Museo - Folle Rapina a Città del Messico |
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Un film di Alonso Ruizpalacios.
Con Gael García Bernal, Leonardo Ortizgris, Alfredo Castro, Simon Russell Beale.
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Titolo originale Museo.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 128 min.
- Messico 2018.
- I Wonder Pictures
uscita mercoledì 31 ottobre 2018.
MYMONETRO
Museo - Folle Rapina a Città del Messico
valutazione media:
2,90
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Difficoltà di diventare adultodi cardclauFeedback: 12012 | altri commenti e recensioni di cardclau |
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domenica 4 novembre 2018 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
A sentire i mugugni sonori del pubblico al termine della proiezione, dopo più di 2 ore ininterrotte di “sopportazione”, saresti portato a pensare che al film Museo – Folle Rapina a Città del Messico, del regista Alonso Ruizpalacios, sarebbe stato preferibile aver passato quel tempo in amabile compagnia, con una pizza, anche un’umile margherita, e un frizzante boccale di birra con le bollicine. Chiariamo subito i possibili fraintendimenti. Se ti fossi aspettato un banale e diretto film di cronaca sulla folle rapina a città del Messico, 140 pezzi formidabili dell’arte e storia Maya al Museo Nazionale di Antropologia, sul furto di un patrimonio dell’umanità, ovviamente invendibile, avresti tutte le ragioni. Anche se il film giustamente ti segnala: “la gente di solito si accorge del valore di una cosa, quando la perde”. Così delle relazioni, così della storia e del contributo degli innumerevoli esseri umani per farla. Ma non si tratta dell’autocompiacimento di una storia semplice, e semplicemente raccontata, in fondo di una ragazzata, ma del tentativo, fellinianamente per i suoi aspetti onirici, di sondare eventuali motivazioni di un gesto apparentemente assurdo, quindi folle, quindi inspiegabile, e rapidamente come tale archiviato, e la sua condotta. Il protagonista della vicenda è un giovane, Juan Nuñez (Gael García Bernal) in preda ad un lampante disorientamento generazionale, aiutato da un amico altrettanto disorientato, Benjamin Wilson (Leonardo Ortizgris). Dove si riconosce il disorientamento di Juan? È giovane, un laureando in Veterinaria, ma di veterinario nella sua vita c’è poco, all’interno di una famiglia allargata apparentemente coesa e caciarosa, dove vige invece molta solitudine, la scarsa visibilità. Ed è alla ricerca del suo ruolo e del suo posto di adulto. Il padre è un medico molto preso dalla serietà della sua professione, poco disponibile ad avere una qualche intimità col figlio. La madre si limita a piagnucolare messa di fronte al gesto del figlio, in precedenza non l’avevamo mai vista. Ma dei segnali del disagio di Juan li avevamo già intravisti. Forse il più clamoroso, e nel contempo più crudele, era stato quello di rivelare con noncuranza ad un piccolino, e quindi a tutti gli altri, che Babbo Natale non esiste, che lui non vale in quanto tale, così per una specie di magia, ma che i doni sono sbrigativamente comperati dai genitori. Certo è che Juan si imbarca in una vicenda più grande di lui, che riesce a sostenersi per tutta la sua durata perché il regista la descrive con aspetti sognanti. Juan emerge alla fine in modo particolarmente convincente, non cerca giustificazioni, ma si prende la responsabilità di quello che ha fatto, senza coinvolgere nessuno, non Benjamin, da adulto.
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