Sulle sue spalle

Se il prezzo da pagare, per ottenere un po’ di considerazione e giustizia, è quello di passare attraverso il narcisismo occidentale, dove tutto è news del momento, fugacissimo, ingoiamolo, ingoiamolo, questo rospo! Attenzione, ammiro in modo assoluto, ma silenziosamente e a capo chino dalla totale vergogna per il comportamento di certi miei simili, Nadia Murad, come donna, come essere umano, e per la Passione atroce a cui è stata sottoposta. Sono estremamente felice che ogni tanto il premio Nobel per la pace venga affidato a sì gloriose e appropriate mani, veramente per la pace. Ogni tanto? Sembra che il parlamento norvegese abbia spesso difficoltà ad individuare un nome appropriato, sebbene sia in continuazione infranta nel mondo la pace, la libertà, la tolleranza, la giustizia, l’umanità. Forse perché a queste indubbie doti deve coniugarsi il politically ed economically correct. Altrimenti si rischia la fine di Salvador Allende, per rimanere in tema. Una volta di più capisco la condivisione di Cristo, figlio di Dio, del destino dell’uomo, nel toccarne il fondo. Mi immagino …? Ma non diciamolo neanche per ischerzo! Non potrò mai immaginarmi attraverso cosa sia passata Nadia Murad, l’inelaborabile, come in Primo Levi nel campo di sterminio di Auschwitz, qualcosa che ti accompagnerà, anche come incubo nei sogni, fino alla morte. Una vita distrutta, spezzata, frantumata, senza più la linfa della speranza. E adesso vediamolo negli occhi, il film, il “rospo”, di Alexandria Bombach, e diciamo subito che è meglio di niente. Incominciamo subito male, con una selva di individui interessati fondamentalmente solo a farsi il selfie con Nadia Murad. Questo dovrebbe essere messo al bando per l’indecenza, ma sembra sia invece diventata la regola. Continuiamo con un inappropriato giornalismo all’occidentale, apparentemente di scuola statunitense, interessato più alla notizia che alla persona che hanno di fronte, che bombardano (è il caso di dire) con domande per carpirle quelle cose che attizzano di più lo spettatore, e scatenino delle lacrime facili, non consequenziali. Nadia Murad lo ha ben capito e risponde con gentilezza che fare quelle domande non ha senso, e che l’unico senso è quello trovare il modo di fermare quell’obbrobrio e di risparmiare altre sofferenze. Per proseguire con la danza, a momenti farsesca, dei governi e delle nazioni unite, tutti ben satolli e lustri, fondamentalmente interessati a farsi appropriatamente fotografare con la vittima designata, ed occupati a valutarne l’adeguata pubblicità. Nessuno ammette la propria, totale, impotenza, e gli eventuali conflitti di interesse. E non ci sarebbe nulla di male nel guardare negli occhi la verità. Ma la via della falsità è più confortevole. Forse l’unico il Pubblico Ministero per i procedimenti giudiziari per i crimini verso l’umanità che in Grecia, con alle spalle (filmicamente parlando) il disastro di tre campi profughi, ha il coraggio di un esame di realtà. E alla fine non manca neanche Clooney, in una mostra inopportuna dell’immagine, dove si è perduto definitivamente il buon senso, che invece di starsene ben appartato con le sue cialde del caffè, si permette di fare il santo benedicente e intercessore. Forse pensando al prossimo nobel per la pace.