Benvenuti a Marwen |
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Un film di Robert Zemeckis.
Con Steve Carell, Leslie Mann, Diane Kruger, Merritt Wever, Janelle Monáe.
continua»
Titolo originale Welcome to Marwen.
Biografico,
Ratings: Kids+13,
durata 116 min.
- USA 2018.
- Universal Pictures
uscita giovedì 10 gennaio 2019.
MYMONETRO
Benvenuti a Marwen
valutazione media:
2,79
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Carell nell'universo di Barbie alla ricerca della memoria
di Emiliano Morreale La Repubblica
Mark Hogancamp, disegnatore trentenne con la passione per le scarpe femminili (che amava collezionare e indossare), venne aggredito nel 2000 da tre energumeni che lo ridussero in fin di vita. Traumatizzato, quasi senza ricordi, l'uomo si costruì un universo parallelo di bambole tipo Barbie e Big Jim, con storie di guerra ambientate nella II guerra mondiale. Poi cominciò a fotografarle. A questa storia incredibile ma vera s'ispira l'ultimo film di Zemeckis, che scorre su un doppio binario: da un lato la tormentata vita quotidiana di Mark (Carell), alle prese con incubi e fobie, e dall'altra, girata in un'animazione digitale che imita la stop motion, le avventurose e un po' torve imprese del suo alter ego Hogie, soldato americano circondato da una banda di donne guerriere alla Tarantino che riproducono le fattezze delle donne reali con cui Mark ha a che fare. Ma con in più una strega possessiva e sinistra, che fa sparire le donne che si avvicinano troppo all'eroe. In realtà, più dalla storia del vero Mark, Zemeckis è attratto dal suo inquietante mondo di fantasia. Il che non stupisce, in un regista che giusto trent' anni fa inventava la Cartoonia di Chi ha incastrato Roger Rabbit?, per poi diventare un pioniere del cinema in computer graphic, con Polar Express, La leggenda di Beowulf e A Christmas Carol. Qui si ispira ai fumetti tipo "Guerra d'eroi" in una chiave quasi gotica (la sceneggiatura è scritta insieme a Caroline Thompson, che ha collaborato tra l'altro a Edward mani di forbice e La sposa cadavere). La differenza è che rispetto ai film precedenti la tecnica non è solo uno scopo, ma quasi il tema stesso del film. Più interessante che riuscito, infatti, Benvenuti a Marwen ha una dimensione teorica fin troppo in bella vista: ci si può sbizzarrire nel rapporto fra trauma, gioco e arte, tra cinema, realtà e illusione, sui generi sia nel senso dei generi cinematografici (che qui, dopo il vintage, approdano letteralmente alla dimensione della doll's house) che del gender (il film è a suo modo un inno, un po' inquieto, al femminile). Il risultato, però, non si sa bene a chi sia rivolto: non agli adulti, che si trovano comunque davanti a un film di pupazzi non ai ragazzi, che si troveranno davanti un immaginario cupo e feticista. L'equilibrio fra dimensione riflessiva e spettacolo funziona solo in parte, per cui gli elementi più tradizionali (le battaglie, la storia d'amore) risultano spuri, come se il film fosse avviato su un binario sperimentale che però, ovviamente, non può percorrere fino in fondo.
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