Attacco a Mumbai - Una vera storia di coraggio

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L'umanità nel giorno del terrore

di Fabio Ferzetti L'Espresso

Solitamente diffidiamo dei film-catastrofe, specie se ispirati a veri atti terroristici. Spettacolarizzare tragedie in chiave di cinema d'azione risulta quasi sempre gratuito oltre che sospetto. Oggi più che mai. Se poi sono attentati a sfondo etnico-religioso uscirne indenni è quasi impossibile, per gli autori e per gli spettatori. Perfino Clint Eastwood ci ha lasciato le penne nel fallimentare "Ore 15:17 - Attacco al treno". Eppure ogni tanto qualcuno scende su questo terreno minato con risultati di qualche interesse. È il caso dell'australiano Anthony Maras, che ricostruisce il lungo e sanguinoso attacco al lussuoso Taj Mahal Hotel di Mumbai, condotto da terroristi islamici pakistani nel 2008, iniettando nei codici di questo sottogenere una certa dose di sorpresa e di politicamente scorretto. Nessuna rivoluzione, Maras (e il cosceneggiatore John Collee, quello di "Master & Commander" di Peter Weir) non fanno scelte radicali come quelle di Nicolas Saada, che girò un film ispirato agli stessi eventi tutto dal punto di vista di una giovane francese prigioniera nella sua stanza, "Taj Mahal", 2015). Attento al sacrificio del personale dell'hotel, che scelse in massima parte di restare nell'edificio in difesa dei clienti anziché fuggire, "Attacco a Mumbai" (in sala dal 30 aprile) paga anche pegno ai codici del cosiddetto eroismo. Ma scompiglia abbastanza le carte per risultare quasi provocatorio (i più infastiditi, guardacaso, sono stati i recensori Usa). Intanto gli "eroi" del film, basato su una lunga serie di ricerche e testimonianze, sono due indiani, un cameriere sikh tutto semplicità e simpatia (sempre impagabile Dev Patel) e l'autorevole chef Hemant Oberoi (Anupam Kher), che tenta di contenere il panico generale. In secondo luogo la linea che separa i clienti (quasi tutti occidentali) dai dipendenti del Taj Mahal non è abolita dall'emergenza, anzi viene ribadita in più occasioni, e mai in modo banale. Interessante anche lo sguardo sugli attentatori, telediretti in tempo reale via cellulare da un capo lontano: non belve disumane ma travet del terrore. Con sprazzi di assurda e intonata umanità, come quando uno di loro fa un commento alla "Borat" sugli sciacquoni, o si blocca dovendo frugare nel reggiseno di una vittima. Non era facile ridistribuire pesi e misure restando dentro il genere. Onore al merito.
Da L'Espresso, 28 aprile 2019


di Fabio Ferzetti, 28 aprile 2019

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