flyanto
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martedì 6 novembre 2018
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un folle gesto
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“Museo – Folle Rapina a Città del Messico” del regista messicano Alonso Ruizpalacios è un’opera che lascia molto perplessi in quanto al suo termine non si capisce bene quale sorta di messaggio voglia dare al pubblico, per lo meno originale.
Raccontando di un giovane piuttosto immaturo, senza le idee chiare sul proprio futuro e pertanto ancora mantenuto dalla famiglia e dedito spesso e volentieri a fumare erba, il film presenta l’esistenza vuota ed inconcludente che questo ragazzo conduce, arrivando ad escogitare, per guadagnare facilmente un’ingente somma di denaro, un clamoroso furto al Museo Nazionale di Archeologia di Città del Messico, insieme ad un amico, altrettanto immaturo quanto lui.
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“Museo – Folle Rapina a Città del Messico” del regista messicano Alonso Ruizpalacios è un’opera che lascia molto perplessi in quanto al suo termine non si capisce bene quale sorta di messaggio voglia dare al pubblico, per lo meno originale.
Raccontando di un giovane piuttosto immaturo, senza le idee chiare sul proprio futuro e pertanto ancora mantenuto dalla famiglia e dedito spesso e volentieri a fumare erba, il film presenta l’esistenza vuota ed inconcludente che questo ragazzo conduce, arrivando ad escogitare, per guadagnare facilmente un’ingente somma di denaro, un clamoroso furto al Museo Nazionale di Archeologia di Città del Messico, insieme ad un amico, altrettanto immaturo quanto lui. Il programma stabilito è quello di trafugare dal suddetto museo numerosi pezzi di pregio della civiltà locale pre-ispanica e rivenderli a persone invischiate nel giro del traffico di opere d’arte. Ovviamente non tutto va secondo i loro piani che, peraltro, denotano la mancanza più totale da parte dei due giovani di una benché minima conoscenza di come tali trattazioni si conducano nella realtà. E così si assiste al loro inutile girovagare per le strade del Paese sino al finale più plausibile …..
Ciò, ripeto, che più lascia perplessi in questa pellicola è l’assurdità più totale con cui viene presentata la vicenda, rappresentandola in maniera del tutto irreale (vedi, per citare un esempio, il trafugamento dei reperti archeologici in un museo dove non vi sono né guardiani notturni né tanto meno sistemi d’allarme) e, dunque, poco plausibile da accettarsi. Sebbene il film richiami un ingente furto realmente accaduto decenni fa a Città del Messico per opera di due giovani e l’irrazionalità che lo pervade sia espressamente voluta e ricercata da Ruizpalacios in quanto finalizzata a dimostrare l’immaturità, l’indecisione, insomma lo sbando, in cui la generazione contemporanea dei giovani ora vive, il regista sembrerebbe, quasi, volere rifarsi alla lontana, sia pure in un contesto differente, al ben più noto e riuscito film “Paura e Delirio a Las Vegas” di Terry Gilliam. Riproponendo il viaggio on the road dei due protagonisti sotto l’effetto più o meno continuo di sostanze stupefacenti, Ruizpalacios non raggiunge affatto l’originalità e l’efficacia della suddetta opera cinematografica di Gilliam relegando la propria ad una semplice e mera imitazione di quest’ultima, a tratti anche un poco noiosa.
Gael Garcia Bernal, nella parte del protagonista artefice del grande furto si conferma sempre un bravo attore sebbene qui risulti, purtroppo, un poco sprecato e come, quasi, un ‘alter ego’ del personaggio che nella sopra citata pellicola di Gilliam era stato interpretato da Johnny Depp.
Insomma, nel suo complesso, “Museo” risulta un film deludente e, quasi, pretenzioso nella sua rappresentazione e, pertanto, esso può considerarsi decisamente trascurabile.
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fabioalessandrofile''
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sabato 10 novembre 2018
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un film irrisolto (come il suo protagonista)
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Oltre tutto "MUSEO" è piuttosto noioso, nel suo lungo, lungo "itinerare" inutilmente intorno a due giovanotti poco interessanti anche se realistici (purtroppo non solo in Messico e non solo negli anni '80, anche nel Bel Paese dell' anno 2018) e ben interpretati. La famiglia, quella ed altre, non ci fa proprio una bella figura ma "brilla" rispetto alla ottusa opacità del suo prodotto. Il tutto è imbarazzante, poiché la famiglia e le famiglie appunto sono il prodotto a loro volta della società in cui si muovono: il regista credo ci voglia dare questo "messaggio", non del tutto originale, (in due ore e 10!).
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Oltre tutto "MUSEO" è piuttosto noioso, nel suo lungo, lungo "itinerare" inutilmente intorno a due giovanotti poco interessanti anche se realistici (purtroppo non solo in Messico e non solo negli anni '80, anche nel Bel Paese dell' anno 2018) e ben interpretati. La famiglia, quella ed altre, non ci fa proprio una bella figura ma "brilla" rispetto alla ottusa opacità del suo prodotto. Il tutto è imbarazzante, poiché la famiglia e le famiglie appunto sono il prodotto a loro volta della società in cui si muovono: il regista credo ci voglia dare questo "messaggio", non del tutto originale, (in due ore e 10!). "MUSEO" è, dunque, piuttosto inquietante (anche nel senso di muovere a riflessioni sul minimo "cambiamento" nel pensiero e comportamento umano, giovane e adulto, avveratosi dal 1985 ad oggi) e, forse, questo è l'unico motivo per non cancellare questo film dalla storia del cinema mondiale, come una ripresa "stanca" di altre opere più stimolanti e meglio realizzate (a mio avviso infatti anche la sceneggiatura lascia a desiderare, e il regista spesso si "distrae").
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elgatoloco
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mercoledì 23 settembre 2020
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notevol film sperimentale
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"Museo"(Alonso RUizplacios, anche autore di soggetto e sceneggiatura con Manuel Alcalà, 2018)è un film notevole nella sperimentazione, proprio intesa come b§squeda e come inquisiciòn.: due giovani, di per sé né spostati né"Criminali"rubano al Museo antropolgico di Ciudad de Mexico i pezzi più rari di arte maya e azteca, finché tale furto viene inteso come attentato all'unità nazionale, come atto di mero terrorismo e non riesce piùloro neppure di rivedere sul mercato clandestino tali opere. UN'opera, dicevo, "sperimentale", proprio perchjéi due studenti(uno dei due, figlio di un medico , sta laureandosi in veterinaria, dove gli manca, a quanto sembra, solo la tesi.
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"Museo"(Alonso RUizplacios, anche autore di soggetto e sceneggiatura con Manuel Alcalà, 2018)è un film notevole nella sperimentazione, proprio intesa come b§squeda e come inquisiciòn.: due giovani, di per sé né spostati né"Criminali"rubano al Museo antropolgico di Ciudad de Mexico i pezzi più rari di arte maya e azteca, finché tale furto viene inteso come attentato all'unità nazionale, come atto di mero terrorismo e non riesce piùloro neppure di rivedere sul mercato clandestino tali opere. UN'opera, dicevo, "sperimentale", proprio perchjéi due studenti(uno dei due, figlio di un medico , sta laureandosi in veterinaria, dove gli manca, a quanto sembra, solo la tesi...)non sono bene che cosa f are e dunque... è loro difficile scegliere e orientarsi bene, mentre il loro progetto di vita rimane legato a una"busqueda"contina, dove tonra come"nume tutelare"il Don Juan di Carlos Castanega, ma poi si continua con ben altro... per dire così. Decisamente una scelta curiosa, senza soluzione e vokutamente senza "conclusione"; dato che una conclusione sarebbe sciocca, monca e"inutile", dove i due protagonisti Gael Garcia Bernal e Samuel Russell Beale, ma anche Alfredo Castro, nei panni quest'ultimo del padre di Gael, medico.educatore poco convinto e ormai non dispensatore di consigli e"orientamenti", sono decisamente bravi e convincenti. Il film rende la situazione difficile di un Medixo che con la opresidenza di Andrés Manuel Lopez Obrador quale presidente ha finalmente rotto con la vecchia d estra f a scistoide e "Proprietaria"ma non riesce ancora a produrre altro, rimanendo in parte "appesa"a un contesto di violenza che riproduce ancora vecchi schemi. Un fikm"sfidante"(anche un pubblico "facilone"che vuole situazioni "chiare", evidenti, a pelle e comunaue accessibili immediatamente)e non sa vagare cn il pensiero e l'immaginazione...e, imagino, anche per distributori che vogliono vendere il prodotto"film"come fosse un gelato o un panino o un pezzo di formaggio,,,. El Gato
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carloalberto
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mercoledì 23 settembre 2020
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spot o dramma?
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Film di un giovane regista messicano, Ruizpalacios, alla sua seconda opera, che si colloca a metà strada tra uno spot pubblicitario sulle bellezze archeologiche e naturali del Messico, Palenque e Acapulco come scenari, e una disperata storia di amicizia on the road, in un viaggio a fari spenti alla Battisti per vedere se è poi tanto difficile morire. Tema più che mai attuale è l’adolescenza prolungata all’infinito. Nel 1985 due fuoricorso della facoltà di veterinaria ancora giocano come ragazzi nella loro stanzetta mentre progettano il più eclatante furto d’arte precolombiana nella storia del Messico.
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Film di un giovane regista messicano, Ruizpalacios, alla sua seconda opera, che si colloca a metà strada tra uno spot pubblicitario sulle bellezze archeologiche e naturali del Messico, Palenque e Acapulco come scenari, e una disperata storia di amicizia on the road, in un viaggio a fari spenti alla Battisti per vedere se è poi tanto difficile morire. Tema più che mai attuale è l’adolescenza prolungata all’infinito. Nel 1985 due fuoricorso della facoltà di veterinaria ancora giocano come ragazzi nella loro stanzetta mentre progettano il più eclatante furto d’arte precolombiana nella storia del Messico. Una storia vera che nella realtà ha un finale più drammatico, uno dei due, incarcerato, muore, mentre la pellicola si ferma all’arresto. Tutti i sogni si possono realizzare, incontrare l’attrice di cui si è da sempre innamorati, vedere i tuffatori dalla famosa scogliera di La Quebrada, orinare sotto le torri di Satellite, nata come città dormitorio e ora quartiere di Città del Messico, il mostro che fagocita ogni cosa e di cui non c’è traccia, cancellato dall’immaginario del regista, che preferisce ironizzare sulla polizia sprovveduta o sui guardiani inetti del museo, dimenticando che la sua è una delle città a più elevato tasso di criminalità del mondo. Nei dialoghi con il ricco straniero la solita diatriba tra spagnoli occupanti e civiltà mesoamericane soccombenti e depredate, con una frecciatina agli europei che hanno arricchito i loro musei con opere trafugate. Per la verità di indios non sono di certo i protagonisti della vicenda, bensì una famiglia borghese spagnola. La morte aleggia su tutto. La maledizione di Pakal o del dio pipistrello della cultura zapoteca imperversano nelle fantasie del più scaltro, il leader, mentre il padre dell’amico succube e ingenuo muore da solo in ospedale. L’iconoclastia vecchio stampo sul mito infantile di Babbo natale e la parodia della cena di Natale in famiglia, che sembra uscita da un video dei The Jackal, risultano stantie e poco divertenti. Più incisiva la critica al mondo degli adulti che non si ha la forza di accettare. I genitori tristi e lo zio anziano, che si accompagna ad una giovane ragazza offrendola ai parenti, non possono che essere esempi negativi, presagi di una normalità che si annuncia distruttiva. Tuttavia, l’esclusione dalla società genera sofferenza per cui i due aggiungono ai nomi delle vie del quartiere dove abitano quella dedicata ai veterinari. Forse soltanto il gesto eccezionale offre la possibilità di avere un ruolo ancorché maledetto. La droga non è una via d’uscita dall’impasse, il risveglio è imminente, il gesto eclatante non è risultato salvifico e la società spalanca le porte del carcere nel suo abbraccio, in ogni caso, mortale.
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loland10
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martedì 13 novembre 2018
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balordi da...museo
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“Museo. Una folle rapina a Città del Messico” (Museo, 2018) è il secondo lungometraggio del regisa-sceneggiatore messicano di Alonso Ruizpalacios.
‘La morte è la grande compagnia....’, ‘La morte è il grande eterno…’
‘Quando qualcosa non c’è più ti accorgi di quanto ti manca’.
‘Papà sono un ladro. Si sono un ladro. Sono io’.
Museo in un documento (familiare e di fughe) racconta l’appartenenza a e la cialtroneria, i destini e le vigliaccherie insiste in cervelli poveri di idee e alquanto beceri del nulla vicino.
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“Museo. Una folle rapina a Città del Messico” (Museo, 2018) è il secondo lungometraggio del regisa-sceneggiatore messicano di Alonso Ruizpalacios.
‘La morte è la grande compagnia....’, ‘La morte è il grande eterno…’
‘Quando qualcosa non c’è più ti accorgi di quanto ti manca’.
‘Papà sono un ladro. Si sono un ladro. Sono io’.
Museo in un documento (familiare e di fughe) racconta l’appartenenza a e la cialtroneria, i destini e le vigliaccherie insiste in cervelli poveri di idee e alquanto beceri del nulla vicino. Un fuori testa senza senno e senza senso alcuno. La cultura di un popolo e la balordissima opera di due ragazzi completamente fuori di testa e scemi litigano per non conoscersi mai. Il fiume delle speranze vane e di ambienti parentali lontani da certe fustigazioni e notizie televisive.
Film di commistione tra storia di un paese, gesto scriteriato e riunione famigliare.
Tutto incorniciato tra un Natale da vivere insieme, dei gesti semplici e dei genitori e parenti che non aspettano altro che aprire i regali. Ma un figlio come Juan non ha la testa lì ma altrove. Vuole vivere dell’espediente massimo una rapina al Museo Nazionale di Antropologia per prendere dei pezzi rarissimi e rivenderli per molto denaro. Tutto questo al suo amico di infanzia Benjamin. Si incontrano da sempre, da quando sono nati al ‘solito posto’. Anche quella notte a mezzanotte esatta si devono vedere al solito posto. Juan prende la macchina del padre. Ed ecco che il luogo musicale diventa adito alla storia reale di un mondo antico.
Siamo di fronte ad un racconto di un fatto realmente accaduto nella notte tra il 25 e il 26 dicembre del 1985. Due studenti fuori regola, fuori corso, con poca voglia di lavoro poca voglia di aspirare a qualcosa , poca voglia di ingegnarsi, riescono a sbandierarsi una follia di una rapina senza senso e con minima accortezza logica. Tutto riesce, tutto sembra andare bene, il loro regalo o meglio i loro regali sono da incartare per portarli fuori dal museo. Pezzi di vera storia, maschera unica, vasi senza prezzo e moltissimi oggetti invidiabili di bellezza e rarità assoluta.
La balordaggine arriva durante ma soprattutto dopo. Ragazzi senza sennò che vogliono fare notte di sesso estremo ma senza protezione alcuna. Rubano L’impossibile ma dopo non sono protetti da nulla o quasi. La tv è lì a dare notizia, Juan ascolta a casa sua come se fosse estraneo mentre il padre inveisce contro questi ladri senza nulla addosso. Una vergogna nazionale. Il figlio è lì , il ladro è accanto, il coglione senza esagerazione è lì nei suoi presso come un deficiente di anticultura messicana.
Il bello o meglio il brutto è vendere il tutto. Juan e Benjamin ci mettono tutto l’impegno. ‘Ma cosa volete...un milione....’ ‘Non hanno prezzo perché non si possono vendere....sono inestimabili’. Non si rendono conto di una balordaggine assoluta.
Il Messico trova in questa storia tutta vera l’encomio massimo della pochezza della loro stessa vita raccontata dai loro avi. Il museo nazionale aperto, rotto, derubato è narrazione di aprire il vuoto narrativo di una storia non conosciuta. L’avidità, il successo becero, il denaro senza gusto portano a fare delle scemenze di ragazzo senza volto e senza una fisionomia di vita. Il loro solito posto, di Juan e Benjamin, è il solito posto del nulla-fare dei nulla facenti e del non rispetto di tutto. Il paese è decostruito e spremuto di ogni supiditò da una rapina veramente folle.
Gli schiaffi del padre e il pianto amaro della madre a Juan danno il senso vero di un fallimento totale. È il bacio della violenza interiore. Amare un figlio e forse aiutarlo a farlo capire. Il ridonare tutto...il ridare tutto per la ricompensa anche lì solo per denaro. Avidità e basta. Chi sa se il padre agisce per il figlio o per senso di colpa?
L’ultima inquadratura con la musica altissima e roboante mentre tutto attorni i poliziotti....è l’emblema di un cinema importato della vicina America....quella riccona che non bada a spese. Il Messico si specchia con se stesso parafrasando con il genere cinema come emblema di una cultura che non si è mai sotto(sopra)valutata. Cinema di accerchiamento e maschere di culture da ritrovare per tutti. Un fermo immagine finale che colpisce per l’alto(basso) respiro profilo del gioco cinema.
Il film del cineasta messicano colpisce per la frammentarietà del racconto e per l’accurata scelta di alcuni posti. La provincia poverissima, il degrado culturale, i personaggi incidenti, le Adidas come prezzo giovanile e le teste vuote di ogni senso di civiltà.
Gael Garcìa Bernal-attore a tutto tondo- (Juan Nunez) e Leonardo Ortizgris (Benjamin Wilson) coppa da faccia da perdere con il Juan cazzaro e instupidito del nulla facente. Segni giusti e architetture oblique. Basta vedere gli incontri con il cosiddetto intermediario e il probabile acquirente. Dialoghi surreali, massimi e movimentati.
Voto: 7/10 (***½).
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cardclau
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domenica 4 novembre 2018
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difficoltà di diventare adulto
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A sentire i mugugni sonori del pubblico al termine della proiezione, dopo più di 2 ore ininterrotte di “sopportazione”, saresti portato a pensare che al film Museo – Folle Rapina a Città del Messico, del regista Alonso Ruizpalacios, sarebbe stato preferibile aver passato quel tempo in amabile compagnia, con una pizza, anche un’umile margherita, e un frizzante boccale di birra con le bollicine. Chiariamo subito i possibili fraintendimenti. Se ti fossi aspettato un banale e diretto film di cronaca sulla folle rapina a città del Messico, 140 pezzi formidabili dell’arte e storia Maya al Museo Nazionale di Antropologia, sul furto di un patrimonio dell’umanità, ovviamente invendibile, avresti tutte le ragioni.
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A sentire i mugugni sonori del pubblico al termine della proiezione, dopo più di 2 ore ininterrotte di “sopportazione”, saresti portato a pensare che al film Museo – Folle Rapina a Città del Messico, del regista Alonso Ruizpalacios, sarebbe stato preferibile aver passato quel tempo in amabile compagnia, con una pizza, anche un’umile margherita, e un frizzante boccale di birra con le bollicine. Chiariamo subito i possibili fraintendimenti. Se ti fossi aspettato un banale e diretto film di cronaca sulla folle rapina a città del Messico, 140 pezzi formidabili dell’arte e storia Maya al Museo Nazionale di Antropologia, sul furto di un patrimonio dell’umanità, ovviamente invendibile, avresti tutte le ragioni. Anche se il film giustamente ti segnala: “la gente di solito si accorge del valore di una cosa, quando la perde”. Così delle relazioni, così della storia e del contributo degli innumerevoli esseri umani per farla. Ma non si tratta dell’autocompiacimento di una storia semplice, e semplicemente raccontata, in fondo di una ragazzata, ma del tentativo, fellinianamente per i suoi aspetti onirici, di sondare eventuali motivazioni di un gesto apparentemente assurdo, quindi folle, quindi inspiegabile, e rapidamente come tale archiviato, e la sua condotta. Il protagonista della vicenda è un giovane, Juan Nuñez (Gael García Bernal) in preda ad un lampante disorientamento generazionale, aiutato da un amico altrettanto disorientato, Benjamin Wilson (Leonardo Ortizgris). Dove si riconosce il disorientamento di Juan? È giovane, un laureando in Veterinaria, ma di veterinario nella sua vita c’è poco, all’interno di una famiglia allargata apparentemente coesa e caciarosa, dove vige invece molta solitudine, la scarsa visibilità. Ed è alla ricerca del suo ruolo e del suo posto di adulto. Il padre è un medico molto preso dalla serietà della sua professione, poco disponibile ad avere una qualche intimità col figlio. La madre si limita a piagnucolare messa di fronte al gesto del figlio, in precedenza non l’avevamo mai vista. Ma dei segnali del disagio di Juan li avevamo già intravisti. Forse il più clamoroso, e nel contempo più crudele, era stato quello di rivelare con noncuranza ad un piccolino, e quindi a tutti gli altri, che Babbo Natale non esiste, che lui non vale in quanto tale, così per una specie di magia, ma che i doni sono sbrigativamente comperati dai genitori. Certo è che Juan si imbarca in una vicenda più grande di lui, che riesce a sostenersi per tutta la sua durata perché il regista la descrive con aspetti sognanti. Juan emerge alla fine in modo particolarmente convincente, non cerca giustificazioni, ma si prende la responsabilità di quello che ha fatto, senza coinvolgere nessuno, non Benjamin, da adulto.
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