American Animals

Il colpo grosso dei quattro dilettanti

Di rapine, truffe, colpi grossi, è piena la storia del cinema. Il regista inglese Bart Layton prova (e in buona parte ci riesce) a rinnovare l'heist movie con American Animals, già presentato al Sundance e alla scorsa Festa di Roma, nelle sale da dopodomani. Spinge infatti all'estremo la sintesi tra fiction e documentario raccontando, anche attraverso le testimonianze dei personaggi reali, la storia vera di quattro ragazzi viziati di buona famiglia che nel 2004 hanno tentato di trafugare libri di inestimabile valore dalla Transilvania University di Lexington (Kentucky): Birds of America di James Audubon e la prima edizione dell'Evoluzione della specie di Darwin. Si sorride seguendo le rocambolesche avventure di questi ladri sprovveduti e improvvisati, lontanissimi dai super professionisti glamour di Ocean's Eleven e seguiti: con la loro ingenuità si mettono nei guai lasciando tracce come email e numeri di cellulare che portano facilmente la polizia a identificarli e commettono errori clamorosi che li spediscono dritti in carcere per sette anni. Ma, al di là della superficie, il tono del film è molto serio e lo sguardo "europeo" evita la spettacolarizzazione tipica di Hollywood. L'autore, che si era già messo in luce con l'inquietante doc L'impostore sul criminale franco-algerino Frédéric Bourdin, che ha cambiato almeno cinquecento volte identità sino a spacciarsi per un ragazzino statunitense scomparso, affronta il tema dell'inquietudine dei giovani che per uscire dalla mediocrità, dalla noia di una vita senza stimoli, dall'anonimato, sono pronti a rischiare forte buttandosi in imprese eccitanti e illegali. È quello che accade all'introverso studente di arte Spencer (Barry Keoghan, visto in Dunkirk e Il sacrificio del cervo sacro), al trasgressivo Warren, il vero motore dell'azione, il leader che per i compagni rappresenta "il pepe nella zuppa" (l'interprete è Evan Peters, X-Men), al solitario nerd Eric e al ricco figlio di papà Chase. Layton, senza rinunciare ai canoni del genere - il piano ideato studiando grandi classici come Rapina a mano armata di Kubrick e Le iene di Tarantino, il reclutamento dei complici, gli imprevisti, la disfatta finale e un montaggio frenetico sottolineato dalla colonna sonora che spazia da Elvis Presley ai Doors e a Leonard Cohen - entra con efficacia nella psicologia dei protagonisti, nelle loro ossessioni, paure, desideri. E le riflessioni dei colpevoli effettivi e dell'anziana bibliotecaria che venne brutalizzata, anziché interrompere il ritmo, sottolineano le motivazioni altalenanti, le molteplici versioni della vicenda, l'impossibilità di ricostruire cosa sia accaduto davvero durante quelle folli giornate. Particolarmente riuscite sono le scene in cui l'attore scambia qualche battuta in auto su come si sono svolti i fatti con il vero Warren e quella in cui l'alter ego Keoghan vede il suo Spencer camminare sul marciapiede attraverso il finestrino: un gioco di specchi in cui immaginario cinematografico e realtà si influenzano reciprocamente. La citazione darwiniana iniziale sugli uccelli migratori destinati a tornare sempre negli stessi luoghi allude all'obbligo imposto dalla cultura (soprattutto americana) di inseguire ad ogni costo il successo. Anche calpestando i diritti altrui.
da La Repubblica, 4 giugno 2019


di Paola Zonca, 4 giugno 2019