Museo - Folle Rapina a Città del Messico

   
   
   

spot o dramma? Valutazione 3 stelle su cinque

di carloalberto


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mercoledì 23 settembre 2020

 Film di un giovane regista messicano, Ruizpalacios, alla sua seconda opera, che si colloca a metà strada tra uno spot pubblicitario sulle bellezze archeologiche e naturali del Messico, Palenque e Acapulco come scenari, e una disperata storia di amicizia on the road, in un viaggio a fari spenti alla Battisti per vedere se è poi tanto difficile morire. Tema più che mai attuale è l’adolescenza prolungata all’infinito. Nel 1985 due fuoricorso della facoltà di veterinaria ancora giocano come ragazzi nella loro stanzetta mentre progettano il più eclatante furto d’arte precolombiana nella storia del Messico. Una storia vera che nella realtà ha un finale più drammatico, uno dei due, incarcerato, muore, mentre la pellicola si ferma all’arresto. Tutti i sogni si possono realizzare, incontrare l’attrice di cui si è da sempre innamorati, vedere i tuffatori dalla famosa scogliera di La Quebrada, orinare sotto le torri di Satellite, nata come città dormitorio e ora quartiere di Città del Messico, il mostro che fagocita ogni cosa e di cui non c’è traccia, cancellato dall’immaginario del regista, che preferisce ironizzare sulla polizia sprovveduta o sui guardiani inetti del museo, dimenticando che la sua è una delle città a più elevato tasso di criminalità del mondo. Nei dialoghi con il ricco straniero la solita diatriba tra spagnoli occupanti e civiltà mesoamericane soccombenti e depredate, con una frecciatina agli europei che hanno arricchito i loro musei con opere trafugate. Per la verità di indios non sono di certo i protagonisti della vicenda, bensì una famiglia borghese spagnola. La morte aleggia su tutto. La maledizione di Pakal o del dio pipistrello della cultura zapoteca imperversano nelle fantasie del più scaltro, il leader, mentre il padre dell’amico succube e ingenuo muore da solo in ospedale. L’iconoclastia vecchio stampo sul mito infantile di Babbo natale e la parodia della cena di Natale in famiglia, che sembra uscita da un video dei The Jackal, risultano stantie e poco divertenti. Più incisiva la critica al mondo degli adulti che non si ha la forza di accettare. I genitori tristi e lo zio anziano, che si accompagna ad una giovane ragazza offrendola ai parenti, non possono che essere esempi negativi, presagi di una normalità che si annuncia distruttiva. Tuttavia, l’esclusione dalla società genera sofferenza per cui i due aggiungono ai nomi delle vie del quartiere dove abitano quella dedicata ai veterinari. Forse soltanto il gesto eccezionale offre la possibilità di avere un ruolo ancorché maledetto. La droga non è una via d’uscita dall’impasse, il risveglio è imminente, il gesto eclatante non è risultato salvifico e la società spalanca le porte del carcere nel suo abbraccio, in ogni caso, mortale.

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