Il Corriere - The Mule |
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Un film di Clint Eastwood.
Con Clint Eastwood, Bradley Cooper, Laurence Fishburne, Michael Peña.
continua»
Titolo originale The Mule.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 116 min.
- USA 2018.
- Warner Bros Italia
uscita giovedì 7 febbraio 2019.
MYMONETRO
Il Corriere - The Mule
valutazione media:
3,87
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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domenica 10 febbraio 2019 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Clint Eastwood è un grande regista e un grande attore, dimostra di avere ancora cartucce da sparare. Mettendo da parte la bravura, che c’è, vediamo cosa ci fa vedere. La storia principale del film, come si snoda nelle due ore della visione, è quella di Earl Stone (tratta da quella vera di Leo Sharp), un ex illustre floricultore ottantotenne dell’Illinois, adesso assai invecchiato, assieme con la sua fama e il suo successo, ridotto al fallimento perché non in grado di competere e contrastare, o di diventare alleato e amico, di internet e dell’e-commerce. Disperatamente analogico in un mondo ormai diventato digitale, viene avvicinato durante il matrimonio della nipote Ginny (Taissa Farmiga) da un ospite, latino, probabilmente di origine messicane, che gli propone di fare dei viaggi per portare qualcosa. Earl Stone ha viaggiato molto nella sua vita, ha attraversato quarantuno dei cinquanta stati dell’Unione, non ha mai preso alcuna contravvenzione. Di che viaggi si tratta lo capiamo quando entra col vetusto pick-up nel garage per il primo carico: tra mitra, tatuaggi, teste rasate, facce da super duri, bicipiti pompati, non si tratta di trasportare caramelle. Earl Stone è nato prima di noi, comprende al volo di che si tratta e ci sta, entra decisamente e pericolosamente nell’illegalità. Da questo momento in avanti il film è attraversato da una continua inquietudine, lo spettatore teme che accada il peggio: Clint Eastwood nei suoi panni è forte, recita bene il suo tipico ruolo dell’uomo senza paura, tutto di un pezzo, che si assume fino in fondo le proprie responsabilità anche nella trasgressione, quello che ne ha viste e dovuto affrontare tante, dagli occhi di ghiaccio, che non trascura assolutamente le relazioni umane, in un misto di intelligente senso di sopravvivenza e genuina umanità. L’America che ci mostra è però un po’ deprimente, a parte i bellissimi panorami, economicamente depressa, sembra non offrire molte altre opportunità a chi non è dotato di talenti in abbondanza. Come in Gran Torino, pur tuttavia non riuscendone allo stesso modo, la storia si intreccia con l’incapacità del protagonista di essere presente nella famiglia, come genitore (la figlia gli ha tolto completamente il saluto), e anche come marito (l’ex moglie non ne vuole più avere a che fare). Probabilmente l’effetto devastante e indelebile della guerra (Corea), in cui il senso di morte prevale sul senso di vita, al di là della rappresentazione della associazione dei veterani, apparentemente serena e gioviale, direi piuttosto malinconica. Aggiunge poco la rappresentazione dei cattivi (il cartello del narcotraffico) e dei buoni (la DEA) che segue pedissequamente gli attuali stereotipi della criminalità organizzata, che spara subito, e della polizia, ricca di risorse. Come il finalino sdolcinato, per mettere tranquille le coscienze, quando lui assiste la moglie morente e da lei assolto e reintegrato nella famiglia, come la figlia, malgrado la sua ammissione di essere stato un completo fallimento. Comunque i soldi guadagnati illegalmente li ha donati generosamente alla famiglia e all’organizzazione dei veterani, oltre a ricomprare la sua pignorata proprietà. Nel finale Earl Stone, a contatto col suo senso di colpa (irrisolto però il passaggio all’illegalità, che sembra quasi veniale) si dichiara, senza giustificazioni, colpevole su tutta la linea. Può essere perdonato dalla famiglia, ma non dallo Stato, che lo manda in prigione a coltivare i suoi beneamati fiori.
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