New York, naturalmente.
Anni ‘50. Humpty e Ginny, giostraio e cameriera di una tavola calda, abitano a Coney Island col figlio di lei, Richie, ragazzino piromane. Humpty è un uomo semplice col debole dell’alcool; Ginny, un ex attrice fragile di nervi che sogna di rientrare sulle scene. Si sono trovati tardi, dopo burrascose esperienze, e nonostante siano male assortiti, in qualche modo si sostengono.
L’equilibrio viene rotto dal ritorno a casa di Carolina, figlia di lui, divorziata da un mafioso che la vuole eliminare. Ginny intanto ha una relazione con Mickey, uno studente che d’estate guadagna qualcosa facendo il bagnino. Quando Ginny si accorge che Mickey fa il filo a Carolina perde la testa e nel momento decisivo evita la telefonata che potrebbe salvare la figliastra dalla morte per mano dei gangsters. Sparita Carolina, sparito Mickey che ha capito tutto, la vita a Coney Island torna quella di prima.
Molti elementi (a partire dal libro che Mickey regala a Carolina) suggeriscono una lettura shakespeariana. Il film (dialoghi, luci, recitazione) è girato da Allen sul registro teatrale, che culmina nella scena in cui Mickey accusa Ginny di non aver impedito l’assassinio di Carolina, e lei in abiti di scena con le luci puntate addosso gli porge il pugnale. Ginny – assassina per procura, come Lady Macbeth – come lei vede e maneggia un pugnale. La regina scozzese immagina l’arma insanguinata sospesa nell’aria che l'accusa; alla stessa maniera l'apparizione di Mickey incolpa Ginny. Alla fine della sequenza le luci si spengono sulla protagonista.
La vita è solo un’ombra che cammina: un povero attore, che si dimena, e si pavoneggia sulla scena del mondo, un’ora sola: e poi, non s’ode più. Favola raccontata da un idiota, piena di rumore e furore, che non significa niente.
Il celebre passaggio macbetiano ispira non solo il personaggio di Ginny - che per sua stessa ammissione recita a fare la cameriera, e anche la moglie e la madre - ma l'intera storia. Nonostante tutto il rumore e il furore, la ruota del mondo, la meravigliosa ruota del luna park che domina Coney Island, è tornata alla posizione di partenza per un altro giro. Non è successo nulla. Gli attori sono pronti per una nuova recitazione, ovvero per il nulla secondo l'ultimo Shakespeare della Tempesta.
I nostri svaghi sono finiti. Questi nostri attori, come già vi ho detto erano tutti degli spiriti, e si sono dissolti in aria, in aria sottile. Così, come il non fondato edificio di questa visione, si dissolveranno le torri, le cui cime toccano le nubi, i sontuosi palazzi, i solenni templi, lo stesso immenso globo e tutto ciò che esso contiene, e al pari di questo incorporeo spettacolo svanito, non lasceranno dietro di sé la più piccola traccia.
Altra figura chiave del film è Richie, il fuoco. L'ultima inquadratura è un rogo appiccato dal ragazzo sulla spiaggia. Come nel finale di Macbeth le fiamme salgono dalla foresta a divorare il castello. Richie potrebbe rappresentare le streghe intorno al fuoco col calderone, a preconizzare il destino di cenere del mondo. Secondo la dottrina dell'Eterno Ritorno un fuoco finale cancellerà l'universo per dare inizio a nuovo ciclo. Fiamme rigeneratrici o nichiliste? Il tono del film indirizza alla seconda risposta. Come Shakespeare anche l'ultimo Allen è nichilista. L'idea del giro, della ripetizione, contiene un seme corrosivo di vanità e inconsistenza di ogni cosa e atto. Messa in scena, recitazione, replica di uno spettacolo, finzione. Nulla, appunto.
"La Ruota delle Meraviglie" , pur non mostrando il miglior Allen, rimane un'opera significativa; comunque superiore ad alcune delle ultime prestazioni del cineasta newyorkese. Buone le interpretazioni, con una menzione per l’ottima Kate Winslet. Dialoghi e fotografia all’altezza della missione teatrale loro imposta dall’autore.
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