Capri-Revolution

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Politica, arte e voli lirici nella Capri di primo Novecento

di Emiliano Morreale La Repubblica

Se cronologicamente gli eventi narrati in Capri-Revolution seguono quelli dei film ottocenteschi di Martone, in realtà si può leggere il film come un ideale prequel di Noi credevamo. Lì, raccontando il Risorgimento, si parlava anche degli anni 70; qui, pur in una storia ambientata negli anni 10, siamo davanti a una "summer of love", all'esplosione di una vitalità e ansia di libertà, di cui vengono mostrate anche le contraddizioni. Siamo in una comune nell'isola di Capri: giovani cosmopoliti di buona famiglia, guidati da un pittore, si dedicano alla danza e all'agricoltura. Sono pacifisti, vegetariani, nudisti, quasi hippie ante litteram. In loro si imbatte per caso la pastorella Lucia (Marianna Fontana), che rimane incantata da quel mondo così lontano, ed entra a farne parte. Il film racconta l'arrivo della modernità come magia: l'elettricità, gli esperimenti sulla natura dei colori si affiancano ai rivoluzionari russi e alla guerra mondiale. Allo spiritualismo della comune si oppone didatticamente un medico socialista (e interventista). Ma a dar corpo al film, attutendo i rischi di intellettualismo, è che a vivere il conflitto tra utopia e progresso, arte e progresso, sia un personaggio femminile. È la ragazza del popolo, che all'inizio sembra un personaggio creaturale, ignaro, la vera rivoluzionaria del film, è lei a fare sul serio e a compiere il percorso accennato dalla comune di artisti borghesi e cosmopoliti, è lei a trovare sulla propria pelle una testimonianza morale e politica, rimanendo radicale anche sul terreno dell'arte. Martone fa un film rischiosissimo, fatto di discussioni politiche e artistiche e di voli lirici, ma lo controlla così bene che riesce a mascherarne le difficoltà. Come nei due film precedenti, anche qui in un momento decisivo appare Roberto De Francesco che porta con sé una gabbia con un cardillo. Un riferimento al Cardillo addolorato di Anna Maria Ortese. E forse di una "trilogia del cardillo" si può parlare per Noi credevamo, Il giovane favoloso e quest'ultimo titolo: Martone, sulle orme di scrittrici donne come Ramondino e Ortese, cerca ancora una volta, da regista intellettuale e non emotivo, di avvicinarsi alle regioni della poesia e dell'utopia.
Da La Repubblica, 7 settembre 2018


di Emiliano Morreale, 7 settembre 2018

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