zarar
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lunedì 19 marzo 2018
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incontri per immagini
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Sorprendente, delizioso, affettuoso, emozionante vagabondaggio nella natura, nelle opere e i giorni di una varia umanità, nella memoria, nel rapporto tra effimero e durevole e insieme nel significato e nel ruolo dell’immagine, della fotografia, del cinema. Ne sono protagonisti la regista belga Agnès Varda, un’icona della Nouvelle Vague, oggi 89enne, e un 34enne artista di strada francese, noto con lo pseudonimo di JR, celebre per tappezzare di gigantesche foto-murales strutture urbane e industriali.
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Sorprendente, delizioso, affettuoso, emozionante vagabondaggio nella natura, nelle opere e i giorni di una varia umanità, nella memoria, nel rapporto tra effimero e durevole e insieme nel significato e nel ruolo dell’immagine, della fotografia, del cinema. Ne sono protagonisti la regista belga Agnès Varda, un’icona della Nouvelle Vague, oggi 89enne, e un 34enne artista di strada francese, noto con lo pseudonimo di JR, celebre per tappezzare di gigantesche foto-murales strutture urbane e industriali. I due si sono incontrati per iniziativa della Varda, hanno scoperto la corrente sotterranea che li lega e hanno progettato insieme un viaggio che è insieme una riflessione su loro stessi, un laboratorio quasi artigianale in cui fotografia e cinema si fondono e una visione del mondo presentata con disarmante semplicità. Introdotti da una ‘copertina’ animata che è già tutto un programma, la piccola, sorridente, un po’ clownesca Agnès e l’allampanato JR, cappello e occhiali neri che non toglie mai, girano, sulla spinta di impulsi più o meno casuali, la Francia delle campagne e dei villaggi, dall’estremo Nord a Sud, a piedi, in treno, a bordo di un furgone-macchina fotografica che sembra un grosso giocattolo. Vanno a caccia di ‘incontri’ con persone che il caso mette loro davanti e soprattutto si interrogano sul rapporto che dal tempo dei tempi si è creato tra queste persone e il loro mondo attorno, attraverso il costruire e demolire, lavorare e trasformare, restare attaccati al passato e guardare al futuro. Ne catturano e restituiscono immagini: gigantesche fotografie in bianco e nero di persone semplici, ma anche di animali e anche di vecchie foto, che JR incolla sui muri di fabbriche, di villaggi minerari abbandonati, di capannoni agricoli, di angoli di strada, di silos e cisterne, di un bunker dell’ultima guerra, involontario monumento alla follia della guerra catapultato su di una spiaggia, legate tra loro da un montaggio solo apparentemente casuale, artigianale e divagante, in cui l’esperienza di regia della Varda è cruciale. Perché queste foto non sono qui i quadri di un’esposizione (vedi l’ironica citazione godardiana nella scena di una galleria del Louvre percorsa al volo…), ma punto di arrivo provvisorio costruito insieme ai soggetti che se ne impadroniranno e ne faranno punto di partenza di un discorso che andrà oltre. Si tratta di immagini iconiche, immagini totem, murales alla Ribeira, che diventano lenti di ingrandimento e flash sorprendenti su grandi temi che oggi sono al centro della nostra attenzione e che sono, devono essere, effimere, come può essere un manifesto o una foto (vedi la foto distrutta in una notte sola dalla marea) perché consegnate non alla contemplazione, ma alla memoria, alla riflessione, ad una continuazione del dialogo che forse avrà altre forme e altre strade. Raramente l’immagine manifesta, come qui, in modo giocoso e dissacrante, il suo valore emotivo e cognitivo insieme. Avviliti come siamo dalle gigantografie pubblicitarie, ritroviamo qui qualcosa come il rapporto che dev’esserci stato tra la gente comune e i cicli di affreschi nel mondo medioevale. E’ così vero, che ci scopriamo a non usare mai la categoria del bello: queste immagini ( che incidentalmente sono anche belle) sono – come dire? -necessarie.
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vanessa zarastro
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lunedì 26 marzo 2018
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uno sguardo sul sociale
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Un film delizioso che documenta un viaggio insolito svolto dalla regista Agnés Varda, famosa all’epoca della nouvelle vague e il giovane artista JR che usa la tecnica del “collage” fotografico, in vari paesini della Francia in tutte le direzioni. Lei è stata una protagonista della rifondazione del cinema in quegli anni, regista del memorabile Cleo dalle 5 alle 7 e di Senza tetto né legge con cui nel 1985 ha vinto il Leone d’Oro. Lui è uno street artist considerato il Banksy francese.
I due, pur avendo storie molto diverse e più che altro quasi sessant’anni di differenza, hanno una sensibilità comune e portano avanti una ricerca di umanità.
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Un film delizioso che documenta un viaggio insolito svolto dalla regista Agnés Varda, famosa all’epoca della nouvelle vague e il giovane artista JR che usa la tecnica del “collage” fotografico, in vari paesini della Francia in tutte le direzioni. Lei è stata una protagonista della rifondazione del cinema in quegli anni, regista del memorabile Cleo dalle 5 alle 7 e di Senza tetto né legge con cui nel 1985 ha vinto il Leone d’Oro. Lui è uno street artist considerato il Banksy francese.
I due, pur avendo storie molto diverse e più che altro quasi sessant’anni di differenza, hanno una sensibilità comune e portano avanti una ricerca di umanità. Il film-documentario è anche una riflessione sullo sguardo attraverso la comunicazione visiva. In un furgone adibito a cabina/macchina fotografica, percorrono un vasto territorio da Chérénce a Pirou-Plage, da Sainte-Marguerite-sur-Mèr a St. Aubin-sur-Mer. Lì sulla scogliera della Normandia i due evocano Guy Bourdin che Agnés ha fotografato da ragazzo, prima che diventasse un famoso fotografo di moda, e JR riproduce quella stessa foto ingigantita su un bunker abbandonato della Seconda Guerra Mondiale roccia. Il giorno dopo, la marea si è portata via l’immagine. Come non pensare all’operazione recentemente fatta da Kentridge lungo i muraglioni dei Lungotevere? L’arte ormai ha inglobato da tempo il concetto di effimero, forse dalla “Tribuna di Lenin” progettata da El Lissizky ormai un secolo fa.
Il rapporto tra i due registi e attori è in crescendo, lui ha eternamente gli occhiali scuri e il cappello in testa, lei ha il vezzo di un caschetto di capelli bicolore e si appoggia a un grazioso bastoncino istoriato. Lui la presenta alla vecchia nonna centenaria, lei gli narra del suo amato compagno, il regista Jacques Demy famoso per aver diretto, tra altri, il delizioso film musicale Le parapluies de Cherbourg nel 1964 con Catherine Deneuve ventenne e Nino Castelnuovo. Il rapporto tra AV e JR mi ha evocato invece la storia narrata in un altro cult del cinema: Harold & Maude del 1971 che racconta l’incontro tra Harold Chasen, un giovane viziatissimo con manie macabre e poco interessato alla vita, e Maude Chardin, una stravagante ottantenne mitteleuropea con una grande carica comunicativa, che gli trasmetterà la gioia di vivere. Maude crede nel “grande ciclo della vita” includendo anche la morte, e con Harold s’incontrano in quanto frequentatori di funerali. Adorabile è la descrizione dell’anziana e bizzarra, ma vitalissima signora di cui Harold s’innamora. Le bellissime canzoni di Cat Steven sono state scritte espressamente per il film come Don’t Be Shy e If You Want To Sing Out, Sing Out.
Per Agnés Varda e JR scattare le foto – rigorosamente in bianco e nero - costituisce un pretesto per entrare in rapporto con il sociale, con gli abitanti dei villaggi, la Francia della provincia, e in alcuni casi riescono a farsi raccontare le storie della vita, in altri si focalizzano i volti, si fotografano le persone che vengono riproposte ingigantite sui muri. «Ogni volto racconta una storia» afferma Varda. Così le immagini di minatori sui muri delle case a schiera, in un paesino minerario semi-abbandonato così è immortalata anche la cameriera di un bar con il suo ombrellino su un dislivello di un borgo in Provenza. Oltre agli allevatori, agli operai, ai pensionati, ai postini, vengono ritratte anche le famiglie che decidono di ripopolare un piccolo villaggio abbandonato da decenni.
Il film è anche una sezione a 45 gradi sulla Francia con i suoi panorami: dalle distese di lavanda del Sud alle bianche scogliere della Normandia, passando attraverso piccoli paesini arroccati e arrivando ai più aspri panorami industriali. Bello è il percorso nella campagna dove si produce formaggio di capra e si vedono due metodi diversi nella produzione: da un lato il metodo super-tradizionale con mungitura manuale e gran rispetto dell’animale, dall’altra un allevamento intensivo con macchinari tecnologizzata per la mungitura e, alle capre, hanno bruciato le corna per evitare che si azzuffino facendo perdere tempo alla produzione. Anche lì JR e Agnés fotografano il volto una capra cornuta e ne stampano l’effige ingrandita su una parete. A Le Havre, invece, i due intervistano alcuni scaricatori di porto e poi le loro mogli che fotografano e incollano le gigantografie sui containers.
Ci sarà spazio anche per un pellegrinaggio alla tomba di Henri Cartier-Bresson - considerato il pioniere del foto-giornalismo – e di sua moglie Martine Franck, in un minuscolo cimitero a Bonnieux in Provenza.
Vi sarà anche un omaggio a Godard con la citazione del film Bande à part della visita di corsa attraverso il Louvre, che Agnés ha dovuto girare in carrozzina spinta da JR.Quindi, il film mostra il viaggio in treno in Svizzera fino a Rolle sul Lago Lemano dove, in una villetta color salmone vive proprio Jean-Luc Godard. Lei gli vorrebbe presentare JR che in qualche modo gli assomiglia ma l’ombroso regista si sottrae all’appuntamento lasciandole, però, un messaggio scritto affettuoso. La commozione di Agnés convincerà JR alla fine di fare qualcosa per lei: si toglierà finalmente gli occhiali e la piccola grande donna vedrà a stento, un po’ fuori fuoco, lo sguardo dolce di quel ragazzo.
Il film è stato presentato fuori concorso all’ultimo Festival di Cannes dove ha ricevuto il premio “L’oeil d’or”. Ha ottenuto anche una nomination agli Oscar del 2018 nella categoria “miglior documentario”.
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loland10
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domenica 22 aprile 2018
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...le foto di una vita...
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“Visages, Villages” (id., 2017) è un film della inedita coppia Agnes Varda (al tredicesimo lungometraggio) eJR (fotografo francese).
Mettersi comodi, rilassatevi,tranquilli e sereni: titoli disegnati, scritte dolci e segni leggeri di contorno. Titoli di coda tra una strada e dei nomi. In aperta campagna due persone fanno l’autostop, una opposto all’altra. Due biciclette, due mondi e due storie si incontrano.
Agnes Varda (fotografa e regista) e JR.
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“Visages, Villages” (id., 2017) è un film della inedita coppia Agnes Varda (al tredicesimo lungometraggio) eJR (fotografo francese).
Mettersi comodi, rilassatevi,tranquilli e sereni: titoli disegnati, scritte dolci e segni leggeri di contorno. Titoli di coda tra una strada e dei nomi. In aperta campagna due persone fanno l’autostop, una opposto all’altra. Due biciclette, due mondi e due storie si incontrano.
Agnes Varda (fotografa e regista) e JR. (fotografo e artista) prendono un furgoncino con il marchio di una macchina per fotografare e girano, quasi senza meta, una Francia piena, silenziosa, provinciale, dove i colori e i volti degli abitanti si guardano e ci guardano. Parafrasando De Sica ‘le foto ci guardano’.
Un docu-film che si forma tra i villaggi, le vie, le cascine, il porto, gli operai e le famiglie. Un montaggio itinerante che prende spazio e suoni naturali, si forma piano piano.
È un diario in via di componimento, anzi si compone mentre cammini, vai in bici, in un furgone, degli incontri, delle persone, degli uomini delle donne, dei ragazzi
Figure retoriche nulle tra volti sconosciuti e amici per caso. In un the road movie il fotografo e la regista, i ricordi e il presente si incontrano (quasi sempre) negli sguardi di vita dentro una provincia mai finita. In una Francia misurata, di contorno, senza artifizi o parole vuote. In un misero furgoncino la grandezza di uno scorrere quotidiano non inerte e banale ma realisticamente accattivante.
Omaggio di una vita trascorsa, di una cultura di passaggio e di incontri, di silenzi e di sguardi. La fotografie maestosamente fanno rivivere vie, case, casolari e lavoro passato e presente.
Teatralità itinerante, passano gli artisti di strada, chiedono collaborazione, si fanno raccontare e raccontano, una donna e i suoi ricordi, un aiutante e i suoi quotidiani.
Occorre ascoltare l’emozione e palpare le piccole cose che diventano storie da ‘scrivere’ e ‘guardare’. La vita in furgoncino si pesa in ogni attonito ingrandimento che alimenta fervore e malinconia, festa e archivio.
Film lieve dove il racconto minimo quasi minimalista si ritrae ogni volta senza screzi e con allegria pseudo- seriosa. Foto giganti che danno il senso di un incontro itinerante: Jr con i suoi occhiali scuri che non toglie mai (ma c'è una prima volta un po' sfocata) si fa vice alla Varda che cerca sempre qualcuno li per caso. Una mamma, dei giovani, delle mogli, un agricoltore, una donna sola: tra paesi, campagne, un porto, case di minatori, una spiaggia in Normandia, dei posti che forse non aspetti. Tutto piccolo, semplice, senza retorica che fa pensare addolcisce è un po' commuove. Fino ad un treno velocissimo tra i passi lenti e il furgone d'antan.
Un treno dove i due salgono: viaggio lungo per poter incontrare Jean Luc Godard. In Svizzera in quel di Rollè: si avvicinano con circospezione alla casa del mito e del lontano amico per Varda. Suonano, bussano, tutto chiuso, nessuno apre, aspettano, silenzio, lasciano un biglietto sul cancello, quasi volante...e dopo qualche istante si allontanano. Varda non è molto contenta dell'incontro non avvenuto, si ritrae, quasi impreca e non digerisce un amico che non vede più..da molti anni (da sempre…sembra). Una piccola lacrima.
Ci si siede, si guarda il panorama, la natura attorno, gli occhiali scuri vengono staccati, lo sguardo non è filtrato....anche se ci appare senza un viso delineato e i suoi contorni.
Attori stile (neo=realismo, senza sorta di battuta con viste minime e piccoli carrelli: una presentazione quasi rosselliniana nel tempo post moderno pensando ad un passato importante.
Acqua e grano, alta marea e mietitura, porto e scaricatori, Le Havre e la cultura pop, il sogno e la fine. Fotografia dolce e immediata, linguaggio ordinario e semplice, recitazione in presa diretta, regia poco ammiccante e montaggio da sartoria con punte di ago e qualche filo per strada.
Menzione alla ‘Cineteca di Bologna’ che ha distribuito il film.
Voto: 7½/10 (***½).
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fabiofeli
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mercoledì 21 marzo 2018
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l'immaginazione al potere
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Questo film parte da lontano e arriva lontano. Agnes Varda, unica donna tra i registi della Nouvelle Vague, nel 1931 aveva 13 anni e aveva imparato la canzone del porto di Le Havre: la canta ancora leggera e con grazia, nonostante sia alla soglia dei 90 anni con gli occhi che non mettono più a fuoco e i piedi che faticano a fare il loro lavoro. Il ricordo torna subito alla magnifica canzone di Cleo dalle 5 alle 7 (film di Agnes del 1962), Sans toi (Senza te), ascoltata solo due volte dalla protagonista Corinne Marchand, ma subito scolpita nella memoria fino all’ultima nota e all’ultimo sussurro.
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Questo film parte da lontano e arriva lontano. Agnes Varda, unica donna tra i registi della Nouvelle Vague, nel 1931 aveva 13 anni e aveva imparato la canzone del porto di Le Havre: la canta ancora leggera e con grazia, nonostante sia alla soglia dei 90 anni con gli occhi che non mettono più a fuoco e i piedi che faticano a fare il loro lavoro. Il ricordo torna subito alla magnifica canzone di Cleo dalle 5 alle 7 (film di Agnes del 1962), Sans toi (Senza te), ascoltata solo due volte dalla protagonista Corinne Marchand, ma subito scolpita nella memoria fino all’ultima nota e all’ultimo sussurro. Nel peregrinare della Varda, brava anche come fotografa, insieme a JR nella Francia provinciale, lontana dalla megalopoli parigina, si colgono persone, luoghi e momenti irripetibili: ci si chiede come sarà senza te, Agnes, questa Francia se nessuno ne saprà narrare come fai tu; e sarà più difficile anche per te, con piedi e occhi che non fanno il loro dovere, anche se ormai viaggiano in fotografia su di un treno verso luoghi mai visti e percorsi a piedi …
Il pretesto per interagire col presente e con le persone è la fotografia. Agnes e JR mettono a loro agio persone diversissime tra loro, con un occhio attento alle loro storie e al contesto in cui vivono: un agricoltore che da solo coltiva 800 ettari di terra (!); un postino; una donna che resiste allo sfratto in un paese vicino a miniere abbandonate; Pony, un artista con la pensione minima; allevatori di capre senza corna e con le corna; il sindaco di un paese della Normandia dove un bunker tedesco è crollato “artisticamente” sulla spiaggia di sassi; le mogli dei lavoratori del porto di Le Havre, protagoniste su una grande facciata di container. Il paese dei bisnonni di JR, protagonisti di una lontana storia d’amore, si fregia di una mega-foto dei due, ricavata da una stampa color seppia di un dagherrotipo. Persino un paese abbandonato e diroccato si anima di persone in festa per un picnic. Solo una giovane donna fotografata con un ombrellino bianco, come in un quadro di Monet, non ama la sua immagine gigantesca. E poi c’è la delusione del dispetto di un appuntamento mancato da Jean-Luc Godard, ostinatamente assente dal suo rifugio a Rolle, in Svizzera. Una piccola chicca – soprattutto per i fotografi – il minuscolo cimitero dove riposano Cartier-Bresson e sua moglie, neanche 10 lapidi tra ciuffi di lavanda turchina. L’immaginazione è al potere, come e più che nel 1968, perché le onde della nouvelle vague battono ancora sull’indifferenza delle coste di pietra della Normandia, cancellando – come è giusto – il passato che torna in una fotografia. Rimane una spinta per continuare a sognare: il mondo è sempre una visione da scoprire, una storia da raccontare di persone “comuni”, gioiosa o triste, certo, ma sempre poetica. Ed una foto o una pellicola che commuovono nel profondo non sono mai cose effimere ed inutili. Grazie, Agnes, grazie, JR: un film da non mancare assolutamente.
Valutazione **** e ½
FabioFeli
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flyanto
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martedì 28 agosto 2018
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tanti volti sui muri
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“Visages, Villages” è un film documentario (in lingua originale con i sottotitoli in italiano) girato a quattro mani dalla famosa regista della Nouvelle Vague, Agnès Varda, e dal noto fotografo ‘di strada’ JR. Ben distanti l’una dall’altro per generazione (la Varda ha 90 anni e JR circa 50 meno di lei) i due artisti si sono uniti per realizzare una sorta di ‘road movie’ in cui ognuno di loro fa confluire, attraverso la propria arte e il proprio modo di esprimersi in questo contesto, la personale visione della vita e della Società contemporanea.
Conosciutisi, dunque, quasi per caso, la Varda e JR decidono di intraprendere con un pulmino tutto variopinto un viaggio lungo i paesaggi della Francia e, più precisamente, attraverso la campagna ed i villaggi in essa immersi.
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“Visages, Villages” è un film documentario (in lingua originale con i sottotitoli in italiano) girato a quattro mani dalla famosa regista della Nouvelle Vague, Agnès Varda, e dal noto fotografo ‘di strada’ JR. Ben distanti l’una dall’altro per generazione (la Varda ha 90 anni e JR circa 50 meno di lei) i due artisti si sono uniti per realizzare una sorta di ‘road movie’ in cui ognuno di loro fa confluire, attraverso la propria arte e il proprio modo di esprimersi in questo contesto, la personale visione della vita e della Società contemporanea.
Conosciutisi, dunque, quasi per caso, la Varda e JR decidono di intraprendere con un pulmino tutto variopinto un viaggio lungo i paesaggi della Francia e, più precisamente, attraverso la campagna ed i villaggi in essa immersi. I due autori percorrono le campagne e i borghi della Provenza, giungono al porto di Le Havre e si spingono sino alle spiagge ventose e selvagge, ma assai suggestive, della Normandia ed, infine, sino alla località svizzera sulle sponde del lago di Lemano dove sembrerebbe risiedere il famoso e quanto mai scontroso regista Jean-Luc Godard, un tempo amico e collaboratore della stessa Varda. Nel corso dei loro spostamenti JR ritrae con la sua macchina fotografica persone comuni (contadini, allevatori, donne anziane e/o lavoratrici, portuali, ecc…) e poi ne stampa i ritratti in formato gigante al fine di appenderli sui muri delle case o delle città stesse, o sulle pareti dei vagoni di un treno o di un camion o di un container al porto come testimonianza della Società contemporanea. Tali individui sono stati intervistati da Agnès Varda, coadiuvata da JR, e la regista francese ha assemblato le varie riprese e le interviste, montandole nel docu-film, parallelamente al lavoro delle suddette fotografie giganti di JR.
Dal film si evince che i due artisti, nonostante la già evidenziata grande differenza di età, hanno la stessa visione della vita in generale, concordi più o meno su tutto come anche sul fatto di riprendere appositamente le persone della provincia piuttosto che quelle delle grandi città, in quanto più vere e più dirette. Attraverso il loro iter lo spettatore viene così a conoscenza di alcune riflessioni o ricordi personali di entrambi gli autori del docu-film: la Varda rammenta i suoi amici e compagni di lavoro Jean-Luc Godard e Alain Resnais, mentre JR la propria felice infanzia trascorsa in compagnia della quasi centenaria nonna (che pure viene ripresa nel film amorevolmente).
Insomma, una pellicola altamente poetica in cui non si può che non riscontrare, e piacevolmente ammirare, la simpatica e profonda sintonia tra la Varda ed il giovane JR, dove la nostalgia (soprattutto per la Varda) dei tempi ormai passati riguardanti sia l’esistenza in generale che la sfera privata è onnipresente e risuona dolce ed amara allo stesso tempo.
Inoltre, vi è da aggiungere, che il reale ‘protagonista’ di quest’opera cinematografica è costituito proprio dall’organo degli occhi: strumento quanto mai necessario per vedere, osservare, ammirare e ‘captare’ tutto ciò che lo scenario di fronte presenta, gli occhi sono necessari ad una regista come anche ad un fotografo, sono sempre in coppia come in questa pellicola lo sono anche la Varda e JR, e differiscono solo per capacità visiva (scarsa nell’anziana regista costretta ormai quasi ad ‘indovinare’ ciò che le si pone davanti) e volutamente oscurati e resi ‘misteriosi’ da lenti scure negli occhiali di JR.
La scena finale in cui i due autori protagonisti si trovano su una panchina di fronte al lago di Lemano, termina il film che, già poetico nel suo insieme, si innalza nel suo lirismo in maniera toccante e profondamente sincera, mettendone a nudo i due autori.
Un vero gioiello di pellicola.
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sia21
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sabato 31 marzo 2018
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bellezza quotidiana
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Dal bizzarro incontro fra la premio Oscar Varda e il giovane artista JR nasce un documentario assolutamente sui generis (tanto da rendere piuttosto difficile inquadrare questo lavoro all'interno di uno specifico genere). I due, separati da molti anni di differenza, compiono insieme un viaggio attraverso la Francia meno turistica, ma più autentica: la loro sensibilità artistica viene così ad incontrarsi con le storie di tante persone comuni, come minatori, scaricatori di porto e altri. Attraverso la fotografia e le installazioni Varda e JR cercano di cogliere tutto quello che c'è di eccezionale nella normalità della vita di queste persone, cercando di esaltare la bellezza, unica, del quotidiano.
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Dal bizzarro incontro fra la premio Oscar Varda e il giovane artista JR nasce un documentario assolutamente sui generis (tanto da rendere piuttosto difficile inquadrare questo lavoro all'interno di uno specifico genere). I due, separati da molti anni di differenza, compiono insieme un viaggio attraverso la Francia meno turistica, ma più autentica: la loro sensibilità artistica viene così ad incontrarsi con le storie di tante persone comuni, come minatori, scaricatori di porto e altri. Attraverso la fotografia e le installazioni Varda e JR cercano di cogliere tutto quello che c'è di eccezionale nella normalità della vita di queste persone, cercando di esaltare la bellezza, unica, del quotidiano. Il film (si rimanda a sopra per la difficoltà nella definizione dell'opera) risulta particolarmente riuscito nella sua intimità, che non sfocia mai nel banale sentimentalismo, e nel suo tentativo di demistificare la figura dell'artista, ridotto ad uomo fra uomini, ad uomo a disposizione di altri uomini, privato di una qualsivoglia aura ( anche Godard inconsapevolmente sembra ricoprire un ruolo in questo). Non del tutto apprezzabile sembra certe volte la morbosità, un termine sinceramente fin troppo radicale, nel mostrare le reazioni degli individui messi di fronte alla propria 'grandezza': alcune inquadrature forse potevano essere evitate, la sostanza del film non sarebbe mutata e l'eliminazione di qualsiasi forma di spettacolarizzazione, programmaticamente ricercata dai due, sarebbe forse riuscita meglio. Il giudizio sul lavoro di questa 'strana coppia' è comunque positivo. Opera consigliata a tutti coloro che vogliono fare pace con l'eccezionale mediocrità del quotidiano.
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great steven
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giovedì 21 ottobre 2021
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fotografando i momenti speciali di un viaggio...
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VISAGES VILLAGES (FR, 2017) diretto da AGNèS VARDA & JR. Interpretato da AGNèS VARDA, JR
Il viaggio on the road di A. Varda e dello street artist JR ricorda molto da vicino il pennello disneyano che passa sui paesaggi spenti e li anima di luci e colori, dalla Provenza alle spiagge della Normandia, dai campi di grano al bunker tedesco rovesciato sulla sabbia e cambiato di segno grazie all’immagine incollata di Guy Bourdin, famoso fotografo di moda, modello e amico della regista di Cléo dalle 5 alle 7. Un’improbabile ma efficientissima coppia si aggira per le campagne francesi: lei mito della Nouvelle Vague, con un caschetto di capelli bicolori; lui giovane e affascinante, già icona di sé stesso, copricapo e occhiali neri alla Godard che non si toglie nemmeno sotto tortura, a meno che non si tratti di consolare Agnès davanti alla porta chiusa di JLG (Jean-Luc Godard) quando lo scorbutico svizzero le gioca una sgradevole sorpresa.
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VISAGES VILLAGES (FR, 2017) diretto da AGNèS VARDA & JR. Interpretato da AGNèS VARDA, JR
Il viaggio on the road di A. Varda e dello street artist JR ricorda molto da vicino il pennello disneyano che passa sui paesaggi spenti e li anima di luci e colori, dalla Provenza alle spiagge della Normandia, dai campi di grano al bunker tedesco rovesciato sulla sabbia e cambiato di segno grazie all’immagine incollata di Guy Bourdin, famoso fotografo di moda, modello e amico della regista di Cléo dalle 5 alle 7. Un’improbabile ma efficientissima coppia si aggira per le campagne francesi: lei mito della Nouvelle Vague, con un caschetto di capelli bicolori; lui giovane e affascinante, già icona di sé stesso, copricapo e occhiali neri alla Godard che non si toglie nemmeno sotto tortura, a meno che non si tratti di consolare Agnès davanti alla porta chiusa di JLG (Jean-Luc Godard) quando lo scorbutico svizzero le gioca una sgradevole sorpresa. La sfocatura dello sguardo non è solo per l’età, la sovrimpressione di immagini è un atto creativo firmato dai due artisti fotografi, gesto futuribile, gioco bizzarro e insieme divertente che attraversa i villaggi, rovine della memoria, e i porti dove si accatastano le merci, e dove i nostri due eroi cambiano connotati al paesaggio, scoprendo (o riscoprendo) la bellezza nascosta dietro ogni attimo, sospiro ed emozione da racchiudere dentro l’obiettivo. Nel furgoncino dall’aspetto di un’enorme macchina fotografica si sfornano gigantografie degli abitanti di casolari e cascine, silhouette in bianco e nero che JR e la sua troupe incollano sulle pareti su indicazione di Varda. Così che l’unica resistente alla distruzione di un piccolo edificio di mattoni rossi domina l’intero villaggio-fantasma di ex minatori. E una capra, anche lei contro la logica del profitto, inalbera orgogliosa le sue corna, che gli allevatori amputano per evitare conflitti, sulla facciata dell’ovile. Agricoltori solitari, cameriere, intere famiglie, operai, scaricatori di porto accompagnati dalle mogli che per professione guidano i mezzi pesanti, tutti loro tracciano il percorso, improvvisamente rinomati, tempestati di altri scatti fotografici di curiosi e turisti, simulacri che verranno cancellati dal mare e dalla pioggia, ma conservati dalla memoria immortale del cinema. Fuori concorso a Cannes 2017, candidato all’Oscar per il miglior documentario, Visages Villages viene distribuito dalla Cineteca di Bologna, forse perché è carico di altri "collage" oltre a quelli impressi sui muri: una forma efficace di materializzazione del cinema, fotogrammi di carta e colla che si intrecciano con l’omaggio vivente di Varda spinta da JR su una carrozzina fra i saloni del Louvre. Jacques Demy, Alain Resnais, Anna Karina e i nomi importanti della stagione dei Cahiers aleggiano nel cielo di Francia, scortati dalla signora e dal ragazzo che hanno in comune lo sguardo, occhi spalancati che osservano una cisterna in partenza su un treno merci, diretto chissà dove. È così che, fra scherzi, bisticci e bonarie punzecchiature, il duo continua a viaggiare con l’espressione del sognatore consapevole fino ai docks di Le Havre, un altro confine, non certo invalicabile per i visionari. Una lezione documentaristica che insegna tanto agli spettatori quanto ai cineasti il bisogno di esplorare e approfondire ulteriormente questo genere che, alla settima arte, può ancora donare moltissimo. Sulla falsariga di nuove idee, modellate e rielaborate in funzione della fantasia, capaci di rinnovare la carenza di creatività che, in tempi recenti, su entrambe le sponde dell’Atlantico, ha arrecato tanta sofferenza a film che meritavano di meglio.
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