saradececco
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domenica 12 novembre 2017
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un carosello di banalità
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"Che cosa saresti disposto a fare per ottenere quello che vuoi?". È più o meno questa la grande sfida con cui The Place ti attira in sala. Una domanda forte, che cominci a farti anche tu. E allora pensi: vediamo come la risolvono i personaggi interpretati da quel fortissimo cast; finalmente un film coraggioso, andiamo! Ecco, niente di più sbagliato: quella domanda è un po' una truffa. Mi sono trovata di fronte a personaggi ordinari e desideri piccoli, con in più una grande dose di retorica in dialoghi che risultano molto presto stucchevoli. Tutto molto freddo. E banale. Mi sono francamente sentita presa in giro.
Ho letto poi che l'idea non è originale ma viene da una serie americana, The Boot At The End.
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"Che cosa saresti disposto a fare per ottenere quello che vuoi?". È più o meno questa la grande sfida con cui The Place ti attira in sala. Una domanda forte, che cominci a farti anche tu. E allora pensi: vediamo come la risolvono i personaggi interpretati da quel fortissimo cast; finalmente un film coraggioso, andiamo! Ecco, niente di più sbagliato: quella domanda è un po' una truffa. Mi sono trovata di fronte a personaggi ordinari e desideri piccoli, con in più una grande dose di retorica in dialoghi che risultano molto presto stucchevoli. Tutto molto freddo. E banale. Mi sono francamente sentita presa in giro.
Ho letto poi che l'idea non è originale ma viene da una serie americana, The Boot At The End. Forse non valeva la pena portarla sul grande schermo o semplicemente, come spesso capita, ci hanno provato ma non sono riusciti a farlo?
Se non avete molto tempo, evitate di perderlo con The Place.
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evak.
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martedì 14 novembre 2017
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imperfetto dalla cima
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Si fa presto a cadere dalla cima, se non si è in grado di gestirne l'altezza.
Il successo della commedia precedente di Paolo Genovese - a mio avviso fin troppo celebrata - non facilita l'approccio a questo tipo di film, che sicuramente è audace nelle intenzioni ma si rivela un fallimento cinematografico dal punto di vista della sceneggiatura in sè.
Il regista ha voluto addentrarsi in qualcosa che sembra conoscere poco, in uno stile non certo suo e non certo adatto al cinema, se realizzato in questi termini.
Annoia, non scuote, non coinvolge.
Non che un film debba essere necessariamente empatico; ma chi fa questo mestiere sa che il filo sottile, che tiene legato chi guarda alle vicende che scorrono sul grande schermo, passa attraverso l'emozione.
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Si fa presto a cadere dalla cima, se non si è in grado di gestirne l'altezza.
Il successo della commedia precedente di Paolo Genovese - a mio avviso fin troppo celebrata - non facilita l'approccio a questo tipo di film, che sicuramente è audace nelle intenzioni ma si rivela un fallimento cinematografico dal punto di vista della sceneggiatura in sè.
Il regista ha voluto addentrarsi in qualcosa che sembra conoscere poco, in uno stile non certo suo e non certo adatto al cinema, se realizzato in questi termini.
Annoia, non scuote, non coinvolge.
Non che un film debba essere necessariamente empatico; ma chi fa questo mestiere sa che il filo sottile, che tiene legato chi guarda alle vicende che scorrono sul grande schermo, passa attraverso l'emozione.
Questo film suscita un solo sentimento: uscire dalla sala. Il prima possibile.
L'uso di un solo spazio avrebbe dovuto facilitare il racconto di ogni storia, l'interazione tra i personaggi. Ha prodotto invece una deriva di clichè senza approfondimenti. O meglio, senza quella (magari ) profondità che i diversi racconti meritavano.
A cosa siamo disposti per la felicità? Se questo era il tema più o meno centrale del film, con questo tipo di sceneggiatura sarebbero bastati 45 minuti (anche tanti) per vedere i titoli di coda.
Ci sono registi internazionali che hanno scrutato l'animo umano, nelle loro lati più infimi, nelle loro nefandezze. Hanno camminato accanto e dentro alcuni sentimenti. Si pensi allo spazio che usa lo stesso Lars von Trier in Dogville: uno spazio addirittura disegnato, una sorta di teatro, dove in ogni scena, in ogni personaggio vibra il bene e il male. E ti arriva ogni cosa. Tocca corde profonde. Suscita diversi sentimenti. Cose che The Place (e mi scuso con Lars von Trier per averlo "scomodato") non riesce a fare.
Paolo Genovese dovrebbe tornare alla semplice commedia.
Visti i costi del film, vorrei dare anche meno di una stella.
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andreaerre
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lunedì 13 novembre 2017
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irritante tentativo di imitazione malriuscito..
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Film pretenzioso ed irritante.
Nella descrizione iniziale si legge: "tratto liberamente da.." ma poi scopri che tornando a casa e vedendo la serie originale "The Booth and the End" (presente e visibile attualmente su Netflix la prima stagione) il "regista" (virgolette in questo caso d'obbligo) abbia scelto di imitare passo passo la stesura originale compreso almeno l'80% dei dialoghi, per lunghi tratti incredibilmente identici.
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Film pretenzioso ed irritante.
Nella descrizione iniziale si legge: "tratto liberamente da.." ma poi scopri che tornando a casa e vedendo la serie originale "The Booth and the End" (presente e visibile attualmente su Netflix la prima stagione) il "regista" (virgolette in questo caso d'obbligo) abbia scelto di imitare passo passo la stesura originale compreso almeno l'80% dei dialoghi, per lunghi tratti incredibilmente identici.
A parer mio imitazione mal riuscita, decontestualizzata, il soggetto originale era interessante, particolare, ben descritto, costruito e sorretto da dialoghi pertinenti mentre nella versione italianizzata tutto viene banalizzato in modo irritante, dialoghi privi di trasporto emotivo ma soprattutto musiche dal tenore che vanno dal melenso all'inverecondo, per non parlare di attori come il redivivo Muccino e Papaleo davvero poco credibili o del sempre più bofonchiante e monocorda Giallini..
In sostanza consiglio di vedere la serie originale da cui questa brutta copia è stata purtroppo realizzata e spendere questi 9,50 euro in altro modo più costruttivo.
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nico
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domenica 12 novembre 2017
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un copia e incolla venuto male
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Premetto che conosco la serie da cui è tratta l'idea del film The Place, si chiama The Boot At The End. L'idea è intrigante, la serie geniale. Non sarei forse andata a vedere un rifacimento italiano al cinema, ma locandina, trailer e cast mi avevano fatto ben sperare perciò alla fine ho deciso di unirmi a un gruppo di amici che andava. La delusione è stata enorme. Un copia e incolla di battute, tradotte in italiano ma in una sintesi che spezzetta completamente il senso della serie originale. Non so come siano riusciti a rovinare un concept così bello e potente, "Che cosa saresti disposto a fare per...", davvero ancora me lo chiedo. Sbagliato l'approccio al tema della storia e quindi ai personaggi, sembra li abbiano adattati senza capirli davvero.
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Premetto che conosco la serie da cui è tratta l'idea del film The Place, si chiama The Boot At The End. L'idea è intrigante, la serie geniale. Non sarei forse andata a vedere un rifacimento italiano al cinema, ma locandina, trailer e cast mi avevano fatto ben sperare perciò alla fine ho deciso di unirmi a un gruppo di amici che andava. La delusione è stata enorme. Un copia e incolla di battute, tradotte in italiano ma in una sintesi che spezzetta completamente il senso della serie originale. Non so come siano riusciti a rovinare un concept così bello e potente, "Che cosa saresti disposto a fare per...", davvero ancora me lo chiedo. Sbagliato l'approccio al tema della storia e quindi ai personaggi, sembra li abbiano adattati senza capirli davvero.
Se vi va recuperate la serie su Netflix, merita. Questo film di Genovese lo sconsiglio. Un inciampo. Forse ritorneranno dei Perfetti Sconosciuti in futuro.
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(di luigiiodice)
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francescopolimeni
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venerdì 10 novembre 2017
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una promessa non mantenuta, sbadigli
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Il trailer prometteva qualcosa che nel film mancava del tutto. Il mistero e la capacità di raccontare per ellissi e associazioni (del trailer) si sono scontrati con la realtà di un film fatto di dialoghi didascalici e ripetizioni continue. Ritengo che gli attori non avrebbero potuto fare di meglio, chi sarebbe in grado di valorizzare di più battute così brevi e pedanti? Interessante la fotografia, ma complessivamente un film incapace di partire. Sempre tutto uguale. All'inizio speri che sia perchè il film sta settando qualcosa, ma anche quando quel qualcosa l'hai capito (molto molto presto) l'andamento resta uguale. Lento, stanco. Nessuna sorpresa.
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Il trailer prometteva qualcosa che nel film mancava del tutto. Il mistero e la capacità di raccontare per ellissi e associazioni (del trailer) si sono scontrati con la realtà di un film fatto di dialoghi didascalici e ripetizioni continue. Ritengo che gli attori non avrebbero potuto fare di meglio, chi sarebbe in grado di valorizzare di più battute così brevi e pedanti? Interessante la fotografia, ma complessivamente un film incapace di partire. Sempre tutto uguale. All'inizio speri che sia perchè il film sta settando qualcosa, ma anche quando quel qualcosa l'hai capito (molto molto presto) l'andamento resta uguale. Lento, stanco. Nessuna sorpresa.
Peccato, quella domanda prometteva tanto: che cosa saresti disposto a fare per ottenere quello che vuoi? Ma quello che questi personaggi vogliono finiscono per essere cose ordinarie, piccole. Nessuna grande sfida, nemmeno una di quelle che ogni tanto incontri davvero nella vita.
Perfino la bellissima Sabrina Ferilli in questo film non riesce a farti passare la noia. Confesso di aver sbadigliato come al cinema non mi capitava da tanto
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[+] dio non esiste: film altamente a-cattolico
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parsifal
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lunedì 11 febbraio 2019
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l'apparenza inganna
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Girato da Paolo Genovese, autore anche della sceneggiatura, coadiuvato da I . Aguilar e liberamente tratto ed ispirato ad una serie televisiva americana, il film narra una vicenda o meglio una serie di vicende molto particolari. Un uomo ( V. Mastrandrea) , di cui non si sa nulla, misterioso e silenzioso , dall'aria stanca e gli abiti eleganti; siede ogni giorno ,a tutte le ore, in un piccolo bistrot ( The Place) . Ascolta pazientemente le richieste più disparate da parte di sconosciuti che si rivolgono a lui per risolvere problemi esistenziali , di vario ordine e grado, alcuni apparentemente irrisolvibili. Ma di fronte a tali enigmi, che ,mettono a dura prova i richiedenti, lui non batte mai ciglio e si dimostra sempre ben disposto , almeno apparentemente.
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Girato da Paolo Genovese, autore anche della sceneggiatura, coadiuvato da I . Aguilar e liberamente tratto ed ispirato ad una serie televisiva americana, il film narra una vicenda o meglio una serie di vicende molto particolari. Un uomo ( V. Mastrandrea) , di cui non si sa nulla, misterioso e silenzioso , dall'aria stanca e gli abiti eleganti; siede ogni giorno ,a tutte le ore, in un piccolo bistrot ( The Place) . Ascolta pazientemente le richieste più disparate da parte di sconosciuti che si rivolgono a lui per risolvere problemi esistenziali , di vario ordine e grado, alcuni apparentemente irrisolvibili. Ma di fronte a tali enigmi, che ,mettono a dura prova i richiedenti, lui non batte mai ciglio e si dimostra sempre ben disposto , almeno apparentemente. La sua non è bontà ; mette alla prova , molto duramente , tutti i richiedenti, nessuno escluso, chiedendo in cambio dell'esaudimento dei loro desideri, prove moralmente discutibili e penalmente perseguibili. Tanto che uno dei candidati gli rivolge la seguente domanda " Perchè chiedi cose così orribili? " E lui risponde " Perchè c'è chi è disposto a farle" . Tutto quel che sembra impossibile viene portato a termine e prenderà dei risvolti inaspettati, per tutti, anche per lui che sembra conoscere i destini ed i segreti del Mondo e dei suoi abitanti. Le storie che inizialmente era svincolate , iniziano ad intrecciarsi, portando lo spettatore lontano dalla prospettiva iniziale, un gioco senza dubbio molto simile alla Vita, imprevedibile e sarcastica, sempre quando me te l'aspetti. La cameriera del Bistrot, Angela , una solare e profonda S.Ferilli, si intrattiene con il Solitario cercando di capire le sue origini , i suoi pensieri, ma ricavandone ben poco. Ma tra i tanti colpi di scena, ce ne sarà uno decisamente più spiazzante degli altri. Narrazione strettamente teatrale, fondato sui dialoghi e gli intrecci narrative, dimostra come si possa realizzare un ottimo film ( sebbene ispirato ad una serie televisiva) fondando il suo successo e la sua riuscita su un'ottima scrittura, coadiuvata dall'intrpretazione impeccabile di tutti gli attori del cast.
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l''inquilinadelterzopiano
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martedì 7 novembre 2017
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the place e la spirale della ripetizione
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A distanza di un anno dal suo ultimo film, il regista di Perfetti sconosciuti si cimenta ancora una volta in un film corale, anche se, rispetto al suo predecessore, The Place presenta un cast ancor più ampio. L'ultima pellicola di Paolo Genovese risulta stilisticamente legata al pluripremiato film di cui sopra, non solo dalle presenze nel cast di Valerio Mastandrea, Marco Giallini e Alba Rohrwacher, a cui ora si sono aggiunti Rocco Papaleo, Silvio Muccino, Sabrina Ferilli, Vittoria Puccini, Vinicio Marchioni, Silvia D'Amico, Alessandro Borghi e Giulia Lazzarini.
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A distanza di un anno dal suo ultimo film, il regista di Perfetti sconosciuti si cimenta ancora una volta in un film corale, anche se, rispetto al suo predecessore, The Place presenta un cast ancor più ampio. L'ultima pellicola di Paolo Genovese risulta stilisticamente legata al pluripremiato film di cui sopra, non solo dalle presenze nel cast di Valerio Mastandrea, Marco Giallini e Alba Rohrwacher, a cui ora si sono aggiunti Rocco Papaleo, Silvio Muccino, Sabrina Ferilli, Vittoria Puccini, Vinicio Marchioni, Silvia D'Amico, Alessandro Borghi e Giulia Lazzarini. Anche The Place, ancor più di Perfetti sconosciuti, ha una sua location privilegiata, in questo caso proprio esclusiva. Alla casa e alla tavola di Perfetti sconosciuti ora Genovese sceglie un bar romano (in un incrocio di via Gallia) come luogo della sua realtà filmica.
Tutto il film è girato in quest'unica location, ripresa quasi sempre dall'interno e qualche volta dall'esterno per mostrare la scritta luminosa che sta a indicare il nome del bar: "the place". L'insegna luminosa riporta subito alla mente dello spettatore attento l'estetica di un certo cinema d'autore internazionale: David Lynch su tutti, si pensi ad esempio all'entrata del "club silencio" di Mulholland Drive (2001) o a Twin Peaks, ma anche al refeniano club di boxe di Solo Dio perdona, o ancora al night di Lost River (Ryan Gosling). In generale questo tipo di estetica al neon è diventata una vera e propria cifra stilistica, che diversi autori contemporanei sfruttano sempre più per caratterizzare i loro temi. A partire dalle insegne dei locali, entrando poi in quei luoghi notturni, oscuri, disturbanti, onirici, scavalcando infine la pura estetica per mostrare ciò che c'è sotto, o meglio dentro, così questi luoghi con le loro insegne, per estensione, ci dicono qualcosa anche sul loro interno, parlandoci dei personaggi che li abitano o che li frequentano e dei loro incubi, fantasmi, desideri ed ossessioni.
Un po' come quei locali oscuri del cinema americano, i personaggi dell'ultimo film di Paolo Genovese sono anime disperate, disposte a spingersi oltre il confine di una morale accettabile per veder realizzati i loro desideri, tutti diversi, alcuni esigui altri affatto, ma ognuno di loro sembra non poterne fare a meno, forse anche a qualsiasi costo.
Oltre alla chiara citazione estetica, The Place di interessante ha solo il soggetto e la struttura narrativa, peccato che sia un adattamento della serie televisiva statunitense The Booth at the End. Paolo Genovese firma un film ambizioso, troppo, e inciampa proprio in quella semplicità estetica che in Perfetti sconosciuti è risultata invece vincente nonché sensibile. La regia di The Place, invece, risulta fin troppo sobria, un campo/controcampo dopo l'altro a cui si alternano i totali dell'esterno del bar. È un film corale e dalla forte impronta teatrale, fondato sui dialoghi e su una non sempre buona interpretazione attoriale, la cui narrazione comincia ad ingranare e incuriosire solo dopo una prima parte lenta che, per via della ciclica reiterazione dello stesso schema per ogni personaggio, annoia lo spettatore. A ciò si aggiunge la fissità trasmessa dalla scelta della location unica che di certo non aiuta. Un meccanismo pulsionale che non trova mai sfogo. È chiara l'intenzione di Paolo Genovese di rappresentare un percorso ripetitivo e autodistruttivo, ma nel farlo inciampa nella sua stessa trappola, facendo entrare il film stesso, musiche comprese, in una spirale patetica di noia e ripetizione.
Voto: 5
Martina Cancellieri
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[+] complimenti martina!
(di angeloumana)
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noa83
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venerdì 10 novembre 2017
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il festival della banalità, irritante
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Sapete quante volte ho visto Perfetti sconosciuti? Quattro. E sapete quante volte ho visto The Place? Tre quarti. Perchè all'ennesimo "quindi se io faccio questa cosa orribile mio marito guarirà dall'alzheimer" sono uscita dalla sala. E sono sicura di non avervi fatto nessuno spoiler perchè tanto il film dice le stesse cose dall'inizio alla fine.
Insomma ti aspetti che succeda una cosa e succede. Succede esattamente quella. Proprio la prima idea che ti viene in mente, succede. Con l'aggravante che in più te la spiegano prima e te la ripetono e te la spiegano anche poi. Però con frasi stereotipate, dette solo a metà per sembrare più fighe.
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Sapete quante volte ho visto Perfetti sconosciuti? Quattro. E sapete quante volte ho visto The Place? Tre quarti. Perchè all'ennesimo "quindi se io faccio questa cosa orribile mio marito guarirà dall'alzheimer" sono uscita dalla sala. E sono sicura di non avervi fatto nessuno spoiler perchè tanto il film dice le stesse cose dall'inizio alla fine.
Insomma ti aspetti che succeda una cosa e succede. Succede esattamente quella. Proprio la prima idea che ti viene in mente, succede. Con l'aggravante che in più te la spiegano prima e te la ripetono e te la spiegano anche poi. Però con frasi stereotipate, dette solo a metà per sembrare più fighe... Insomma una telefonata continua.
Mi sono fatta dire il finale dalla mia amica che invece è rimasta in sala per principio: stucchevole pure quello.
Genovese, ma che ti è successo? Un concept forte (quello della serie Netflix The boot at the end) piegato al mondo di Don Matteo. L'ennesima prova che in mano agli italiani ogni idea originale viene piegata alla banalità e normalizzata? Che poi anche nella nostra tv, ormai, le serie le scrivono meglio (vedi Non uccidere o 1992 o Gomorra).
Dài, forse hai avuto un po' fretta di uscire con un latro film, e questo (mi spiace per gli attori) andava lavorato un po' di più.
Anche Perfetti sconosciuti si svolgeva tutto in un unico ambiente, ma ti sorprendeva. Era proprio di un'altra qualità.
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[+] anche io ho visto perfetti sconosciuti più volte
(di angelo76)
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(di elisa88)
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(di francescopolimeni)
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(di mariocicala)
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kimkiduk
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domenica 12 novembre 2017
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mah
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Non penso basti un cast con dieci nomi da Multisala ed una storia accattivante per fare un buon film. Non serve ideare un personaggio forse simile a Faust per fare cinema. Come spesso succede in Italia si parte ma si arriva poco lontano. Forse perchè come ho detto i nostri "grandi attori" sono da Multisala e non da cinema inteso come arte (Muccino, Giallini e la Ferilli direi inguardabili, Mastandrea mono espressione, la Rohrwacher soltanto passabile).
Evitiamo di criticare la storia impossibile e diamo al cinema la giustificazione della fantasia e dell'ironia; quindi evito di dire come fa uno a vivere in un bar di altri senza mai uscire o giustificare una strage o l'uccisione di una bambina (licenza cinematografica), ma intrecciare tutte le storie in modo a dir poco noioso e farraginoso al solo scopo di far capire che tutti possono fare tutto se ritenuto utile compreso una strage o far capire che il bene vince sempre ed il male spesso no, mi sembra un pò riduttivo e soprattutto rappresentato malissimo.
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Non penso basti un cast con dieci nomi da Multisala ed una storia accattivante per fare un buon film. Non serve ideare un personaggio forse simile a Faust per fare cinema. Come spesso succede in Italia si parte ma si arriva poco lontano. Forse perchè come ho detto i nostri "grandi attori" sono da Multisala e non da cinema inteso come arte (Muccino, Giallini e la Ferilli direi inguardabili, Mastandrea mono espressione, la Rohrwacher soltanto passabile).
Evitiamo di criticare la storia impossibile e diamo al cinema la giustificazione della fantasia e dell'ironia; quindi evito di dire come fa uno a vivere in un bar di altri senza mai uscire o giustificare una strage o l'uccisione di una bambina (licenza cinematografica), ma intrecciare tutte le storie in modo a dir poco noioso e farraginoso al solo scopo di far capire che tutti possono fare tutto se ritenuto utile compreso una strage o far capire che il bene vince sempre ed il male spesso no, mi sembra un pò riduttivo e soprattutto rappresentato malissimo. Forse Genovese si sentiva forte dopo il successo di Perfetti Sconosciuti ed ha peccato o di presunzione od ha esagerato, ma per me ha fallito.
Film addirittura noioso.
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[+] concordo
(di no_data)
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agostino
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venerdì 10 novembre 2017
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film senza sceneggiatura
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Non credo che il film sia uno di quelli che ti facciano provare un brivido, un'emozione oppure siano avvincenti o fantastici al punto di farti restare con il fiato sospeso fino alla fine...al contrario è un film noioso, senza storia ma soprattutto senza una sceneggiatura o una trama che possa enfatizzare la bravura del cast di attori presenti nel portafoglio. Assolutamente sconsigliata la visione.
[+] sono d'accordo
(di pawel)
[ - ] sono d'accordo
[+] un film basato
(di michelevoss)
[ - ] un film basato
[+] i dialoghi possono rovinare una sceneggiatura
(di francescopolimeni)
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