cadaveri, chissà se i Loro o i Nostri, quasi come se traversassero l’Inferno stesso nell’unica speranza di salvare i loro fratelli (di sangue e non) almeno un altro giorno.
Che fortuna che Sam Mendes abbia deciso di abbandonare il suo terzo episodio di James Bond. Viva Sam Mendes, Viva Il Cinema. (www.versionekowalski.it)
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greyhound
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sabato 28 marzo 2020
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quel luogo dentro la propria anima
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1917. Un numero, un anno, molteplici significati. La nuova pellicola di Sam Mendes, ispirata al regista inglese da racconti familiari, mette in luce le vicende di due uomini all’interno di quell’immensa carneficina che prende il nome di Prima Guerra Mondiale.
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1917. Un numero, un anno, molteplici significati. La nuova pellicola di Sam Mendes, ispirata al regista inglese da racconti familiari, mette in luce le vicende di due uomini all’interno di quell’immensa carneficina che prende il nome di Prima Guerra Mondiale. Normalmente il cinema ci ha abituati a seguire scontri bellici ambientati durante il conflitto che vide protagonisti gli Alleati e il regime nazista (con l’impero giapponese spesso nel ruolo di comprimario) nel lasso temporale 1939-1945. Invero, il film in questione illustra la durissima vita delle trincee sui campi di battaglia della Francia settentrionale nel corso della seconda decade del ‘900, in quello che può essere considerato come l’ultimo vero conflitto combattuto senza l’ausilio delle macchine.
La trama si dispiega in maniera piuttosto elementare, in quanto il compito dei due giovani caporali è basilare nella sua essenza: comunicare a un’altra unità inglese il mutamento di ordini attinenti un attacco contro fortificazioni tedesche. L’obiettivo non è nient’altro che quello d’assicurarsi la sopravvivenza del maggior numero di soldati ed evitare un’inutile perdita di vite; se poi ciò sia veramente voluto dai comandi militari per un fine diverso da quello della prosecuzione dei combattimenti non è dato sapere allo spettatore. I due protagonisti scelti per una missione al limite del suicidio non potrebbero essere più diversi tra loro: uno è un giovane ciarliero, ottimista e desideroso di compiere la missione senza mai essere attraversato dal dubbio concernente la sua fattibilità (anche in ragione della presenza del fratello nell’unità da salvare); l’altro, al contrario, si dimostra subito perplesso e angosciato dall’ignoto (forse nemmeno troppo) che avrebbe potuto attenderli.
A questo punto ci si potrebbe chiedere quale sia l’elemento che renda il suddetto film di un livello superiore ad altre pellicole d’azione o di guerra in particolare. La risposta giace, semplicemente, non tanto negli eventi che investono i due nel corso del viaggio, bensì come le loro menti (soprattutto quella del taciturno Schofield) ne siano influenzate. E a rendere visibile allo spettatore il cambiamento è fondamentale il sapiente uso della fotografia e del paesaggio, capace di mutare continuamente, passando dall’essere lunare durante l’attraversamento della no man’s land a somigliare all’inferno nella cittadina distrutta dai combattimenti (si veda l’allegoria rappresentata dalla chiesa in fiamme e gli sbandati tedeschi, corpi vaganti senza oramai più direzione), senza dimenticare la quiete del giardino fiorito e l’apparente normalità di una piccola fattoria di campagna.
Ed è proprio successivamente alla “pausa” in quest’oasi di pace e a causa dell’evento che qui si verifica che il cambiamento maggiore nella volontà di Schofield avverrà. Da quel momento in poi esisterà per il caporale precedentemente riottoso un unico scopo: la missione da portare a termine. Forse non tanto in quanto realmente convinto della sua utilità, ma piuttosto in ragione della promessa fatta al compagno e della comprensione di una verità terribile, sconsolante ma al contempo paradossalmente rassicurante in un contesto come quello da lui vissuto; ossia che per uscire, o perlomeno, tentare di liberarsi dal giogo di una situazione non voluta o cercata esista esclusivamente una sola via. Indipendentemente dai costi e dalle difficoltà che essa farà emergere.
Questo punto è sottolineato da tre scene: la prima nell’incontro con la ragazza nascosta nei sotterranei di un caseggiato distrutto, la cui offerta di un nascondiglio per la notte e di un luogo per riposare viene rifiutata senza nemmeno veramente considerare l’offerta; la seconda, invece, ha luogo durante l’incontro con i soldati del reggimento oggetto della missione. Qui il protagonista, sfinito dalla fuga, si abbandona all’ascolto insieme ad altri commilitoni di una preghiera cantata, una sorta di congedo dal mondo in vista dell’imminente assalto e della quasi morte certa che attenderà un gran numero di loro. L’ultima delle tre è quella che colui che scrive considera la più potente ed evocativa: la corsa di Schofield fuori dalla trincea, incurante di essere un bersaglio facile per il nemico, avulso da qualsiasi altra realtà che lo circonda (scena resa con quella corsa perpendicolare rispetto al movimento degli assaltatori), come fosse racchiuso in una bolla spazio-temporale.
Solo nelle ultime immagini del film si capirà ciò che garantiva al protagonista l’audacia e la forza della sua corsa liberatoria. Una verità che permette di comprendere come nel corso di un conflitto (che sia passato o attuale), sul terreno e lontano dalle questione politiche e strategiche delle cancellerie governative, l’unico fattore vero che spinge gli uomini e le donne a combattere è il senso di unione che si crea con chi sta alla propria sinistra e destra, e a cui viene affidata la propria vita. Ma soprattutto la ragione risiede in quel sentimento chiamato amore, che in questo frangente prende la forma di quelle due bambine e di quella donna ritratte nelle fotografie, e in quelle tre semplici parole: “Torna da noi”.
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