L'ospite

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Com'è sincero e disilluso l'amore

di Fabio Ferzetti L'Espresso

Guido ha quasi quarant' anni, una fidanzata che ama molto ma lei forse un po' meno, un libro su Italo Calvino eternamente in gestazione, una serie di amici che lo ospitano a turno quando va via di casa per dare a Chiara il tempo di riflettere (con il contorno di tormenti e scenate che si può immaginare, anche se in Guido sulla collera prevale sempre la malinconia). Ma il bello è che passando da una casa (e da un divano letto) all'altro, Guido, proprio come il Palomar di Calvino, si trova a fare un sacco di scoperte non sempre confortanti. Perché l'imperfezione fa parte della vita, certo, e ogni coppia felice, genitori compresi, è in realtà infelice a modo suo, per non parlare dell'amico affetto da dongiovannismo («Perché ci sei andato a letto di nuovo se già vedi un'altra?» «Non volevo lasciarla di domenica, è nuova in città...»). Ma forse per cambiare, rischiare, magari crescere come il protagonista, citato, de "L'isola di Arturo", bisogna solo accettare tutto questo, imparare dalle mancanze altrui, trovare un posticino nel vasto e non sempre minaccioso caos universale. Diretto dal fiorentino Duccio Chiarini, classe 1977, già autore di due film sommessi e notevoli (il docu "Hit the Road, nonna" e "Short Skin"), interpretato da attori intonatissimi ma estranei al giro dei nomi di sicuro richiamo (Silvia D' Amico, Anna Bellato, Thony, Sergio Pierattini, Milvia Marigliano...), "L'ospite" è il perfetto contraltare al cinema drogato dal marketing che domina in Italia. Nessuna scorciatoia di genere, una sceneggiatura che scorre senza impennate ma sempre attenta al "dolce rumore della vita", anche se non mancano ironia e spunti comici, una regia che privilegia le mezze tinte ma accarezza tutti i personaggi senza giudicarli, lasciando a ognuno il peso delle proprie scelte o dei propri limiti. Torna in mente il giovane Moretti, non solo perché Guido/Daniele Parisi ricorda a tratti Fabio Traversa, e in particolare "La messa è finita". Solo che qui il furore moralistico, il sogno eroico-nevrotico di cambiare il mondo, hanno lasciato il posto alla disillusione di questi eterni precari, alla sincerità anche dolorosa, alle rivolte minime ma di sicuro effetto (la scena con la commissione d'esame). Dettaglio chiave: nell'incertezza generale, la voglia di avere un figlio per una volta è dell'uomo, non della donna. In sala dal 22 agosto.
Da L'Espresso, 11 agosto 2019


di Fabio Ferzetti, 11 agosto 2019

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