Puro e integro, lo spettacolo circense ha ispirato negli anni grandi titoli. Ora è la volta del film con Hugh Jackman, dal 25 dicembre al cinema.
di Pino Farinotti
La proposta natalizia può essere definita globale: The Greatest Showman, il musical firmato da Michael Gracey, sarà nelle sale di tutto il mondo, così come da noi in alternativa alle tradizionali proposte natalizie nostrane. Trattasi di ben altra qualità. È una storia di circo.
C'era un tempo in cui il circo era "il più grande spettacolo del mondo" e Cecil B. DeMille, esattamente con quel titolo, ci guadagnò un Oscar nel 1952. Da tempo il circo è (quasi) solo un ricordo, ma quando a evocarlo ci si mette il grande cinema, il promemoria diventa potente e il circo si ripresenta nelle sue modalità di spettacolo, che erano tante e ricche.
Lo Showman protagonista è Phineas Taylor Barnum, imprenditore e circense americano. Nella seconda parte dell'800 era una leggenda, tanto che il suo nome divenne un lemma che identificava spettacolo completo e magniloquente. Lo stesso Barnum, uomo irrequieto e fucina di iniziative non sempre ortodosse, finì per affezionarsi al suo personaggio estremo e trasgressivo dichiarandosi un mistificatore. Il film racconta della sua intenzione di creare il circo e della relazione con una delle protagoniste, le cantante Jenny Lind. E intorno tutto il contesto favorito dalle possibilità spettacolari e dall'investimento della produzione, che fanno di "Greatest" un film sfavillante e un colossal.
Preziosa è la colonna sonora di The Greatest Showman, affidata alla coppia Justin Paul e Benj Pasek che hanno composto undici canzoni. Protagonista è Hugh Jackman che si ripropone come cantante, dopo l'esperienza in Les Miserables nella parte dell'eroe Jean Valjean.
Il circo è stato oggetto di interesse da parte di molti registi. Cito solo alcuni giganti, non solo cineasti, artisti generali, ai quali stava a cuore quel mondo.
Chaplin col suo Il circo, nella sua poetica semplice e commovente; Carol Reed, con Trapezio, con Burt Lancaster, acrobata vero, senza controfigura; Elia Kazan col suo Salto mortale, dove un circo nell'Europa dell'est dà un'indicazione anticomunista; Artisti sotto la tenda di un circo: perplessi, Leone d'oro a Venezia, è firmato da Alexander Kluge membro autorevole del movimento tedesco dei Wenders e Fassbinder: non mancano le implicazioni politiche del "sessantotto". Di DeMille si è già detto. Meno impegnativo ma divertente è Il principe del circo, con Danny Kay, firmato da Michael Kidd, l'inventore della danza atletica, coreografo di 7 spose per sette fratelli.
Dell'era contemporanea è ricordabile Madagascar 3, in parte ambientato nel mondo circense, protagonista la tigre di origine russa Vitaly. Ingmar Bergman vede nel circo un micromondo. In Una vampata d'amore - titolo improprio, molto meglio l'originale La serata dei buffoni - racconta dei rapporti di antagonismo e d'amore fra vari membri. Ma anche nel suo capolavoro, Il settimo sigillo, inserisce un carro sgangherato, gestito da due giovani acrobati. Alla fine, quando sulla collina tutti i protagonisti seguono la morte in controluce, verso... il grande mistero, gli unici salvati dal cavaliere sono i due acrobati e la loro bambina. La famiglia circense come simbolo di spettacolo puro e di integrità.