Tre manifesti a Ebbing, Missouri

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Un film di Martin McDonagh. Con Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, Abbie Cornish.
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Titolo originale Three Billboards Outside Ebbing, Missouri. Thriller, Ratings: Kids+13, durata 115 min. - USA, Gran Bretagna 2017. - 20th Century Fox Italia uscita giovedì 11 gennaio 2018. MYMONETRO Tre manifesti a Ebbing, Missouri * * * 1/2 - valutazione media: 3,88 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Da sola contro tutti coloro che hanno dei torti. Valutazione 4 stelle su cinque

di GreatSteven


Feedback: 70013 | altri commenti e recensioni di GreatSteven
lunedì 16 luglio 2018

TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI (USA, 2017) di MARTIN MCDONAGH. Interpretato da FRANCES MCDORMAND, WOODY HARRELSON, SAM ROCKWELL, PETER DINKLAGE, JOHN HAWKES, CALEB LANDRY JONES, LUCAS HEDGES, ABBIE CORNISH, SAMARA WEAVING, CLARKE PETERS, SANDY MARTIN, DARRELL BRITT-GIBSON, KATHRYN NEWTON, ŽELJKO IVANEK
La 60enne Mildred Hayes è ancora sconvolta, sette mesi dopo, dalla violenta morte della figlia Penelope, barbaramente stuprata e uccisa da un malvivente mai identificato, motivo per cui, quando un giorno vede sulla strada di Ebbing (Missouri) tre manifesti malconci, li affitta per svariati mesi in modo che vi vengano dipinte sopra tre frasi, una per ciascun cartellone, aizzanti all’odio per coloro che violentano e spronanti a denunciare i soprusi e le imperdonabili disattenzioni della polizia di Ebbing, rea, secondo Mildred, di trascurare i crimini autentici per perdere tempo a bastonare persone di carnagione scura e omosessuali cubani. La sua azione scatena prevedibilmente le ire delle locali forze dell’ordine, soprattutto del manesco e arrogante Jason Dixon, poliziotto che vive con la madre bigotta e razzista, più volte richiamato dal superiore, lo sceriffo William Willoughby, per i suoi metodi sanguinari. Willoughby rassicura Mildred che, malgrado non si abbiano prove né tempo sufficienti per scovare il colpevole dell’omicidio di sua figlia, le forze di polizia autoctone s’impegneranno affinché il delitto non rimanga impunito. Poco dopo lo sceriffo, gravemente ammalato di tumore e tutt’altro che propenso a passare gli ultimi mesi della sua vita in un letto d’ospedale piuttosto che accanto alla sua famiglia, lascia un biglietto alla moglie una notte e poi, infilatosi un cappuccio, si spara un colpo alla testa. La sua morte lascia sconfortati e spaventati tutti gli aventi dell’EPD, tanto che Dixon entra prepotentemente nella sede pubblicitaria in cui Mildred s’era recata per far dipingere le frasi sui manifesti e defenestra il giovane Red, cui la donna aveva pagato a tal scopo una cifra considerevole. Divorziata da anni, con un altro figlio da mantenere e l’ex marito che non la vede di buon occhio pur essendo anch’egli amareggiato per la perdita di Penelope Hayes, Mildred una mattina riceve la visita di uno sconosciuto nel suo negozio di articoli domestici, il quale ne fracassa uno e le insinua il sospetto che possa essere lui il colpevole, giacché è a conoscenza dell’accaduto. Come se non bastasse, una notte, mentre è in automobile col figlio, Mildred vede i manifesti in preda alle fiamme, e tenta con scarso successo di domare l’incendio. Sempre più arrabbiata e intollerante nei confronti degli agenti di Ebbing, la notte successiva scaglia una serie di bottiglie molotov contro la sede centrale di polizia, nel momento stesso in cui Dixon, licenziato per aver brutalmente picchiato senza una valida ragione Red, legge una lettera che gli aveva lasciato Willoughby prima di suicidarsi, in cui gli dice che crede nelle sue potenzialità professionali. Rimasto ustionato e senza lavoro, Dixon decide di mettere finalmente la testa a posto e, una sera, in un locale, sentendo lo stesso uomo introdottosi nel negozio di Mildred parlare di una violenza carnale, lo provoca e se ne esce con la faccia tumefatta dai suoi cazzotti. A quel punto, coi manifesti recuperati e resi di nuovo visibili a chiunque attraversi la strada e col capitano Abercrombie che assicura alla protagonista che l’EDP è estraneo al fatto del fuoco appiccato, Mildred stringe un’inattesa alleanza con Dixon che, assicurando di cambiare d’ora in poi comportamento, la segue mentre insieme vanno in Idaho, armati di un fucile, nel tentativo di inseguire l’uomo che, in separate sedi, hanno entrambi conosciuto e che credono essere l’assassino di Penelope. Benché sottovalutato agli Oscar (due sole statuette, ma meritatissime – McDormand e Rockwell – su sette candidature), ha ricevuto lunghi applausi dopo la proiezione al 74° Festival di Venezia, e in terra italica la critica ha avuto certamente uno sguardo più lucido ed oculato: la storia affronta numerosi temi (diversità, razzismo, ignoranza, ingiusta sottomissione del sesso femminile a quello maschile, desiderio di farsi giustizia da sé, modo d’intendere l’utilizzo della violenza, senso del dovere in varie declinazioni) approfondendoli uno per uno senza perdere di vista un particolare significato di pietà, comprensione, tolleranza, ma anche di coraggio, autostima e valorizzazione, che costituisce sia il perno cui tutto il film ruota intorno sia la morale conclusiva dello stesso, in quanto il personaggio principale è una donna che non vuole rendersi schiava degli uomini, a qualunque categoria appartengano (e qui la distinzione fra civili e pubblici ufficiali è una chiave di lettura di estrema importanza), e perciò lotta affinché tutte le donne della sua città non subiscano irragionevoli soprusi, ricorrendo tanto ai mezzi legali (la società pubblicitaria presso cui compra il trio di cartelloni da pitturare) quanto ai sistemi più virulenti (l’attacco incendiario alla centrale è un pezzo di bravura imperdibile). Dall’altro canto, gli uomini si atteggiano in svariati modi: c’è chi mantiene il suo ruolo e non smentisce i suoi ideali pur credendo che una giustizia debba essere portata a termine a qualsiasi costo (lo sceriffo William/Harrelson); chi dapprima è solo un ubriacone omofobo e spaccone che sa fare la voce grossa solo quando impugna un manganello e poi volta faccia passando dalla parte dei buoni, o meglio, pentendosi dei suoi sbagli, per dedicarsi ad adempiere la causa più opportuna (l’agente Dixon/Rockwell); chi agisce solo in apparenza da mediatore e lavoratore semplice e senza pretese, ma in realtà coltiva interessi per chiunque combatta fino allo stremo per il rispetto di diritti inalienabili (Red/Landry Jones); chi disprezza la consorte da cui s’è separato ma non la prole che con lei ha generato (Hawkes); e chi incarna finalmente lo spirito più genuino e meno opportunistico della legge (C. Peters), un tutore zelante che non spreca fiato né ore a giustificare i suoi sottoposti, ma fatica perché ognuno non si senta diverso né schiacciato dall’altro, eliminando ogni distinzione di sorta. Curando sia la regia che la sceneggiatura, McDonagh ha conquistato un posto d’onore fra i cineasti d’oltremanica (britannico con origini irlandesi) per il merito di aver saputo edificare una vicenda che lascia a bocca spalancata, induce a profonde riflessioni, non ha la pretesa di spiegare tutti i cavilli che intrica man mano che l’intreccio procede ed evita il finale consolatorio per lasciare allo spettatore uno spiraglio aperto alla speranza che i flagelli non abbiano infine la meglio sulla sanità (e santità) dei lottatori.   
 

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