L'albero dei frutti selvatici |
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Un film di Nuri Bilge Ceylan.
Con Dogu Demirkol, Murat Cemcir, Bennu Yildirimlar, Hazar Ergüçlü.
continua»
Titolo originale Ahlat Agaci.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 188 min.
- Turchia, Francia 2018.
- Parthénos
uscita giovedì 4 ottobre 2018.
MYMONETRO
L'albero dei frutti selvatici
valutazione media:
3,62
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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L'uomo senza qualità che sognava la fama
di Emiliano Morreale La Repubblica
Passato in concorso a Cannes l'ultimo giorno del festival, tra un pubblico ormai rado e proiettato verso la premiazione il nuovo film di Nuri Bilge Ceylan (che col precedente Il regno d'inverno aveva vinto la Palma d'oro) era stato notato da pochi. Si spera che in sala ottenga l'attenzione che merita. Certo, è un film turco di tre ore. Ma, in epoca di bingewatching, si può immaginarla, mettiamo, come una miniserie di tre puntate da guardare di fila, con personaggi di grande spessore e dialoghi benissimo scritti (cosa non si deve fare, oggi, per spacciare il buon cinema...). Anche qui, come nel lavoro precedente, il regista rimane nel solco di un'ispirazione cechoviana (anzitutto Zio Vanja), con un giovane appena laureato che torna a casa, un villaggio nei Dardanelli vicino a Troia, non si sa se pieno di ambizioni o già disilluso. Tra l'autunno e l'arrivo delle nevi, incontra il suo amore di gioventù che sta per sposarsi, e soprattutto fa i conti con la figura del padre, insegnante fallito che un tempo aveva anche lui un animo di poeta e oggi si è rovinato con le scommesse e insegue progetti velleitari (scavare un pozzo in un'arida campagna). Attraverso i vari incontri, emerge, senza sociologismi o semplificazioni, e con un'ironia sottile, appunto cechoviana, una descrizione amara della Turchia di oggi: i conformisti e gli arricchiti, i giovani e i vecchi, le donne e gli intellettuali. Sullo sfondo, lontana o minacciosa la politica: un sindaco retore, un amico poliziotto che racconta divertito i pestaggi degli studenti, due imam in crisi o troppo disposti al compromesso. Tra loro, si muove un protagonista senza qualità, e la faccia qualunque dell'interprete favorisce una certa distanza, un'empatia solo parziale coi suoi rovelli. Che sono quelli di un intellettuale piccolo-borghese, e dunque anche antipatico e presuntuoso, come viene mostrato esplicitamente nella bella scena dell'incontro con uno scrittore famoso. Ma, pur senza speranza, a questi personaggi il regista regala comunque una capacità di soffrire e di vivere, e la volontà di tirare avanti con dignità. In una sceneggiatura magistrale, i personaggi attraverso piccoli dettagli crescono di spessore, fino ad assumere le dimensioni del grande romanzo. Perfino le visualizzazioni dei sogni, terreno sempre difficile, sono risolte in maniera mai fastidiosa. Lo stile, sobrio e quasi sempre sommesso, segue gli incontri in piani-sequenza o in campi-controcampi che sfruttano lo schermo panoramico, sicché risaltano ancor di più i radi, intensi movimenti di macchina, e i momenti in cui lo sguardo si apre a un lirismo quasi commosso.
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