Si respira odore di rotativa, prima del Numero 1, prima della stampa dell’articolo.
Come in televisione, la macchina lavora a tutto spiano, la pressa schiaccia e il momento topico che precede la pubblicazione in cui si consacra il coacervo di umano e robotico, di dettagli di viti, macchinari oliati, vasche di inchiostro e di una grande massa di carta spostata su caratteri mobili finalmente impressi, ha inizio.
Quarto potere. Alzi la mano chi non se lo ricorda.
Un film che ha mostrato sin da subito i limiti del libero arbitrio della carta stampata e le connivenze tra partiti politici oltre che le influenze che i poteri forti palesano sui mezzi di informazione.
Spielberg nel suo ultimo film candidato agli Oscar, The post, si muove nei meandri della regia d’inchiesta confezionando un omaggio alla libertà di stampa alla Citizen Kane in un periodo difficile ostacolato da trumpismi e forme dittatoriali che vorrebbero farla tacere.
Libertà sfumata nel coraggio nell’amore, sempreterno e catartico per le rotative e la carta stampata, desueta trasfigurazione in caratteri mobili del linguaggio cinematografico.
In breve, poche sequenze dopo l’inizio del film, ecco apparire lo scandalo. I Pentagon Papers, documenti riservati che proverebbero come il governo avesse mentito ai cittadini (e non solo), durante la guerra in Vietnam, provocando lo scandalo dell’amministrazione Nixon, furono divulgati nel 1971 da Daniel Ellsberg, economista vicino al Pentagono.
Migliaia di pagine che il New York Times rivelò all’opinione pubblica sospendendo poi la pubblicazione a causa di un'ingiunzione della corte suprema.
Il film segue quello che successe “dopo lo scandalo” focalizzandosi sul Washington Post o, meglio, sulle persone che quel giornale lo guidarono, rompendo ogni indugio contro una repressione investigativa, fallace nel rivelare l’identità di un mandante nell’ombra ma pronta a chiudere la bocca a chi fosse contrario al benpensare nixiano.
Grazie al coraggio del suo editore, Katharine Graham, prima donna al vertice di un quotidiano e del suo direttore, Ben Bradlee, rispettivamente interpretati da Meryl Streep e Tom Hanks, i nodi vengono al pettine, scontrandosi con i poteri forti, uno squarcio di luce nel buio delle tenebre dell’amministrazione politica, la stessa che pochi mesi dopo avrebbe affrontato un nuovo scandalo: Watergate.
The postin poco meno di due ore mantiene alta l’attenzione dello spettatore, non risultando mai banale o scontato. Crea intorno a lui un clima fremente, incerto, instabile non solo per mostrare i limiti (e il potere) della carta stampata ma figliando in un sotto-filone che in tralice nasconde il complesso ruolo della donna, qui prima voce di un giornale, responsabile di ogni parola del “suo” quotidiano (che da locale, arriverà in Borsa).
Spielberg si “fa donna” per mostrare le fragilità ma anche e soprattutto la determinazione del direttore che lotta in un mondo di uomini per qualcosa di normale ovvero mantenere la propria opinione su ciò che le appartiene.
Ed è curioso che in un film che non ha nulla del giornalismo investigativo, sia proprio Meryl Streep (recentemente membro attivo del movimento me-too contro la discriminazione sulle donne e la salvaguardia dei diritti del genere femminile) la portavoce di un dialogo importante, una frase fulminante, come si scoprirà nella pellicola.
In The post lo spettatore assiste a due antitesi che si fondono in una sola: quella personale di una donna pronta a tutto per abbattere la rete di omertà contro il conformismo, profondo e innaturale, avvinto all’emarginazione del sesso femminile.
Emerge sottile, ambigua, parlando per sguardi, toni della voce e immagini questa discriminazione ma arriva diretta al cuore nell’epica scena dell’entrata del giornale in borsa nonostante i tentennamenti, le rimostranze, le incertezze.
Così quando una camminata dell’editrice tra una folla di sole donne, in silenzio, si palesa agli occhi dello spettatore, ecco la commozione prender piede nella presa di posizione, nell’ nvito a rompere gli schermi, i vincoli, oltre il salotto borghese delle sale impomatate.
The post, in altre parole, due piccioni con una fava. In un colpo solo, un film capace di affermare, con dialoghi riusciti (aiutati da coprimari in stato di grazia), il potere dell’etica e della libertà di stampa e la presa di posizione femminile, simbolo di virtù e contrasto contro ogni forma di preponderazione dell’altro sesso.
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