“Juliet Naked – Tutta un’altra musica” è una commedia inglese romantica – o come si dice oggi rom-com -in linea con un certo cinema britannico come “About a Boy” di Paul e Chris Weitz del 2002 e “Notting Hill” di Roger Michelldel 1999. Il film è liberamente tratto dal romanzo omonimo di Nick Honby del 2009, prodotto da Judd Apatow, e girato prevalentemente nelle casette a schiera di una piccola cittadina sul mare, non molto lontana da Londra.
Lì vivono Duncan (Chris O’ Dowd), professore universitario e Anni (Rose Byrne) impiegata al museo e, una coppia di quarantenni come ce ne sono tante, in cui ognuno è preso da cose diverse. In particolare Duncan nutra una vera e propria ossessione nei confronti di una ex stella rock/indie Tucker Crowe (Ethan Hawke in versione trascurata e casalinga), cantautore statunitense degli anni ’60, di cui lui colleziona gelosamente ogni reliquia. Di Tucker Crowe non si sa più nulla, è sparito dalle scene e non pubblica più nulla ma Duncan nello scantinato ha costruito un vero e proprio mausoleo e ha costituito nei social network un gruppo di fans appassionati con cui chatta quotidianamente.
Nel momento in cui viene in possesso di un suo vecchio disco intitolato “Juliet Naked”, una raccolta di introvabili b-sides uscita venticinque anni prima, nasce tra i due conviventi un litigio che li farà allontanare. Mentre Duncan trova rifugio e un ascolto attento tra le braccia di una sua collega insegnante, Annie inizia un rapporto epistolare proprio con Tucker Crowe, riemerso dal Midwest americano dove si era ritirato. Da un lato il mito, dall’altro una persona reale. Tucker deve venire a Londra per qualche giorno – per il parto della figlia Lizzie - e così decidono di incontrarsi. La fatalità vorrà che Tucker Crowe avrà un infarto proprio mentre stava andando all’appuntamento con Annie insieme al suo figlio piccolo Jackson (Azhy Robertson). Si conosceranno in ospedale dove la figlia ha convocato tutta la variegata famiglia di Tucker fatta di vari figli nati da madri diverse. Mentre Annie un po’ stordita tenta di disimpegnarsi per pudore, lui la cerca e gli chiede di ospitarlo, sempre con Jackson, da lei a Sancliff per una convalescenza in modo da rimettersi in forma.
Così sarà e tale decisione cambierà, un qualche misura, le loro vite. Tucker smise di cantare proprio in quegli anni ’60 all’ennesimo figlio (Grace una femmina) in fasce che vigliaccamente abbandonò e di cui si pente a tutt’oggi. Ha tanti figli sparsi e sente di non saper fare il genitore con nessuno di essi. È per questo che si porta sempre appresso il piccolo Jackson, l’unica occasione di fare veramente il papà. Annie, che vorrebbe avere anche lei un figlio, si prende cura del piccolo Jackson mentre Duncan incontrerà Tucker, e sulle prime si rifiuta di credere che sia lui. Alla fine, quasi miracolosamente, Tucker Crowe tornerà a cantare, in una festa in stile 1964 che organizzeranno gli amici, probabilmente rassicurato dalla piccola comunità che gli dimostra stima e affetto.
Il terzetto di attori è molto bravo e, nonostante il film sia incentrato prevalentemente sul rapporto in crescendo di Tucker e Annie, la figura più interessante è proprio quella un po’ stralunata, di Duncan. Infatti è la sua figura che fornisce un’occasione di riflessione sull’essere e sull’apparire e su come il virtuale abbia sostituito e confuso la percezione del reale: l‘immagine di qualcosa sembra contare più della cosa in se stessa, fino a costituire un mondo parallelo.
La sceneggiatura è stata scritta a tre mani da Tamara Jenkins, Jim Taylor ed Evgenia Peretz, tre apprezzatisceneggiatori. La regia del film è di Jesse Peretz, che ha già ottenuto una nomination agli Emmy grazie alla serie TV 'GLOW' e che ha conquistato un certo credito lavorando soprattutto in televisione, come in 'Girls', 'Nurse Jackie' e 'Orange is the New Black'.
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