“Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore” Italo Calvino Le belle commedie hanno la peculiarità di essere leggere e al tempo stesso profonde. Strappano sorrisi e risate, ma con garbo e senza volgarità. Commuovono con delicatezza, con la naturalezza della vita vissuta. Tutto quello che vuoi è tutto questo. Un piccolo grande film che racconta una storia semplice, di quelle che accarezzano il cuore. Cosa hanno in comune Alessandro, un ventenne coatto e disadattato che passa le giornate tra la play-station e il cazzeggio al bar, e Giorgio Ghelarducci, un anziano poeta, elegante e gentile, affetto da Alzheimer? Cosa avranno mai da dirsi due generazioni tanto diverse e lontane? Apparentemente nulla. Anzi, non si sarebbero mai incontrati se Alessandro non fosse stato costretto ad aiutare Giorgio accompagnandolo nelle sue passeggiate pomeridiane. Eppure a volte ciò che sembra inconciliabile nasconde sorprese e potenzialità inespresse. E quello che poteva essere uno scontro generazione si rivela un incontro, un percorso di crescita e di maturazione. Dopo l’iniziale diffidenza, pian piano Alessandro si avvicina a Giorgio scoprendo la bellezza della poesia e vicende storiche che prima ignorava. Tra le passeggiate al parco, i vuoti di memoria e i confusi ricordi che affiorano nella mente di Giorgio nascerà tra i due un reciproco sentimento di affetto. La complicità nella condivisione di spassosi momenti ludici e la scoperta di misteriosi segreti bellici faranno virare la storia verso un road movie in cui Giorgio, Alessandro e i suoi scapestrati amici andranno alla ricerca, inconsapevolmente, di se stessi e della propria strada. Metaforicamente il testimone della memoria che Giorgio sta progressivamente perdendo viene passato ad Alessandro, che potrà così affrontare il futuro con una nuova coscienza rivitalizzata dagli insegnamenti dell’amico poeta. Un passaggio generazionale tra nonni e nipoti significativo, oggi quanto mai necessario. Dopo i riusciti Scialla! e Noi 4 il regista-sceneggiatore Francesco Bruni fa centro anche con questo splendido terzo film, confermando la sua spiccata capacità di raccontare il difficile rapporto tra adolescenti e adulti. Ci teneva molto, anche perché la storia del film è in buona parte autobiografica: il padre era malato di Alzheimer ed è mancato da poco. Gli episodi sulla guerra prendono spunto dai racconti del genitore quando non era più lucido. Se l’eccellente scrittura di Bruni non fa notizia – è uno dei migliori sceneggiatori italiani, autore della maggior parte dei capolavori di Virzì – colpisce la delicatezza con cui viene trattata la malattia e il senso della misura nelle relazioni tra i personaggi, senza eccessi di sentimentalismo o di retorica. Alcune trovate sono davvero azzeccate, come le pareti della stanza incise di pensieri e ricordi, o la partita alla play station pensando fosse il Grande Torino. Tutto il cast ha dato un’ottima prova, pur senza nomi altisonanti e con molti ragazzi esordienti. Ulteriore conferma della bravura di Bruni nel dirigere in modo impeccabile un gruppo giovane e inesperto. Alessandro Carpenzano, nella parte di Andrea, è davvero bravissimo, in alcuni momenti per spontaneità e movenze ricorda gli esordi di Valerio Mastandrea. Riesce a trovare con Giuliano Montaldo un’alchimia speciale che tiene assieme in perfetto equilibrio saggezza e ignoranza, signorilità e sbruffoneria. La straordinaria interpretazione del poeta Giorgio Ghelarducci da parte di Giuliano Montaldo merita una nota a parte. Alla veneranda età di 87 anni, il regista genovese, uno dei maestri assoluti del cinema italiano – basti citare le regie di Sacco e Vanzetti o Giordano Bruno – ha accettato l’invito dell’amico Bruni dando vita a un personaggio memorabile, sincero e commovente nella sua profonda leggerezza. Quella leggerezza che faceva dire a Calvino: “così, a cavallo del nostro secchio, ci affacceremo al nuovo millennio, senza sperare di trovarvi nulla di più di quello che saremo capaci di portarvi”.
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