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Il passato, una terra strana in cui nascondere il cuore

di Emiliano Morreale La Repubblica

Dieci inverni si chiamava l'opera prima di Valerio Mieli, e quasi dieci inverni sono passati per il suo secondo film, che ne è in pratica un remake. Ancora una storia d'amore tormentata, tra riprese e addii, che si prolunga, tutt'altro che lineare, nel corso degli anni. Stavolta la novità è l'incrocio dei piani temporali e lo svolgersi della vicenda, come da titolo, sul piano dei ricordi: incerti, angosciosi, ingannevoli, sembrano essere il nutrimento stesso del rapporto. Il regista (anche autore del copione) sembra, nei suoi due film, preda di un'ossessione che indaga continuamente da ogni lato. Ma il versante di questa affezione per una vicenda in fondo minimale è la sincerità contagiosa con cui riesce a trascinare nell'andirivieni cronologico, che correva il rischio di risultare un esercizio di stile, e invece non ha nulla di cerebrale. È come se questa storia fosse un lungo addio fin dall'inizio ("Sai che non avremo mai più un momento così felice, vero?" dice il protagonista alla fine del primo incontro), e l'unica maniera di viverlo fosse appunto il ricordo. Anche perché, a ben vedere, nelle storie d'amore entrano tutti i pezzi delle vite, fin dall'infanzia. (Avete presente quei momenti in cui a letto, chissà perché, le persone cominciano a parlare di episodi remoti della loro vita?) In questo tourbillon anche i momenti a rischio (una breve visualizzazione del Barone rampante di Calvino, alcuni affondi onirici) riescono quasi sempre digeribili. A far funzionare visivamente l'insieme contribuiscono l'acrobatico montaggio di Desideria Rayner e la fotografia di Daria D'Antonio insieme a un sofisticato design sonoro che allinea Bach, Debussy, Cajkovskij, Poulenc. E l'uso dei luoghi: Roma e dintorni hanno un'aria poco consueta, un'atmosfera nebbiosa, sospesa. Luca Marinelli, bravissimo, dopo Una questione privata e il film tv su De André rischia di incarnare troppo spesso ruoli da giovane Werther. Ma del resto, per dirla con una formula, è l'unico attore italiano che riesca a risultare credibile soffrendo per amore, e qui rende accettabile un maudit che poteva avere tratti un po' letterari. Una scoperta è invece Linda Caridi, il cui personaggio è quello che muta di più. C'è solo da augurare a Mieli che al terzo film esca dal suo tema, cambi aria e si apra un po' al mondo.
Da La Repubblica, 21 marzo 2019


di Emiliano Morreale, 21 marzo 2019

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