Film iper-romantico di un cinefilo appassionato che parte dal "Mostro della laguna nera" (Jack Arnold, 1954), lo coniuga con "King Kong" (Schoedsack e Cooper, 1933 e remakes) e con "La bella e la bestia" (varie versioni a partire dal Cocteau del 1946), senza dimenticare "E.T.", "Frankenstein", gli horror americani anni '50, il noir anni '40 e probabilmente anche lo spirito dei fumetti della Marvel. Capace di costruire la sua storia e di mostrarla con uno stile rotondo e avvolgente (solito ampio uso della steadycam), Del Toro dimostra di essere un autore, con uno stile riconoscibile, ma ci consegna anche un film che del già visto fa la sua bandiera e che si dimostra narrativamente tutto prevedibile. Il regista, insomma, ricorda e ricostruisce tutta quella cultura pop che è stato il suo (e il nostro) mito infantile, ma ci racconta una storia che sappiamo già come finisce, con quella esasperazione dei contrasti di un manicheismo talmente insistito da rasentare il fastidio: come il cattivissimo Strickland, dotato di una famiglia-modello tipica dell'America anni '50, i personaggi buoni, che sono una carrellata-elenco dei 'diversi' emarginati dalla società perbenista (una muta, un'afroamericana, un gay, un mostro), i nemici russi, cattivi e finti. Sempre in bilico tra assurdità kitsch e poesia edulcorata, Del Toro dimostra grande capacità nel portare a termine il film con professionalità e gusto estetico (ad es. i colori ipersaturi che ricordano la tavolozza del "Favoloso mondo di Amélie"), ma non va oltre il film ricreativo della domenica pomeriggio.
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