Nome di donna |
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Un film di Marco Tullio Giordana.
Con Cristiana Capotondi, Valerio Binasco, Stefano Scandaletti, Michela Cescon.
continua»
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 90 min.
- Italia 2018.
- Videa
uscita giovedì 8 marzo 2018.
MYMONETRO
Nome di donna ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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Al tema degli abusi non bastano buoni e cattivi
di Emiliano Morreale L'Espresso
Ci sono film al servizio di un tema nobile e rispettabile che, a prescindere dal loro valore estetico, ne hanno uno civile. Ma il confine è sempre sottile, tra film al servizio di un tema e film che vengono divorati dal tema, fino all'inefficacia. Mi sembra questo il caso dell'ultimo film di Marco Tullio Giordana, che parla di molestie sessuali sui luoghi di lavoro. Il film, ricordiamolo, è stato concepito ben prima del caso Weinstein e delle sue ricadute (anche italiane), ma adesso diventa di enorme attualità. Nina (Cristina Capotondi) viene assunta in una casa di riposo gestita da un prete spregiudicato (Bebo Storti) e da un manager laico (Valerio Binasco) che, scopriamo presto, ha l'abitudine di molestare le dipendenti. Quando lui convoca la neoassunta e prova a strusciarsi addosso, lei fugge inorridita e si scontra con il silenzio e l'ostilità delle altre. La parte interessante poteva essere proprio l'analisi dei meccanismi di complicità, sia al livello basso sia in quello alto: l'intreccio tra politica, gerarchie ecclesiastiche e impresa è la parte, almeno politicamente, più nuova; un film ancora da fare. Per raccontare una storia fatta di nulla (non ci sono scene di violenza esplicita, ma dinamiche pervasive di oppressione) ci sarebbe voluto un film tutto di regia, d'atmosfera. Nome di donna invece è l'illustrazione di un copione didascalico (scritto con Cristina Mainardi), in cui tutto è chiaro subito. I dialoghi enunciano pedantemente le psicologie dei personaggi, la loro vita passata e la morale di tutta la storia ("Io ho scelto di lavorare dove tutto comincia, dalla nostra soglia di tolleranza. Prima di cambiare la mentalità degli uomini, si dovrebbe cambiare quella di noi donne", così, per esempio, la sindacalista a cui Nina si rivolge). I personaggi sono pure funzioni: lei angelica, lui orco che guarda torvo e lubrico dalla prima scena: quando, all'ennesima cattiveria in tribunale, imputato e avvocata si guardano ghignando soddisfatti, anche il giudice più ben disposto li manderebbe in carcere sulla fiducia. E poiché la vicenda in sé è esile, le sottotrame e gli sviluppi (la parte con Adriana Asti attrice a riposo, la ricerca dei testimoni, i sotterfugi per ottenere le prove, il confronto di Binasco con la figlia, due processi) si incartano facendo anche perdere efficacia al pamphlet. Allora forse tanto valeva accentuare il versante di fiaba gotica o di feuilleton con la damigella in pericolo, che rimane implicito. Nel complesso, c'è piuttosto un'aria da film dossier, da supporto audiovisivo al dibattito. In prima serata tv, Nome di donna magari funzionerà. Ma il grande schermo in questi casi amplifica i difetti, dalla recitazione alla meccanicità della regia (inconsueta in un autore come Giordana) che alterna le scene dialogate a riprese con il dolly e i droni.
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