Mia (Martina Guzmàn, bravissima) è una giovane argentina molto legata al padre; accompagna il genitore dall’avvocato, perché la madre, Esmeralda (Graciela Borges) si rifiuta di farlo. Mentre il vecchio sta per rispondere ad una domanda dell’avvocato, viene colto da un ictus; Mia raccoglie la cartella del padre che contiene importanti documenti riservati. All’aeroporto Eugenia (Bérénice Bejo), la sorella maggiore proveniente dalla Francia dove vive, viene accolta da Mia; insieme si recano alla grande tenuta di famiglia, “La Quietud” (la calma), un luogo incantato percorso da placidi fiumi.
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Mia (Martina Guzmàn, bravissima) è una giovane argentina molto legata al padre; accompagna il genitore dall’avvocato, perché la madre, Esmeralda (Graciela Borges) si rifiuta di farlo. Mentre il vecchio sta per rispondere ad una domanda dell’avvocato, viene colto da un ictus; Mia raccoglie la cartella del padre che contiene importanti documenti riservati. All’aeroporto Eugenia (Bérénice Bejo), la sorella maggiore proveniente dalla Francia dove vive, viene accolta da Mia; insieme si recano alla grande tenuta di famiglia, “La Quietud” (la calma), un luogo incantato percorso da placidi fiumi. Nella grande villa il padre di Eugenia e Mia è intubato e in coma; la loro madre raccoglie tutta la famiglia per rivedere filmati e foto del passato e si scontra continuamente con la figlia minore su date e contesti storici. Le due sorelle hanno tra loro un affetto che sfiora la fisicità e nella Quietud grava un’atmosfera pesante per colpa di un passato che sta per riemergere …
Trapero, ha esordito nel 1999 con il bel film “Mondo Grua”, opera prima premiata a Venezia 2000 nella settimana della Critica, e di recente ha firmato Il Clan, leone d’argento a Venezia 2015, basato su un fatto di cronaca dei primi anni ’80 in Argentina: Archimede Puccio (impersonato dal gelido Guillermo Francella) sequestrò in casa con l’aiuto dei familiari diverse persone facoltose per chiedere riscatti. Qui Trapero gioca un trio di assi: le tre attrici (la moglie Guzmàn, la Bejo e la Borges) passano da situazioni drammatiche alla farsa, da melò e tragedia a un finale inatteso. Come ne Il Clan il regime dittatoriale stende una rete di perfide alleanze per perseguitare e spogliare gli oppositori del regime e la saldatura tra delinquenza comune e violenza istituzionale esplode in questo film di Trapero, ma non osservato dall’alto, quasi freddamente, come in Garage Olimpo di Marco Bechis (1999), bensì come una irrefrenabile eruzione vulcanica dei terribili segreti della famiglia che accomunano la madre ed il padre di Mia ed Eugenia. Emerge la ragione per la quale la madre ama la primogenita e detesta Mia, travolgendo la figlia giovane e distruggendo la sua venerazione per il padre. E’ un cinema, quello di Trapero, che vuole fare i conti veramente col passato e gli orrori della dittatura militare argentina, per riflettere sulle difficoltà che incontra il cammino democratico nel grande paese sudamericano che ancora non ha completamente elaborato e lasciato alle spalle le contraddittorie eredità populiste del Peronismo? Forse. Fa impressione in questo senso il percorso cinematograficamente parallelo di Pablo Larrain (regista cileno, autore di Tony Manero e di Postmortem con il grande attore Alfredo Castro), che cerca di indagare e recuperare i perché, gli orribili motivi che hanno portato alla feroce dittatura di Pinochet, fatti salvi, è ovvio, storie e contesti sociali molto differenti. Interrogarsi sul populismo, sul mito dell’uomo forte, sulle menzogne costruite per cementare e saldare al grande Capitale strati sociali impoveriti economicamente, culturalmente e idealmente ed in preda alla paura come “il vitello ariano impaurito dal beccaio, che va a farsi macellar!”, è importante per tutti quelli che hanno dimenticato e/o non elaborato oppure non conosciuto il 1900. Anche il finale ottimista, quasi scherzoso del melodrammatico film spinge a consigliarlo: da non mancare.
Valutazione *** e ½
FabioFeli
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