dariobottos
|
venerdì 21 dicembre 2018
|
gotico friulano, bello senz'anima
|
|
|
|
Nel film prevale una visione estetizzante e iconografica della storia, con immagini scolpite come rappresentazioni gotiche di maniera e tempi lunghi, molto lunghi, ma non necessari, intesi forse a creare l'idea di un'età mitica e - per così dire - sacrale, e a riproporre quel tipo di narrazione delle antiche classi marginali sotto il velo della partecipazione solidale e quasi nostalgica, un po' come Olmi, o Pasolini. Ma il risultato è diverso. In questo film manca la tensione etica.
Poteva essere una sfida davvero interessante portare sullo schermo quello splendido e imprescindibile saggio di Ginzburg "Il formaggio e i vermi: il cosmo di un mugnaio del '500" che ha fatto da traccia al film, se del saggio si fossero prese quelle parti di tipo "giudiziario" che hanno portato alla luce un epico e paradigmatico (per quanto piccolo) scontro tra una cultura egemone e una subalterna, ma nutrita di una autocoscienza meravigliosamente anticipatrice.
[+]
Nel film prevale una visione estetizzante e iconografica della storia, con immagini scolpite come rappresentazioni gotiche di maniera e tempi lunghi, molto lunghi, ma non necessari, intesi forse a creare l'idea di un'età mitica e - per così dire - sacrale, e a riproporre quel tipo di narrazione delle antiche classi marginali sotto il velo della partecipazione solidale e quasi nostalgica, un po' come Olmi, o Pasolini. Ma il risultato è diverso. In questo film manca la tensione etica.
Poteva essere una sfida davvero interessante portare sullo schermo quello splendido e imprescindibile saggio di Ginzburg "Il formaggio e i vermi: il cosmo di un mugnaio del '500" che ha fatto da traccia al film, se del saggio si fossero prese quelle parti di tipo "giudiziario" che hanno portato alla luce un epico e paradigmatico (per quanto piccolo) scontro tra una cultura egemone e una subalterna, ma nutrita di una autocoscienza meravigliosamente anticipatrice. Un film più "colto" avrei voluto, con citazioni più ampie del pensiero rivoluzionario di questo oscuro mugnaio della Valcellina, un pensiero del quale si vorrebbe comprendere la genesi. Il film sembra proporre una risposta che nel saggio non c'è, richiamandosi forse ad un altro grande saggio sempre di storia friulana di Ginzburg, "I benandanti". Il rito propiziatorio e notturno del figlio di Menocchio che indossa una testa scarnificata di cavallo per scongiurare l'esito fatale del processo per eresia del padre, gli incubi dello stesso Menocchio popolati da visioni di sabba con personaggi mascherati con i grotteschi mascheroni di legno del folclore Carnico (episodi che nel saggio non ci sono), rimandano piuttosto ad un Friuli pagano ed arcaico, sotterraneo e notturno, che riaffiora con andamento carsico diventando quasi un cliché; laddove invece Ginzburg nel saggio presuppone una coscienza risvegliata in Menocchio da letture indisciplinate ma colte, elaborate da un'intelligenza arguta e curiosa, e da influssi della geograficamente e storicamente vicina riforma protestante.
Poteva essere una sfida davvero interessante, andare oltre un "gotico friulano".
[-]
|
|
[+] lascia un commento a dariobottos »
[ - ] lascia un commento a dariobottos »
|
|
d'accordo? |
|
avvelenato
|
domenica 23 aprile 2023
|
che peccato...
|
|
|
|
Peccato che tutta questa esaltazione tecnica del primissimo piano, del dettaglio e delle lunghe sequenze "espressive (?)", abbiano preso il posto a una sintesi narrativa del ragionamento "eretico-contadino" del personaggio Menocchio. L'idea è partita bene: le facce, gli attori...fotografia..... facciamo pure il chiaroscuro caravaggesco, va. Però ne esce prepotentemente fuori, secondo il mio punto di vista, il piacere impiacentito del regista, e poco la sostanza delle sue spontanee idee che si scontrano nell'epoca della Controriforma. Va bene, il film non si basa sulla versione di Carlo Ginzburg, ma, io credo, almeno i "fondamentali" che lo storico ha evidenziato (e direi ben evidenziato), potevano essere presi in considerazione in nome di un servizio "culturale" che il film avrebbe dovuto compiere.
[+]
Peccato che tutta questa esaltazione tecnica del primissimo piano, del dettaglio e delle lunghe sequenze "espressive (?)", abbiano preso il posto a una sintesi narrativa del ragionamento "eretico-contadino" del personaggio Menocchio. L'idea è partita bene: le facce, gli attori...fotografia..... facciamo pure il chiaroscuro caravaggesco, va. Però ne esce prepotentemente fuori, secondo il mio punto di vista, il piacere impiacentito del regista, e poco la sostanza delle sue spontanee idee che si scontrano nell'epoca della Controriforma. Va bene, il film non si basa sulla versione di Carlo Ginzburg, ma, io credo, almeno i "fondamentali" che lo storico ha evidenziato (e direi ben evidenziato), potevano essere presi in considerazione in nome di un servizio "culturale" che il film avrebbe dovuto compiere.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a avvelenato »
[ - ] lascia un commento a avvelenato »
|
|
d'accordo? |
|
zoom e controzoom
|
martedì 13 novembre 2018
|
fotografia bella ruba il senso
|
|
|
|
Da subito si sprofonda nei forti contrasti, luce ombra, che esaltano i tratti vissuti di un Menocchio immobilizzato nel suo dramma e nelle sue convinzioni. Stesso trattamento per gli altri interpreti. Questo aspetto plasma tutto il percorso filmico, tenendoci dentro ai primi piani che poco lasciano all'autonomia del racconto sul dove, come, quando, perchè.
Le immagini del volto, sono così forti e prolungate che s'impadroniscono della scena diventando esse e solo esse, un racconto ma circoscritto al soggetto stesso. Con i tempi prolungati dell'obiettivo sulla medesima immagine, anche 40" se non di più, ci si sente più davanti ad un quadro che ad un evento.
[+]
Da subito si sprofonda nei forti contrasti, luce ombra, che esaltano i tratti vissuti di un Menocchio immobilizzato nel suo dramma e nelle sue convinzioni. Stesso trattamento per gli altri interpreti. Questo aspetto plasma tutto il percorso filmico, tenendoci dentro ai primi piani che poco lasciano all'autonomia del racconto sul dove, come, quando, perchè.
Le immagini del volto, sono così forti e prolungate che s'impadroniscono della scena diventando esse e solo esse, un racconto ma circoscritto al soggetto stesso. Con i tempi prolungati dell'obiettivo sulla medesima immagine, anche 40" se non di più, ci si sente più davanti ad un quadro che ad un evento. Non aiutano, complice l'invarire espressivo, ad entrare nel personaggio che peraltro, non essendo attori professionisti, pur affascinanti nei tratti, hanno sguardi che non rivelano, che "non parlano", ma sono sguardi fermi, che non vivono. Le figure dei prelati e monaci e preti, rientrano in clichè quasi scontati e vagamente grotteschi.
L'aspetto interessante, ma aimè appena sfiorato, è la situazione degli amici di Menocchio, che lo seguivano senza essere seguaci, si presume in aperte discussioni e si fanno presenti presso l'amico scongiurandolo di salvarsi, negando il suo credo, anzi "non credo". Punto importante questo, anche per la figura dello stesso menocchio, ma appunto, appena sfiorato.
Quindi, pur avendo portato alla ribalta una figura poco conosciuta, questo non è un film didattico, ma nonè nemmeno intimistico, non è nemmeno provocatorio...è un film statico con una bella galleria di foto di volti con i tratti luminosi delle barbe in controluce, le rughe tracciate come i lunghi cuniculi della prigione (anche quelli percorsi con tempi insopportabili), i mascheroni danzanti di un folklore che poco c'entra con lo stile fotografico che predomina.
Film godibile per queste immagini pur spossanti per la durata, ma chiamarlo "film" solo perchè ha portato alla conoscenza l'esistere di un uomo della Val Cellina, è decisamente fuori luogo mancando una narrazione filmica perchè incentrato sulle immagini fotografiche dei volti.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a zoom e controzoom »
[ - ] lascia un commento a zoom e controzoom »
|
|
d'accordo? |
|
|