simosera92
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sabato 27 gennaio 2018
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un ritratto sbiadito di un'italia che sopravvive
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Luciano Ligabue torna nei panni di regista dopo 16 anni dal suo ultimo film. Più vicino a "Radiofreccia" che a "Da zero a dieci" Made in Italy è una dichiarazione d'amore frustato verso l'Italia come dichiarato più volte dallo stesso cantautore. Riko e Sara, interpretati rispettivamente da un'eccezionale Stefano Accorsi e da una sorprendente Kasia Smutniak sono i protagonisti di questo racconto tratto dall'ononimo concept album di Ligabue. Il film è fluido ma trova i suoi punti deboli proprio nella traslazione, a tratti forzata, dalle canzoni alle immagini dove Riko apprare a tratti inverosimilmente sfigato. Ligabue tira fuori il meglio della storia proprio nella parte iniziale e finale dove spicca una certa libertà nella scenaggiatura.
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Luciano Ligabue torna nei panni di regista dopo 16 anni dal suo ultimo film. Più vicino a "Radiofreccia" che a "Da zero a dieci" Made in Italy è una dichiarazione d'amore frustato verso l'Italia come dichiarato più volte dallo stesso cantautore. Riko e Sara, interpretati rispettivamente da un'eccezionale Stefano Accorsi e da una sorprendente Kasia Smutniak sono i protagonisti di questo racconto tratto dall'ononimo concept album di Ligabue. Il film è fluido ma trova i suoi punti deboli proprio nella traslazione, a tratti forzata, dalle canzoni alle immagini dove Riko apprare a tratti inverosimilmente sfigato. Ligabue tira fuori il meglio della storia proprio nella parte iniziale e finale dove spicca una certa libertà nella scenaggiatura. Made in Italy è un degno ritorno alla regia di Ligabue, non un capolavoro ma sicuramente una bella, sincera e amara fotografia di un'Italia che sopravvive.
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lucascialo
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sabato 12 maggio 2018
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come sarebbe stata la vita di freccia?
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Come sarebbe stata la vita di Freccia se si fosse salvato dalle pere? Una domanda che i fan di Liga si sono posti poco dopo aver visto Radiofreccia, il primo fortunato film di Luciano Ligabue. Il quale, a distanza di vent'anni, ci fornisce una probabile risposta. Un quarantenne mai realmente maturato, con un lavoro da fabbrica ancora che detesta (sebbene il tipo di produzione sia diverso), un Paese e un Mondo che gli fanno schifo, infedele con la moglie, un padre che vorrebbe un figlio distaccato, voglia di scappare da una Correggio che gli sta ancora stretta. Anche se, come lui stesso disse in radio, "credo che da te non ci scappi neanche se sei Eddy Merckx". I due film, sono uniti da una retta fatta da diverse similitudini.
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Come sarebbe stata la vita di Freccia se si fosse salvato dalle pere? Una domanda che i fan di Liga si sono posti poco dopo aver visto Radiofreccia, il primo fortunato film di Luciano Ligabue. Il quale, a distanza di vent'anni, ci fornisce una probabile risposta. Un quarantenne mai realmente maturato, con un lavoro da fabbrica ancora che detesta (sebbene il tipo di produzione sia diverso), un Paese e un Mondo che gli fanno schifo, infedele con la moglie, un padre che vorrebbe un figlio distaccato, voglia di scappare da una Correggio che gli sta ancora stretta. Anche se, come lui stesso disse in radio, "credo che da te non ci scappi neanche se sei Eddy Merckx". I due film, sono uniti da una retta fatta da diverse similitudini. Il protagonista tormentato ancora una volta interpretato da Stefano Accorsi; sullo sfondo una Correggio che non smette di essere "una piccola città eterna", dal clima "più brutto del mondo" come dice Sara (interpretata da una intensa e meno bambolina Kasia Smutniak) alla moglie del collega indiano di Rico che li ha invitati a pranzo; gli amici altrettanto immaturi, sognatori, che non si stancano mai di frequentarsi e di prendersi in giro a vicenda; la droga, che a questo giro uccide ancora uno dei protagonisti. Ma non solo. Luciano Ligabue, attraverso la vita tormentata di Ricko, ci fotografa egregiamente il nostro Paese e il tempo che sta vivendo. La crisi di una istituzione una volta inattaccabile nel nostro Paese quale il matrimonio. La crisi occupazionale, che investe pure Rico, costretto a salire su una temutissima scala che porta alla direzione della sua ditta che insacca salumi, per sentirsi dire che è di troppo. Un peso troppo grande per chi non è più giovane e ha una famiglia. Al punto da tentare il suicidio. Ma il film cerca di rispondere anche ad un'altra domanda: come sarebbe stata la vita di Ligabue se non avesse fatto il cantante? Del resto, lo ha ammesso lo stesso Liga, vedendo in Rico un suo alter ego. La pellicola, insomma, è un mix dei due film precedenti del cantante emiliano. Che comunque si mostra più maturo dietro la macchina da presa. A dimostrarci che di acqua del Po sotto i ponti ne è passata. Così come innumerevoli dischi e concerti. Lui che è uno che "non si lascia stare". Che quando ha una idea, e ne ha tante, comunque ci prova, anche a rischio di sbagliare. A fare da colonna sonora al film è l'omonimo ultimo album di Ligabue, un concept album politico, di quelli che si facevano negli anni '70. E che hanno visto il rocker di Correggio esporsi particolarmente e completamente, tentando qualcosa di diverso dalle canzoni collaudate ormai da un ventennio. E chiedersi se nella testa sempre verde del rocker di Correggio sia nato prima il disco o il film, è come chiedersi se sia nato prima l'uovo o la gallina. E poi perchè chiederselo?
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flyanto
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lunedì 29 gennaio 2018
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una coppia profondamente disillusa
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Dopo circa 20 anni, ritorna alla regia e dunque nelle sale cinematografiche italiane, il cantante Luciano Ligabue con il film "Made in Italy", un ritratto quanto mai realistico di una coppia che vive in una cittadina della provincia emiliana. La coppia in questione è formata da individui di circa 40/45 anni, di modesta estrazione sociale e con un figlio adolescente con la passione per la regia che ambisce a frequentare il DAMS di Bologna. I due coniugi vivono un'esistenza ormai stanca in seguito a svariati avvenimenti e conseguenti delusioni che hanno contribuito a raffreddare di molto il loro rapporto, arrivando anche a tradirsi entrambi con altri partners.
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Dopo circa 20 anni, ritorna alla regia e dunque nelle sale cinematografiche italiane, il cantante Luciano Ligabue con il film "Made in Italy", un ritratto quanto mai realistico di una coppia che vive in una cittadina della provincia emiliana. La coppia in questione è formata da individui di circa 40/45 anni, di modesta estrazione sociale e con un figlio adolescente con la passione per la regia che ambisce a frequentare il DAMS di Bologna. I due coniugi vivono un'esistenza ormai stanca in seguito a svariati avvenimenti e conseguenti delusioni che hanno contribuito a raffreddare di molto il loro rapporto, arrivando anche a tradirsi entrambi con altri partners. L'uomo, che lavora in uno stabilimento dove si producono insaccati, cerca di sopportare la propria grigia esistenza frequentando spesso nei momenti liberi ed alla sera i propri amici di vecchia data a cui è molto legato. Nel corso della vicenda, accadranno ulteriori eventi quali, per esempio, quello della morte improvvisa di un caro amico e quello finale di venire improvvisamente licenziato dallo stabilimento, che condurranno il protagonista verso un profondo stato depressivo da cui sarà per lui difficile uscire.....
Dopo "Radio Freccia" , il più maturo Ligabue presenta un altro ritratto della vita della sua natia provincia emiliana: se prima aveva preso in esame gli anni '70 con la nascita delle radio libere e l'abuso facile delle droghe da parte dei giovani e, dunque, del protagonista, in "Made in Italy" il regista ritrae la vita quotidiana di una contemporanea coppia di persone sulla quarantina che nel corso degli anni è approdata ad una seria e profonda crisi del proprio rapporto. Quanto mai realistico, ma anche piuttosto crudamente, Ligabue fa il punto della situazione o, meglio, di una situazione comune, che, ovviamente con le dovute differenze, indurrà molti a rispecchiarvisi. Il suo ritratto più che pessimista è reale dove, a momenti bui (per lo più) si alternano anche momenti più positivi e carichi di speranza. Il film, infatti, termina con un finale perfettamente confacente alla situazione rappresentata: un filo di speranza esiste, ma non è certo. In ogni caso, quello che rende di pregio questa pellicola è il realismo, la profondità e la lucida precisione con cui Ligabue è riuscito a delineare e raccontare la storia in generale e soprattutto l'infrangersi degli eventuali progetti e sogni, le situazioni e gli stati d'animo dei protagonisti stessi, arrivando così a creare un'opera vera e toccante. A tutto ciò si deve anche aggiungere la presenza determinante dei due attori che impersonano la coppia dei protagonisti, Stefano Accorsi e Kasia Smutniak, che risultano quanto mai azzeccati da parte del regista. Infine, anche la colonna sonora, con le canzoni composte e cantate da Ligabue stesso, non manca di fare la sua parte e di creare un certo effetto.
Insomma, una pellicola affatto allegra ma sicuramente consigliabile.
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freerider
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domenica 28 gennaio 2018
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il film funziona bene e lascia un buon messaggio
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Diamo a Cesare quel che è di Cesare: Made in Italy non è (ovviamente) un film da concorso ma è un lavoro sentito a cui non manca sincerità, che funziona bene e che riesce anche a lasciare un messaggio positivo e incoraggiante.
Ligabue è partito col piede giusto innanzitutto ponendosi un obiettivo ragionevole e cioè puntando su un cinema che fa proprio della medietà il suo punto di forza, dove per medietà si intende grande popolarità degli interpreti, condivisibilità della storia, trasparenza dei significati e accessibilità del linguaggio filmico, in altre parole coscienza delle proprie potenzialità e assenza di presunzione.
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Diamo a Cesare quel che è di Cesare: Made in Italy non è (ovviamente) un film da concorso ma è un lavoro sentito a cui non manca sincerità, che funziona bene e che riesce anche a lasciare un messaggio positivo e incoraggiante.
Ligabue è partito col piede giusto innanzitutto ponendosi un obiettivo ragionevole e cioè puntando su un cinema che fa proprio della medietà il suo punto di forza, dove per medietà si intende grande popolarità degli interpreti, condivisibilità della storia, trasparenza dei significati e accessibilità del linguaggio filmico, in altre parole coscienza delle proprie potenzialità e assenza di presunzione. Si tratta di uno sguardo critico e piuttosto disincantato sull'Italia odierna, che non manca di qualche passaggio obbligato su ultranoti temi di attualità ma che sa evitare il pamphlet sociologico mantenendosi comunque aperto al futuro e rispettoso in particolar modo della dignità dei personaggi. Le tematiche del lavoro e della vita di coppia sono naturalmente un po' semplificate ma mantengono una sufficiente aderenza alla realtà, così come anche alcune scene di carattere un po' didascalico (la cena indiana) si alternano ad altre in cui ci si poteva aspettare prese di posizione molto più facili (come onestamente temevo conoscendo l'orientamento ideologico dell'autore) e sulle quali invece si è lavorato con un certo apprezzabile equilibrio (si veda ad esempio la schiettezza dell'intervista sullo scontro con la polizia).
Rimanendo, come si diceva, nell'ambito del nostro comparto attori con cui il grande pubblico ha più familiarità abbiamo trovato Stefano Accorsi in parte e molto a suo agio, apprezzabile anche l'impegno di Kasia Smutniak anche se il suo naturale allure la fa sempre sembrare un elemento un po' alieno in mezzo alla "gente comune". Messaggio finale positivo ma non retorico, che mi sento di sottoscrivere: basta lamentarsi, rimbocchiamoci le maniche.
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frankpicci
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lunedì 29 gennaio 2018
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dolce/amaro
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Devo dire che Ligabue "regista" non ha nulla da invidiare al Ligabue "cantante" .
Grazie anche ad uno Stefano Accorsi sempre più convincente ed appassionante, Ligabue riesce a trasformare le sue ultime canzoni in un film che ti arriva allo stomaco, ti racconta la realtà con ruvida efficacia, mettendo a nudo le frustrazioni, le paure, i sogni, le ambizioni di ciascuno di noi, italiani, normali nel bene e nel male, pieni di contraddizioni ma anche di risorse, legati ad una terra (questo il leitmotiv del film Made in Italy) che spesso ti maltratta ma di cui non puoi fare a meno (come la casa di famiglia che non vuoi vendere), tanto magnetica da diventare irrinunciabile anche per lo straniero di turno.
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Devo dire che Ligabue "regista" non ha nulla da invidiare al Ligabue "cantante" .
Grazie anche ad uno Stefano Accorsi sempre più convincente ed appassionante, Ligabue riesce a trasformare le sue ultime canzoni in un film che ti arriva allo stomaco, ti racconta la realtà con ruvida efficacia, mettendo a nudo le frustrazioni, le paure, i sogni, le ambizioni di ciascuno di noi, italiani, normali nel bene e nel male, pieni di contraddizioni ma anche di risorse, legati ad una terra (questo il leitmotiv del film Made in Italy) che spesso ti maltratta ma di cui non puoi fare a meno (come la casa di famiglia che non vuoi vendere), tanto magnetica da diventare irrinunciabile anche per lo straniero di turno.
Nel complesso la trama, abbastanza semplice, ma non scontata, ti tiene incollato alla poltrona fino alla fine, con qualche sorriso e qualche lacrima a fare ogni tanto capolino .
Ottimo Fausto Maria Sciarappa nel ruolo di Carnevale.
Kasia Smutniack promettente, forse poco azzeccata nel suo ruolo (solo fisicamente perchè troppo carina), si sa disimpegnare molto bene.
Il film risulta quindi godibile e ti lascia un retrogusto dolce/amaro come il cioccolato fondente .
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annelise
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giovedì 1 febbraio 2018
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l'amore malinconico per l'italia
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Film spontaneo che narra della provincia nebbiosa e laboriosa dell'Italia. Cattura i sentimenti rassegnati e malinconici del privato e del sociale. Esalta valori importanti della radice culturale emiliana quali l'amicizia,la solidarietà e l'attaccamento alle radici familiari. Rischia, forse, di essere ridimensionato per la sua schiettezza, per il suo essere diretto, perchè esprime concetti "semplici" e concreti ma la voce dell'operaio Riko è veritiera,è disarmante per la sua ovvietà.
L'Italia che regala luci, colori e sguardi mozzafiato sui monumenti antichi è una patria che nega il diritto di crescere socialmente, che licenzia quando si ha più di quarant'anni,che manda via i più giovani che hanno aspirazioni.
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Film spontaneo che narra della provincia nebbiosa e laboriosa dell'Italia. Cattura i sentimenti rassegnati e malinconici del privato e del sociale. Esalta valori importanti della radice culturale emiliana quali l'amicizia,la solidarietà e l'attaccamento alle radici familiari. Rischia, forse, di essere ridimensionato per la sua schiettezza, per il suo essere diretto, perchè esprime concetti "semplici" e concreti ma la voce dell'operaio Riko è veritiera,è disarmante per la sua ovvietà.
L'Italia che regala luci, colori e sguardi mozzafiato sui monumenti antichi è una patria che nega il diritto di crescere socialmente, che licenzia quando si ha più di quarant'anni,che manda via i più giovani che hanno aspirazioni. L'amore per l'Italia è un amore che dà vita ma può spingere alla morte.
I personaggi si aggregano,tentano di proteggersi di fronte alle tragedie. L'amore tra Riko e Sara,i due protagonisti, resiste alle avversità e si riconferma come una grande risorsa per il cambiamento inevitabile che si dovrà affrontare .
Bravi gli attori e bella la colonna sonora di Ligabue che accompagna le vicende e che ne è stata ispiratrice con i testi di Made in Italy.
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morello
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sabato 3 febbraio 2018
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delusione
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Radio Freccia e Da zero a dieci mi erano piaciuti molto, e mi avevano lasciato qualcosa. Questo no. E' come se ne avesse scritto un pezzo alla volta durante 16anni e il risultato è un film slegato, scene e idee attaccate insieme con lo scotch, tentativi di scene underground alla Kusturica senza raggiungerne il livello, nessuna tensione, nessun trasporto.
La cosa più bella del film è il ballo di Accorsi sui titoli di testa
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felicity
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martedì 19 marzo 2019
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conciliante, ripetitivo, prevedibile e moralista
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Il problema in Made in Italy sono i personaggi, sempre in bilico tra il lezioso e l’esasperazione, alcuni snodi narrativi o, ancora, i risvolti grotteschi prodotti dalla depressione in cui piomba Riko dopo essere stato licenziato.
Non manca nemmeno il pranzo a casa del collega indiano perfettamente integrato di Riko a insegnarci come ciò che un normale italiano è fonte di insofferenza e di lamenti per altri è il raggiungimento di un traguardo.
Un film prevedibile e alcune soluzioni narrative lasciano piuttosto interdetti.
Ligabue racconta un mondo che conosce bene e porta in sala la precarietà economica ed esistenziale di persone perbene che vivono in “un bel paese che va in vacca”.
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Il problema in Made in Italy sono i personaggi, sempre in bilico tra il lezioso e l’esasperazione, alcuni snodi narrativi o, ancora, i risvolti grotteschi prodotti dalla depressione in cui piomba Riko dopo essere stato licenziato.
Non manca nemmeno il pranzo a casa del collega indiano perfettamente integrato di Riko a insegnarci come ciò che un normale italiano è fonte di insofferenza e di lamenti per altri è il raggiungimento di un traguardo.
Un film prevedibile e alcune soluzioni narrative lasciano piuttosto interdetti.
Ligabue racconta un mondo che conosce bene e porta in sala la precarietà economica ed esistenziale di persone perbene che vivono in “un bel paese che va in vacca”.
Ma non basta questo e all’opera matura si preferisce la leggerezza e l’inconsapevolezza tipica della “beata gioventù”.
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clscoach
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mercoledì 19 dicembre 2018
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decisamente gradevole
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Film che spesso sfiora i temi sociali attuali in modo leggermente superficiale, ma comunque riesce a commuovere, grazie a due grandissimi attori (Kasia migliora invecchiando, e ha un viso sempre piu' espressivo), e ad una rivelazione assoluta per me (Sciarrappa). Per una persona comune come me, che e' alla ricerca piu' dell'emozione che della bella ripresa, o del corretto piano sequenza, e non ha fastidio quando vede imitare metodi di narrazione, ma ama il finale dolceamaro, ma piu' tendente al dolce, questo e' un ottimo esempio. Potrebbe essere il sequel di Radiofreccia, se il protagonista fosse rimasto vivo, e mi piace pensarlo cosi'.
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mercoledì 7 febbraio 2018
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ottimi ingredienti lasciati troppo in cottura.
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Il terzo film del Liga è come un piatto con ottimi ingredienti ma cotto male: lascia il grande rammarico per ciò che sarebbe potuto essere e non è stato. Ligabue è uno dei più grandi narratori dei nostri tempi, ma anche i più grandi hanno dei limiti. La forza di belle scene, dialoghi efficaci e temi importanti trattati senza moralismo è quasi del tutto vanificata da una sceneggiatura che più che una urgenza creativa, tradisce una fretta che ha danneggiato l'opera. L'impressione, come lo era stata per Da zero a dieci, è che con l'affiancamento di uno sceneggiatore Ligabue avrebbe dato il giusto merito alle sue intenzioni narrative. Emblematica è la scelta sull'amante di Sara: un'inutile trovata che aggiunge un elemento ulteriore a tanti (forse troppi) elementi già di per sè sufficienti per sviluppare almeno due film.
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Il terzo film del Liga è come un piatto con ottimi ingredienti ma cotto male: lascia il grande rammarico per ciò che sarebbe potuto essere e non è stato. Ligabue è uno dei più grandi narratori dei nostri tempi, ma anche i più grandi hanno dei limiti. La forza di belle scene, dialoghi efficaci e temi importanti trattati senza moralismo è quasi del tutto vanificata da una sceneggiatura che più che una urgenza creativa, tradisce una fretta che ha danneggiato l'opera. L'impressione, come lo era stata per Da zero a dieci, è che con l'affiancamento di uno sceneggiatore Ligabue avrebbe dato il giusto merito alle sue intenzioni narrative. Emblematica è la scelta sull'amante di Sara: un'inutile trovata che aggiunge un elemento ulteriore a tanti (forse troppi) elementi già di per sè sufficienti per sviluppare almeno due film. Peccato.
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