Senza Lasciare Traccia

   
   
   

Discreto ma non radicale Valutazione 2 stelle su cinque

di FreeRider


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lunedì 12 novembre 2018

Non mi ha lasciato l’impressione di un’evoluzione o di un passo in avanti questo nuovo lavoro di Debra Granik, regista la cui sensibilità rimane rivolta all’America dimenticata, dove la natura è ancora selvatica e può costituire allo stesso tempo minaccia ma anche rifugio per coloro che non possono o non vogliono accettare tutte le convenzioni e le norme delle comunità organizzate complesse. A questi soggetti marginali la regista aveva già rivolto la sua attenzione nel validissimo “Un gelido inverno”, film di ispirazione squisitamente indipendente che fece pienamente centro descrivendo con abilità un contesto grezzo e violento e conducendo con fermezza una vicenda molto tesa.
 
Con Leave no trace siamo in una situazione non dissimile e nella prima parte, che presenta il quotidiano di un padre e una figlia adolescente che vivono nascosti nei boschi, ritroviamo la Granik a suo agio con l’ambiente naturale e con uno stile spoglio che si mantiene in posizione di osservazione, seppur già inizialmente emerga qualche concreta perplessità sulla effettiva sostenibilità di una sopravvivenza continuativa - e non occasionale o sperimentale - in condizioni di vita di tale precarietà. L’impostazione della pellicola si presenta subito come decisamente verista, è quindi naturale che le aspettative dello spettatrore si mantengano alte in termini di stretta verosimiglianza. Man mano che la vicenda cerca di evolvere, spingendo i due fuori dal loro habitat perchè possano affiorare le contraddizioni di una scelta così estrema, si fa strada anche una certa vaghezza direzionale, come se la costruzione narrativa non riuscisse a trainare a dovere uno spunto situazionale interessante. La stessa figura dell’uomo sembra delineata in modo abbastanza indeciso tra amore paterno, disagio psicologico, bonarietà e un certo senso di irresponsabilità ed egoismo, mentre la ragazzina, che apprendiamo essere cresciuta esclusivamente con il padre, istruita a nascondersi agli altri, vivendo alla giornata e senza aver nemmeno mai frequentato la scuola, nulla lascia trasparire di differente, nel modo di porsi e relazionarsi con gli altri, rispetto a una coetanea normalmente socializzata, infatti fin troppo facile appare il suo subitaneo interessamento e avvicinamento a degli sconosciuti, anche considerata la giovanissima età.
 
Insomma, l’impressione è che il film rimanga sospeso a metà tra una vocazione descrittiva autentica ma non sufficientmente radicale per farne un docufilm (alla Minervini, per intenderci) e invece una costruzione finzionale piuttosto debole e scontata (compresa una certa idealizzazione di determinate comunità e dell’inserimento in esse), che finisce per scolorire anche i personaggi. 

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