vanessa zarastro
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giovedì 3 maggio 2018
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difficoltà multiculturali
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“What Will People Say” – titolo originale - mostra l’educazione repressiva all’interno di una famiglia pakistana emigrata in Norvegia ai tempi d’oggi. Nisha (una bravissima ed emergente Maria Mozhdah) è una sedicenne che vive a Oslo che, come i suoi coetanei, studia, ascolta musica, manda messaggini con lo smartphone e si diverte a giocare a pallacanestro sulla neve. Un’età la sua dove non si è ancora adulti ma non si è neanche più bambini e si hanno, quindi, ingenuità e stupidità adolescenziali commiste a desideri, scatenati dagli ormoni, non ancora maturi. Come la generazione occidentale di mezzo secolo fa, Nisha dice bugie e tende a fare piccole cose di nascosto perché l’educazione genitoriale è molto severa.
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“What Will People Say” – titolo originale - mostra l’educazione repressiva all’interno di una famiglia pakistana emigrata in Norvegia ai tempi d’oggi. Nisha (una bravissima ed emergente Maria Mozhdah) è una sedicenne che vive a Oslo che, come i suoi coetanei, studia, ascolta musica, manda messaggini con lo smartphone e si diverte a giocare a pallacanestro sulla neve. Un’età la sua dove non si è ancora adulti ma non si è neanche più bambini e si hanno, quindi, ingenuità e stupidità adolescenziali commiste a desideri, scatenati dagli ormoni, non ancora maturi. Come la generazione occidentale di mezzo secolo fa, Nisha dice bugie e tende a fare piccole cose di nascosto perché l’educazione genitoriale è molto severa. Con il padre Mirza (il bravo e intenso Hadil Hussain) sembra esserci un rapporto speciale, il giorno del compleanno invece di ricevere il regalo, donerà lui alla figlia dei soldi…da mettere da parte con gli altri per quando studierà medicina.
Una notte Nisha fa venire a casa, di nascosto, un suo amichetto che la corteggia, ma il padre se ne accorgerà e avrà una reazione violenta picchiando a sangue il ragazzo. Grazie all’intervento di un vicino, arriveranno i servizi sociali a salvare i giovani che non avevano ancora fatto nulla, e a mediare tra padre e figlia. Il padre vorrebbe imporre un matrimonio “riparatorio” ma Nisha nel frattempo ha già lasciato il ragazzino con i capelli rossi.
La punizione sarà durissima e la ragazzina sarà portata contro la sua volontà in Pakistan a vivere con la famiglia del padre: la vecchia madre, la sorella con il marito, figlia e figlio. Dopo vari tentativi di fuga e dopo svariati mesi, la ragazza si rassegna e si rilassa e accetterà la corte del cugino, ma ulteriori vicende sfortunate costringeranno suo padre a venirsela a riprendere. Tutta la famiglia pakistana sembra essere stata svergognata da un comportamento leggero di questa sciagurata figlia femmina, e la madre non esita dirle: «era meglio fossi nata morta!». L’unica che le dimostra un po’ di affetto è la sorellina piccola ancora non contagiata da perbenismi né da rigidità educative, e l’abbraccia affettuosamente. Per il resto è veramente impressionante vedere la scarsa fisicità tra tutti i membri della famiglia e la durezza delle madri.
Ma la figura più bella è proprio quella del padre che sembra costretto a seguire le regole e deve mettere a tacere i suoi sentimenti nei confronti della figlia prediletta. La vede scivolare lontano da sé verso una libertà, che lui non può accettare né concepire, e che considera invece come condotta scandalosa: la donna nella sua cultura non sceglie e deve essere sottomessa ai padri e alle regole. Si vede Mirza ascoltare un paio di altri uomini della comunità pakistana dove vivono, che lo istigano a dare alla figlia una punizione esemplare. Lo si vede pure quando lungo la pista nel rientrare dal paesino afgano, quasi supplica in lacrime la figlia di buttarsi di sotto, incapace di farle del male né di sfiorarla. Basti pensare, invece, alla recente terribile tragedia vissuta da Sana Cheema a Brescia, uccisa dal padre e fratello perché voleva sposare il suo fidanzato italiano.
La regista Iram Haq, oggi poco più che quarantenne, alla sua seconda opera, ha veramente subìto un rimpatrio forzato per opera del fratello e del padre. Così dice ha raccontato la regista in un’intervista: «Non sapevo come raccontare questa storia e ho voluto attendere di avere il coraggio per poterlo fare. Questo film è molto ispirato alla mia esperienza ma non interamente. Purtroppo questa vicenda, ancora reale al giorno d’oggi per numerose ragazze in Norvegia e altrove nel mondo, è una storia che parla di controllo sociale, dell’essere intrappolati in ciò che gli altri pensano e sentono e le conseguenze su di te. Al tempo stesso è la storia d’amore tra un padre e una figlia in conflitto perché appartengono a due mondi differenti».
In fondo Iram Haq presenta le figure maschile come persone deboli (i battibecchi tra la nonna e lo zio) o come dei frustrati (i ragazzi che non sanno proprio come reagire). Nelle maglie della tradizione, mostrando il conservatorismo, la regista ci pone un problema più vasto, quello del multiculturalismo, della difficile convivenza di tradizioni e religioni diverse e della faticosa crescita degli immigrati di seconda (terza e quarta generazione). Di fatto in Norvegia l’immigrazione pakistana è stata negli anni Sessanta del secolo scorso ed esiste a tutt’oggi. Permangono quindi le problematiche legate a inevitabili frizioni tra socialdemocrazia laica e liberale scandinava e quella tradizionalista e poco permissiva di chi viene dal Pakistan.
“Cosa dirà la gente” presentato al Bif&st 2018 è un film durissimo che non lascia spazio alla speranza del desiderio di libertà. C’è solo la fuga.
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francesca meneghetti
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giovedì 3 maggio 2018
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non portate il mitra al cinema!
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Chi va a vedere, minimamente informato, “Cosa dirà la gente” si aspetta un film problematico, anche drammatico, e attuale. Voglio dire che non ci va per ridere. Se poi legge che “il difficile tema del conflitto interculturale è affrontato evitando la tentazione manichea”, spera che un briciolo di luce illumini le disgrazie umane. Ma il film è come un coltello affondato nella piaga: cupo, angoscioso, inquietante e nichilista. In chi assiste al calvario della povera Nisha, cresciuta ad Oslo, con la prospettiva di diventare un medico, dati gli ottimi voti, ma poi stritolata in un meccanismo sadico, perverso e “fascista” (per usare un rmine obsoleto rispetto all’accezione che esso aveva negli anni ’70), in cui le donne sono ancora più perverse degli uomini nel perpetuare la schiavitù alla dittatura della famiglia e del controllo sociale della comunità pakistana, sorge solo la voglia di prendere un mitra e sterminare tutti coloro che, magari per sola vigliaccheria, fanno soffrire Nisha, ragazza innocente ma affatto stupida.
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Chi va a vedere, minimamente informato, “Cosa dirà la gente” si aspetta un film problematico, anche drammatico, e attuale. Voglio dire che non ci va per ridere. Se poi legge che “il difficile tema del conflitto interculturale è affrontato evitando la tentazione manichea”, spera che un briciolo di luce illumini le disgrazie umane. Ma il film è come un coltello affondato nella piaga: cupo, angoscioso, inquietante e nichilista. In chi assiste al calvario della povera Nisha, cresciuta ad Oslo, con la prospettiva di diventare un medico, dati gli ottimi voti, ma poi stritolata in un meccanismo sadico, perverso e “fascista” (per usare un rmine obsoleto rispetto all’accezione che esso aveva negli anni ’70), in cui le donne sono ancora più perverse degli uomini nel perpetuare la schiavitù alla dittatura della famiglia e del controllo sociale della comunità pakistana, sorge solo la voglia di prendere un mitra e sterminare tutti coloro che, magari per sola vigliaccheria, fanno soffrire Nisha, ragazza innocente ma affatto stupida. Ma è questo il messaggio del film? Alimentare l’odio etnico e religioso? Se si scopre che la regista è pakistana, e che ha vissuto esperienze simili a quelle di Nisha, personaggio interpretato da Maria Mozhdah, una splendida Irene Papas da giovane, si può pensare anche no, e trovare una chiave di lettura che renda sostenibile il film alle anime sensibili: è uno sfogo, espressionistico, dunque violento, di esperienze personali forse inenarrabili. C’è chi sceglie di tacere, e chi di buttar fuori con rabbia e senza limiti. In quest’ottica la visione può essere tollerata anche dalle persone miti. Certo, se si fa il confronto con un film analogo per tematiche, “East is East” del 1999, è il secondo che ne esce vincente per superamento del manicheismo e della capacità di bilanciare tragedia e commedia, drammaticità e ironia, qui assente. Ma il regista, Damien O’Donnel era irlandese, e i tempi diversi. La speranza di un’armonica ricomposizione dei contrasti interculturali era ancora presente. Il nichilista “Cosa dirà la gente” è perciò, oggi, specchiodei tempi in cui viviamo. Ahimè. Andate a guardarlo corrazzati, ma senza mitra.
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[+] c'è femminicidio e femminicidio
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angeloumana
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mercoledì 9 maggio 2018
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"il comune senso del pudore"
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Un tema facile da capire e chiaramente esposto dalla regista-sceneggiatrice pachistana Iram Haq, che vive all'estero e che ha vissuto direttamente la brutta esperienza della protagonista Nisha (Maria Mozdah) quella di essere riportata in Pakistan dall'”amorevole” padre Mirza (Adil Hussain), dalla Norvegia dove la famiglia vive, ed essere affidata alla nonna e alla zia perché la proteggano e la allevino in modo pachistano. Nello Stato europeo la ragazza si stava prendendo certe libertà, quelle che sono “innocenti evasioni” di ogni ragazzo occidentale. Nella realtà, e proprio nell'italianissima Brescia, è accaduto che per il “voler vivere all'occidentale” e scegliersi il fidanzato che voleva, una ragazza sia stata uccisa dal padre e dal fratello.
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Un tema facile da capire e chiaramente esposto dalla regista-sceneggiatrice pachistana Iram Haq, che vive all'estero e che ha vissuto direttamente la brutta esperienza della protagonista Nisha (Maria Mozdah) quella di essere riportata in Pakistan dall'”amorevole” padre Mirza (Adil Hussain), dalla Norvegia dove la famiglia vive, ed essere affidata alla nonna e alla zia perché la proteggano e la allevino in modo pachistano. Nello Stato europeo la ragazza si stava prendendo certe libertà, quelle che sono “innocenti evasioni” di ogni ragazzo occidentale. Nella realtà, e proprio nell'italianissima Brescia, è accaduto che per il “voler vivere all'occidentale” e scegliersi il fidanzato che voleva, una ragazza sia stata uccisa dal padre e dal fratello. Così non succederà nel film, il papà dopo tanto si accorge di essere vittima delle sue credenze, e qui avviene una delle scene meglio interpretate: il papà che porta la figlia a suicidarsi (x far sparire la pietra dello scandalo) ed ha come un risveglio, un soprassalto di coscienza mentre la ragazza è incredula che il padre giunga a farle del male: portare alla morte la figlia preferita per le credenze o convinzioni ataviche che professa la comunità immigrata nella quale la famiglia dopo anni continua a vivere, gli stessi modi di ritrovarsi, gli stessi discorsi tra tradizione e progresso che si dicono nei ritrovi monoetnici (che chi ha vissuto l'emigrazione conosce bene).
Frasi o affermazioni raccolte dal film dicono, e da esse deriva la chiara esposizione del tema: certe cose non si fanno davanti agli altri, per una ragazza è volgare ballare, tu (la figlia) mi devi aiutare in cucina, una ragazza che si sposa avrà tanto da fare con la casa e con i figli (piuttosto che studiare), le decisioni importanti le prendiamo tutti insieme (ma si tratta di decisioni che i genitori o i maschi in genere prendono sulla vita delle figlie femmine, la donna come preda o creatura in libertà vigilata), non possiamo più farci vedere da nessuno, nessuno ci invita più, ti sei permessa di vivere come questi idioti occidentali, “atti gravissimi” che hanno conseguenze sulla famiglia, la perdita di dignità, l'influenza (deleteria) su altri ragazzi della comunità pachistana, dopo tutto quello che ho fatto per te, voglio quello che è meglio per te (solitamente detto dal genitore), la buona (e presunta) reputazione l'onorabilità.
E' facile immaginare – e nel film succede – come da questi divieti e condizionamenti nascano poi i sotterfugi e le bugie non rari nelle società ancora “oscurantiste”, spesso le più corrotte. Il film mi ha fatto pensare per associazione di idee al recenteIl prigioniero coreano: in esso sono mostrati, in modo esplicito ed esagerato, le ferree norme statali in Corea del Nord e il tornaconto mediatico della antagonista Corea del Sud, in questo invece i modi di fare del privato, derivanti da un pensare comune. Ma tutto viene da tradizioni, da regole imposte da Stati o da religioni (organizzate a uso e consumo dei potenti). Con tutti i mezzi tecnologici di cui le società oggi dispongono è facile vedere quanto è labile il confine tra un vivere nell'oscurantismo oppure in società liberali, dove si tengono in prim'ordine i diritti della persona, quanto è sottile quel confine imposto tra le culture.
Lo stato spesso decrepito di un piccolo centro pachistano (nel film la ragazza che vi è stata riportata si trova a 300 km da un aeroporto, a una scoraggiante distanza dal mondo norvegese dov'era cresciuta), lo scarso sviluppo di tanti luoghi del mondo, non si possono non mettere in relazione a quei modi di pensare, alle ottuse regole imposte da qualcuno che per sé stesso le rende elastiche (per osservazioni sperimentate penserei all'Iran, un paese a caso).
Quel viaggio a ritroso nel mondo e “nel tempo” (o nello sviluppo) per Nisha ormai norvegese è stato come sprofondare in un medioevo inquietante, inquietante come è già la colonna sonora iniziale che sicuramente annuncia tempi bui per lei, mentre corre a casa entro l'ora prescrittale per farsi trovare a letto dal papà che tutto sorveglia. Tenero questo padre che alla fine la lascia fuggire dalla casa di famiglia in Norvegia, dov'è stata riportata, e dove assistenti sociali si prenderanno cura di lei. Benvenuti nelle società più libere!
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maurizio.meres
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domenica 6 maggio 2018
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voleva solo vivere la sua vita
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Ottima ricostruzione di un dramma realmente accaduto direttamente dalla stessa regista,il cinema tecnicamente parlando lascia la parola ad una difficoltà socioculturale d'integrazione di tutte quelle persone,integralisti Mussulmani con un ottica di assoluta fede Coranica,che pur vivendo in un occidente libero culturalmente ma soprattutto aperto,vive quotidianamente tutte le difficoltà ,rifiutando tutto ciò che può offendere la loro dignità.
La tematica del film rispecchia apertamente ciò che in alcuni paesi Mussulmani realmente accade,premetto il mio pieno rispetto alla loro fede,in alcuni passi coranici le similitudini con la religione cristiana interpretandole nella loro essenza diventano simili,le differenze sostanziali così come vengono rimarcate nel film sono soprattutto di rispetto sociale in una vergogna di non aver rispettato le sacre scritture,sappiamo tutti il valore esistenziale che un Mussulmano dà alla sua fede,che in alcuni casi diventa quasi un fanatismo,ma la crudeltà vista nel film verso una ragazza che voleva solo vivere la sua vita,perché cresciuta in paese libero soprattutto nel pensiero,diventa un offesa alla vita e alla stessa religione perché chi crede qualunque fede sia non può pensare di far soffrire il prossimo e soprattutto una figlia,ritengo che in alcune scene ci sia stata una fortissima rabbia da parte dello spettatore di non poter far nulla.
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Ottima ricostruzione di un dramma realmente accaduto direttamente dalla stessa regista,il cinema tecnicamente parlando lascia la parola ad una difficoltà socioculturale d'integrazione di tutte quelle persone,integralisti Mussulmani con un ottica di assoluta fede Coranica,che pur vivendo in un occidente libero culturalmente ma soprattutto aperto,vive quotidianamente tutte le difficoltà ,rifiutando tutto ciò che può offendere la loro dignità.
La tematica del film rispecchia apertamente ciò che in alcuni paesi Mussulmani realmente accade,premetto il mio pieno rispetto alla loro fede,in alcuni passi coranici le similitudini con la religione cristiana interpretandole nella loro essenza diventano simili,le differenze sostanziali così come vengono rimarcate nel film sono soprattutto di rispetto sociale in una vergogna di non aver rispettato le sacre scritture,sappiamo tutti il valore esistenziale che un Mussulmano dà alla sua fede,che in alcuni casi diventa quasi un fanatismo,ma la crudeltà vista nel film verso una ragazza che voleva solo vivere la sua vita,perché cresciuta in paese libero soprattutto nel pensiero,diventa un offesa alla vita e alla stessa religione perché chi crede qualunque fede sia non può pensare di far soffrire il prossimo e soprattutto una figlia,ritengo che in alcune scene ci sia stata una fortissima rabbia da parte dello spettatore di non poter far nulla.
I personaggi che girano intorno alla figura di Nisha,sono una madre padrona,autoritaria che pensa soltanto al giudizio degli altri,una famiglia di zii che vive in un Pakistan corrotto,succube di un integralismo Islamico in un ambiente squallido e con un futuro grigio,per ultimo lascio il padre che dice di amare sua figlia,crudele e schiavo della volontà della moglie,senza una personalità e soprattuto incapace di reagire ,nella bellissima scena finale nel suo sguardo verso la figlia che scappa c'è tutto il suo fallimento esistenziale.
Bellissimo film da valutare in ottica libera ma rispettosa,è saper apprezzare i cambiamenti attuali che ci sono in vari paesi nei confronti delle donne,sempre più al centro del progetto di crescita sia culturale che sociale,qualunque sia la fede il credo non è sottomissione e violenza,il verbo di Dio inteso nelle varie religioni è sinonimo di pace.
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cardclau
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mercoledì 9 maggio 2018
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non un ritorno a sane tradizioni bucoliche
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Secondo film di Iram Haq sull'argomento. Il primo "I am yours", in svedese-norvegese, con sottotitoli in inglese, non è maI arrivato in Italia, me lo son fatto spedire da Amazon.uk. Il ritorno alle tradizioni pachistane è un viaggio liberticida, angoscioso, infernale, in una cultutra dove la donna è fondamentalemente schiava, sempre colpevole di quello che succede (anche nel caso che venga stuprata), inerentemente prostituta. la cosa impressionante è che le donne mature risultano le più accanite nel difendere lo status quo della tradizione femminicida, hanno totalmente rimosso la loro sofferenza adolescenziale/giovanile, hanno definivamente chinato la testa e si vendicano sulla gioventù con indecente sadismo.
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Secondo film di Iram Haq sull'argomento. Il primo "I am yours", in svedese-norvegese, con sottotitoli in inglese, non è maI arrivato in Italia, me lo son fatto spedire da Amazon.uk. Il ritorno alle tradizioni pachistane è un viaggio liberticida, angoscioso, infernale, in una cultutra dove la donna è fondamentalemente schiava, sempre colpevole di quello che succede (anche nel caso che venga stuprata), inerentemente prostituta. la cosa impressionante è che le donne mature risultano le più accanite nel difendere lo status quo della tradizione femminicida, hanno totalmente rimosso la loro sofferenza adolescenziale/giovanile, hanno definivamente chinato la testa e si vendicano sulla gioventù con indecente sadismo. Pensiamo alla questione delle mutilazioni dei genitali femminili. Neanche il maschio in quella cultura ne viene fuori in modo dIgnitoso. Burattini in mano alla legge irrevocabile che l'omeostasi non può cambiare, i padri e i figli ottemperano ciecamente ad un imperativo fuori di loro, i padri non pensano minimamente che la tradizione possa essere migliorata, i figli non pensano minimamente che i padri possano essere costruttivamente messi in discussione. Nel dolore e nel malessere generale, i maschi e le femmine non hanno la possibilità di godere della cosa più bella che Dio ci ha donato, la possibilità di un rapporto d'amore tra due diversi sì ma complementari, diversi ma di uguale digninità, dove la costrizione e l'obbligo è sconosciuta. Lo spettatore per tutta la durata del film rimane inchiodato alla sedia, nel terrore che la protagonista, come unica via di scampo alla pazzia, si dia alla morte. E in qualche momento ci rimaniamo molto vicini. Ma alla fine la scelta è per la vita, ad un prezzo pesantissimo, la perdita inerorabile e non rimediabile del padre, della madre, del fratello. Il padre, la madre, il fratello, la zia, lo zio sono degli attori bravissimi, perché lo spettatore li ritrova completamente odios e insopportabilii, nella più completa immedesimazione.
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flyanto
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giovedì 10 maggio 2018
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l?importanza dell'opinione altrui
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"Cosa Dirà la Gente" è il titolo emblematico di questo film che affronta il delicato ed importante tema dell'insediamento culturale da parte di comunità straniere in terre differenti e lontane da quelle di origine. Qui viene presentata la comunità pakistana emigrata in Norvegia, e precisamente ad Oslo, dove le nuove generazioni, come quella della giovane protagonista di nome Nisha, si sono perfettamente integrate nella comunità a differenza di quelle più anziane, di cui fanno parte i suoi genitori, che invece continuano ad essere legate alle proprie tradizioni reputando persino disdicevole il comportamento di armonica adesione agli usi e costumi occidentali che adottano invece i loro figli.
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"Cosa Dirà la Gente" è il titolo emblematico di questo film che affronta il delicato ed importante tema dell'insediamento culturale da parte di comunità straniere in terre differenti e lontane da quelle di origine. Qui viene presentata la comunità pakistana emigrata in Norvegia, e precisamente ad Oslo, dove le nuove generazioni, come quella della giovane protagonista di nome Nisha, si sono perfettamente integrate nella comunità a differenza di quelle più anziane, di cui fanno parte i suoi genitori, che invece continuano ad essere legate alle proprie tradizioni reputando persino disdicevole il comportamento di armonica adesione agli usi e costumi occidentali che adottano invece i loro figli. Poichè una notte Nisha viene sorpresa nella propria camera dal padre con un ragazzo, e per di più norvegese, ella viene immediatamente considerata come una vergogna per la propria famiglia e, nei confronti di quest'ultima, per le altre appartenenti alla stessa comunità, e così la ragazza viene mandata ad Islamabad, la città pakistana di origine, presso degli zii affinchè impari e si uniformi alle tradizioni pakistane. In questo nuovo ambiente così rigido e distante dalla propria mentalità e formazione culturale Nisha non si trova affatto bene e, poichè una sera viene 'scoperta' dalla Polizia locale per amoreggiare insieme ad un suo cugino per le strade della città, ella viene nuovamente ritenuta una ragazza senza morale e la famiglia degli zii la vuole allontanata immediatamente dalla propria casa. E' così che Nisha ritorna dalla propria famiglia ad Oslo dove nel frattempo l'hanno già promessa in sposa ad un connazionale residente in Canada. Nisha continuerà a ribellarsi....
Temi del genere sono già stati affrontati in innumerevoli pellicole precedenti a questa, ma la regista Iram Haq, con un'esperienza personale passata molto simile a quella di Nisha, riesce in ogni casoa rendere in maniera efficace, nuova ed interessante la seria problematica legata all'integrazione da parte di comunità straniere emigrate in paesi occidentlai. I casi di cronaca, purtroppo, continuano a confermare che per molte famiglie è un disonore ed una grande vergogna, da punire e riscattare addirittura con la morte di colui/colei che l'ha provocata, il comportamento dei figli che si uniformano agli usi e costumi dell'Occidente. In "Cosa Dirà la Gente" è palese che è più importante il giudizio altrui che la personalità e la felicità dei propri figli ben integrati e la Haq rappresenta bene tale mentalità denunciandola apertamente cosicchè da porre fine alle continue barbarie a cui sono costretti a sottoporsi od a soccombere le nuove generazioni.
Ben girato, ben interpretato dalla giovane Maria Mozhdah nella parte di Nisha e soprattutto da Adil Hussain in quella del padre fortemente legato alle proprie tradizioni, intenso e crudo, nonchè interessante da indurre a riflettere.
Sicuramente consigliabile.
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gbavila
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giovedì 27 settembre 2018
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e' solo vendetta, come all'inquisizione.
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La banalizzazione è eccesiva e mostra contraddizioni forzate e poco credibili per un contesto familiare che si è consolidato: il lavoro, la scuola, le aspettative miranti, guarda guarda, alla medicina, al successo a tutti i costi. Come possano coesistere con tanta chiusura mentale claustrofobica? Si attinge a fenomeni culturali veri solo in casi di recete inserimento in culture che non si conoscono o non si vuole conoscere, e non è il caso dell'autobiografico racconto che mira esclusivamente allo stomaco dello spettatore per stimolare una condanna totale. Inverosimile l'istigazione al suicidio (poteva passare una furia omicida) e altrettanto incredbile l'insipienza delle assistenti sociali che si accontentano di banali dichiarazioni.
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La banalizzazione è eccesiva e mostra contraddizioni forzate e poco credibili per un contesto familiare che si è consolidato: il lavoro, la scuola, le aspettative miranti, guarda guarda, alla medicina, al successo a tutti i costi. Come possano coesistere con tanta chiusura mentale claustrofobica? Si attinge a fenomeni culturali veri solo in casi di recete inserimento in culture che non si conoscono o non si vuole conoscere, e non è il caso dell'autobiografico racconto che mira esclusivamente allo stomaco dello spettatore per stimolare una condanna totale. Inverosimile l'istigazione al suicidio (poteva passare una furia omicida) e altrettanto incredbile l'insipienza delle assistenti sociali che si accontentano di banali dichiarazioni. Tutti i personaggi sono identici, senza colori, troppa vernice nera e oscurantista. Chi oserebbe incontrare una famigla pachistana?
Giuliano Bavila
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