danmars
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lunedì 6 marzo 2017
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un vero peccato per il grande regista.
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C'è da chiedersi come si viva davvero a Istanbul, quali siano le emozioni, le disgrazie, le feste, gli umori, il sapore del Bosforo in bocca mentre si nuota.
C'è da chiederselo seriamente perchè nessuna di queste cose è trasmessa dal nuovo film del pluripremiato Ozpetek, che per vent'anni ci ha regalato emozioni e visioni perfette della felicità e della tragedia umana.
Le storie di Deniz e Orhan si mischiano con quelle dei bellissimi Tuba Büyüküstün e Mehmet Günsür, quest'ultimo vent'anni dopo la partecipazione ne 'Il bagno turco'.
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C'è da chiedersi come si viva davvero a Istanbul, quali siano le emozioni, le disgrazie, le feste, gli umori, il sapore del Bosforo in bocca mentre si nuota.
C'è da chiederselo seriamente perchè nessuna di queste cose è trasmessa dal nuovo film del pluripremiato Ozpetek, che per vent'anni ci ha regalato emozioni e visioni perfette della felicità e della tragedia umana.
Le storie di Deniz e Orhan si mischiano con quelle dei bellissimi Tuba Büyüküstün e Mehmet Günsür, quest'ultimo vent'anni dopo la partecipazione ne 'Il bagno turco'. Il loro impegno è più superficiale che reale: una recitazione in cui spicca, ma per semplice affetto, quella di Serra Yilmaz. Spossati, annoiati e inutilmente tergiversanti, i personaggi inseguono una sparizione incomprensibile e i dubbi del loro passato senza però viverli profondamente e senza essere capaci di portare lo spettatore a tenere gli occhi aperti. Continuando a chiedersi: dove vuole arrivare?
Purtroppo la risposta è da nessuna parte, perchè il film, al contrario del libro, non porta da nessuna parte e lascia il pubblico da solo in balìa di frasi banali e dialoghi imbarazzanti.
Sebbene la fotografia possa farci lontanamente immaginare qualche scorcio bello di Istanbul, non c'è nulla di veramente coeso nella rappresentazione di questa città. La volontà di una visione più moderna della cittadina turca cozza con la lungaggine delle scene e la profonda noia di ripetuti interni di case, seppur belle.
Le musiche non sono all'altezza dello stesso regista e vengono interrotte da spezzoni microscopici di madri che urlano o silenzi di sfollati: l'intento di raccontare l'attuale situazione turca è pessimo, in un film incentrato sulla borghesia di una Istanbul che vive tra libri, film, mostre e cocktails in riva allo stretto.
La firma del regista, con le colazioni e le cene attorno al tavolo della famiglia improvvisata di turno, fatta di amici, madri, donne comiche e uomini tristi, è l'unica boccata di ossigeno rasserenante di questa pellicola. Senza colpi di scena, senza costruzione di storie, senza un vero pathos da seguire e vivere, senza un finale, quel che ne rimane è un'accozzaglia di sentimenti e drammi buttati a caso in una noia infinita e trattati così leggermente da far fuggire diverse persone dalla sala. Un vero peccato per il grande regista.
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[+] la vera instanbul dov'era
(di mrshide)
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evak.
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giovedì 2 marzo 2017
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un ferzan ritrovato
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Ozpetek con Rosso Istanbul sembra ritrovare la strada di "casa" un po' perduta nel suo precedene lungometraggio.
É un film che riporta il regista in quell'intima emozione propria dei suoi lavori.
Un'emozione che predilige il viaggio interiore, dove l'estetica dei luoghi lascia spazio ai moti di un sentimento spesso confuso e spaesato, come ogni ritorno nei luoghi dell'infanzia, accompagnato dalla tenerezza e dallo sguardo malinconico del ritrovarsi diversi.
C'è poesia in questo film, raccolta in uno sguardo, in un gesto, in un suono. C'è la distanza necessaria, rispetto a una città che si vede poco nel film, che permette la partecipazione alle assenze e ai vuoti che gli oggetti riportano.
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Ozpetek con Rosso Istanbul sembra ritrovare la strada di "casa" un po' perduta nel suo precedene lungometraggio.
É un film che riporta il regista in quell'intima emozione propria dei suoi lavori.
Un'emozione che predilige il viaggio interiore, dove l'estetica dei luoghi lascia spazio ai moti di un sentimento spesso confuso e spaesato, come ogni ritorno nei luoghi dell'infanzia, accompagnato dalla tenerezza e dallo sguardo malinconico del ritrovarsi diversi.
C'è poesia in questo film, raccolta in uno sguardo, in un gesto, in un suono. C'è la distanza necessaria, rispetto a una città che si vede poco nel film, che permette la partecipazione alle assenze e ai vuoti che gli oggetti riportano.
C'è l'accettazione di ciò che cambia, di ciò che non c'è più, di ciò che il protagonista non è più o forse non è mai stato.
C'è quell'unico specchio che conduce alla liberazione emotiva e alla libertà. Forse si chiama proprio madre alla quale il film è dedicato.
Un buon film, che emoziona. C'è solo qualche piccola stonatura nei dialoghi dove le frasi pronunciate talvolta suonano come estemporanee.
Lo amerete.
Bentornato a "casa" Ozpetek
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francodiguardo
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martedì 28 marzo 2017
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interessante
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“Chi guarda troppo il passato, non vede il futuro”
Frase chiave del film, quella stessa chiave di colore oro, che la madre (albedo) di Deniz consegna allo scrittore ospite nella casa rossa sulle rive del Bosforo, per aprire la stanza del figlio oramai scomparso misteriosamente da giorni.
Come nel viaggio introspettivo di Ulisse nel mare, dove egli conobbe gli uomini dell’Odissea, così allo stesso accade al protagonista del film.
Orhan Sahin, scrittore che deve la sua fama a una raccolta di favole antiche Turche, torna nella sua magica Istanbul , dopo vent'anni di esilio a Londra.
Il protagonista dagli occhi blu intenso, incontra tutti personaggi protagonisti del suo stesso romanzo, e si scontra con il suo triste passato dalla quale non riesce a rassegnarsi, e come sabbia negli ingranaggi blocca il finale del suo romanzo.
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“Chi guarda troppo il passato, non vede il futuro”
Frase chiave del film, quella stessa chiave di colore oro, che la madre (albedo) di Deniz consegna allo scrittore ospite nella casa rossa sulle rive del Bosforo, per aprire la stanza del figlio oramai scomparso misteriosamente da giorni.
Come nel viaggio introspettivo di Ulisse nel mare, dove egli conobbe gli uomini dell’Odissea, così allo stesso accade al protagonista del film.
Orhan Sahin, scrittore che deve la sua fama a una raccolta di favole antiche Turche, torna nella sua magica Istanbul , dopo vent'anni di esilio a Londra.
Il protagonista dagli occhi blu intenso, incontra tutti personaggi protagonisti del suo stesso romanzo, e si scontra con il suo triste passato dalla quale non riesce a rassegnarsi, e come sabbia negli ingranaggi blocca il finale del suo romanzo.
Bisogna esserci stato a Istanbul per capire ciò che Ozpetek vuole trasmettere in questo suo film, il frastuono del porto, il muezzin che chiama alla preghiera, il bellissimo e unico panorama visto dal Bosforo ed in fine il ponte sospeso che collega la città antica a quella moderna.
Sahim deve ritrovare Deniz, Sahim deve ritrovare se stesso, ma i personaggi del suo stesso romanzo lo mettono alla prova, Yusuf (nigredo), Neval (rubedo) sono legati da una stessa catenina al collo, e si susseguono a vicenda tormentando Sahim, che dopo venti anni torna da sua sorella, unica superstite della famiglia, che vende da sempre orologi, che segnano le cinque dimensioni del tempo, aion, kronos, niun, cairos, escaton , in una Istanbul protesa verso l’avvenire, verso il futuro, voluto da Ataturk.
Istanbul ovvero verso la città santa, verso Gerusalemme, il ritrovare se stesso.
Il cane (fedeltà e costanza) Tommy tornerà, e Sahim lo aspetta, in quella casa rossa oramai vuota dopo il trasloco dei suoi abitanti.
Il romanzo di Sahim volge alla conclusione, i personaggi scompaiono tutti,
Sahim è nudo davanti al Bosforo, e si tuffa in quel mare blu
oramai è certo che Deniz lo aspetta dall’altra parte della sponda,
laddove la rubedo tinge la pellicola negli ultimi secondi del film.
Franco Di Guardo
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ralphscott
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lunedì 13 marzo 2017
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insostenibile
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Dialoghi,o meglio proclami,da Baci Perugina,seguiti da lunghi silenzi a renderli ancor più stucchevoli e vuoti. Fastidiosi e continui primi piani di visi contriti,sempre e comunque. Un senso del tutto che sfugge,se esiste. All'uscita dalla sala spettatori annoiati,delusi,increduli. Certo il marchio di fabbrica del regista non manca: tavolate variegate,il viaggio fisico e quello della mente,l'amore omo. Tutto però privo di collante. Si ha la sensazione che il messaggio di fondo ci sia,ma non arrivi. Che vorrebbe raccontarci Ozpeteck? Alcune scene rasentano il grottesco;una su tutte: Orhan è invitato a cena dalla graziosa Neval e marito. Lei,sposata,gli darà il due di picche per una love story mai cercata (e mai iniziata) nè da lui nè da lei.
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Dialoghi,o meglio proclami,da Baci Perugina,seguiti da lunghi silenzi a renderli ancor più stucchevoli e vuoti. Fastidiosi e continui primi piani di visi contriti,sempre e comunque. Un senso del tutto che sfugge,se esiste. All'uscita dalla sala spettatori annoiati,delusi,increduli. Certo il marchio di fabbrica del regista non manca: tavolate variegate,il viaggio fisico e quello della mente,l'amore omo. Tutto però privo di collante. Si ha la sensazione che il messaggio di fondo ci sia,ma non arrivi. Che vorrebbe raccontarci Ozpeteck? Alcune scene rasentano il grottesco;una su tutte: Orhan è invitato a cena dalla graziosa Neval e marito. Lei,sposata,gli darà il due di picche per una love story mai cercata (e mai iniziata) nè da lui nè da lei. L'enigmatico ospite dirà al di lei compagno,a fine cena,che sua moglie gli ha risvegliato passioni ormai sopite. Una scena gratuita,pretestuosa,senza senso. Una delle tante. Dispiace dirlo,ma questo è di gran lunga il peggior film del buon regista turco. Non ho letto il romanzo,non ne ho notizie,ma forse sarebbe stato opportuno affidare il materiale narrativo ad un film maker meno coinvolto nelle vicende narrate.
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annelise
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sabato 11 marzo 2017
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la grigia istanbul
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Dopo aver letto il libro ,si rimane sospesi ,di fronte al film.
Lento, grigio e non rosso,privo del pathos che caratterizza i film di Ozpetek.Orhan torna a Istambul ,dopo vicende drammatiche,che lo avevano fatto fuggire e viene ospitato nella villa lussuosa di Deniz,regista scrittore,per cui lavora .
Deniz scompare ,lasciandogli banalmente il posto.
I personaggi ,interpretati da bravi attori,sono freddi ,quasi distanti dalla vita . Un tratto di coralità si trova solo nei pasti e nelle tavolate .
La città è poco valorizzata e sembra essere la cornice di una borghesia annoiata e noiosa .
Ti aspetti,fino alla fine che accada qualcosa che ti rapisca, che prenda, che ti sconvolga.
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Dopo aver letto il libro ,si rimane sospesi ,di fronte al film.
Lento, grigio e non rosso,privo del pathos che caratterizza i film di Ozpetek.Orhan torna a Istambul ,dopo vicende drammatiche,che lo avevano fatto fuggire e viene ospitato nella villa lussuosa di Deniz,regista scrittore,per cui lavora .
Deniz scompare ,lasciandogli banalmente il posto.
I personaggi ,interpretati da bravi attori,sono freddi ,quasi distanti dalla vita . Un tratto di coralità si trova solo nei pasti e nelle tavolate .
La città è poco valorizzata e sembra essere la cornice di una borghesia annoiata e noiosa .
Ti aspetti,fino alla fine che accada qualcosa che ti rapisca, che prenda, che ti sconvolga. Nulla.
Persino il terremoto che si vive non lontano è liquidato da un gesto generoso della famiglia ricca,che porta cibo e abiti.Non altro di carattere sociale.
Ma poi...l'amore ...dov'è finito?
In questo film non esiste ,ogni tanto se ne parla come se fosse argomento letterario..
Non è l' Ozpetek che mi aspettavo.
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sebastiano.lorusso
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lunedì 25 settembre 2017
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artificioso e inutilmente lento
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Se nei primi prodotti Ozpetek potesse quantomeno vantare una qualche originalità tematica, che tuttavia non ha mancato, talvolta, di risultare troppo uguale a se stessa, "Rosso Istanbul" è l'ennesimo riproporsi degli stessi soggetti, seppur con qualche trascurabile novità, con una grossolana caduta stilistica. Il vero sbaglio è nella concezione di questa pellicola, tratta da un romanzo che non ho letto ma immagino sia decisamente entusiasmante per spingere il suo stesso autore a trarne un film. Un film in cui evidentemente il regista non ha saputo smettere di essere scrittore, cadendo in una rappresentazione eccessivamente romanzata e poco cinematografica.
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Se nei primi prodotti Ozpetek potesse quantomeno vantare una qualche originalità tematica, che tuttavia non ha mancato, talvolta, di risultare troppo uguale a se stessa, "Rosso Istanbul" è l'ennesimo riproporsi degli stessi soggetti, seppur con qualche trascurabile novità, con una grossolana caduta stilistica. Il vero sbaglio è nella concezione di questa pellicola, tratta da un romanzo che non ho letto ma immagino sia decisamente entusiasmante per spingere il suo stesso autore a trarne un film. Un film in cui evidentemente il regista non ha saputo smettere di essere scrittore, cadendo in una rappresentazione eccessivamente romanzata e poco cinematografica. Il titolo è senza dubbio di grande suggestione, un'aspettativa che va completamente perduta come se il regista avesse deciso prima il nome del film per poi percorrere una strada diversa dalla sua idea iniziale, dimenticandosi di questo "rosso" che profumava di incenso e che invece si scioglie unicamente nella (pacchiana) schermata di transizione per i titoli di coda. Ma, senza lasciarsi trasportare da aspettative da botteghino, ciò che colpisce sono i dialoghi e la loro disarmante artificiosità. Se l'arte letteraria e quella cinematografica sono distinte è perche si basano su tecniche distinte. Motivo per il quale un regista non può estrarre da un (suo) romanzo frasi come "Il dolore separe le persone o le unisce per sempre" o "Non è un uomo felice - Chi di noi lo è?" e inserirle a crudo in un prodotto cinematografico. Ne nascono dialoghi innaturali e pomposi, che, con il solito sfondo ozpetekiano di amori infelici, nostalgia, solitudine e disagio, danno origine a un film inutilmente lento e in definitiva privo di un pathos genuino.
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lupo67
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martedì 25 luglio 2017
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un rosso sconclusionato
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Voto: 6
Tratta dall’omonimo libro scritto dallo stesso regista turco, e dedicato a sua madre, quest’ultima opera è un racconto dalla trama aperta: lo scrittore Orhan Sahin torna nella natìa Turchia per aiutare il famoso regista Deniz Soysal con il suo primo romanzo. Lì, incontrerà persone e luoghi che rievocheranno una vita che si era lasciato alle spalle.
Una trama come questa lascia spazio a qualsiasi cosa, ma sebbene abbia campo libero, Özpetek sceglie un percorso involuto, che vorrebbe ripiegare il personaggio (lo scrittore) su se stesso, scoprirne la storia passata intrecciandola con quella del regista e con i ricordi della Instanbul ritrovata, spiegarne l’allontanamento forzato e creare in tutto questo un nuovo amore.
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Voto: 6
Tratta dall’omonimo libro scritto dallo stesso regista turco, e dedicato a sua madre, quest’ultima opera è un racconto dalla trama aperta: lo scrittore Orhan Sahin torna nella natìa Turchia per aiutare il famoso regista Deniz Soysal con il suo primo romanzo. Lì, incontrerà persone e luoghi che rievocheranno una vita che si era lasciato alle spalle.
Una trama come questa lascia spazio a qualsiasi cosa, ma sebbene abbia campo libero, Özpetek sceglie un percorso involuto, che vorrebbe ripiegare il personaggio (lo scrittore) su se stesso, scoprirne la storia passata intrecciandola con quella del regista e con i ricordi della Instanbul ritrovata, spiegarne l’allontanamento forzato e creare in tutto questo un nuovo amore. Ma niente riesce davvero, di Instanbul si vede poco, con Özpetek che non sfrutta nemmeno le turbolenze politiche che hanno effettivamente ritardato per settimane l’inizio delle riprese.
Della recitazione non è possibile dare una reale valutazione, perché i personaggi sono poco più che simboli, allegorie, e richiamano ora un legame, ora l’amore, ora il desiderio, ora la perdita, ora la disperazione. E questo avrebbe anche potuto avere una sua bellezza, se fosse stato amalgamato al resto e restituito visivamente invece che attraverso citazioni e bigliettini disseminati qua e là. Özpetek è un regista che parla di sentimenti, resi vividi dal suo modus narrativo, ma in questo film fa in qualche modo cilecca, occupato a tessere una trama innaturale, volta ad un finale che sarebbe poetico se non fosse a sua volta innaturale, surrettizio, ed una conclusione che non convince.
I momenti più veri ed empatici sono quelli tra Orhan e la madre di Deniz, Sureyya, e quelli in cui la poesia affiora. Ma solo, a mio modesto avviso, per la sensibilità dell’attrice, Cigdem Onat, che coglie appieno il suo ruolo.
Altro peccato è che nonostante il film sia stato girato con tutto il cast turco, e interamente in Turchia, non se ne coglie il sapore, non si vive o respira Instanbul, niente ci viene raccontato di quella cultura che in fondo conosciamo così poco.
Il film non è da buttare via, comunque. Sebbene insufficiente, è possibile amarlo. Ma bisogna amare fortemente Özpetek perché questo succeda. A me non succede.
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kimkiduk
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giovedì 2 marzo 2017
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cluedo?
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Quando una persona carissima ti dice che è uscito l'ultimo film di Ozpetek e ci vuole andare tu ci vai, perchè di lui hai anche visto Le fate Ignoranti e la Finestra di Fronte.
Poi anche perchè ti piace il cinema e come diceva Truffaut, per fare un grande film devi pensare che lo vedranno molte più donne degli uomini. E in effetti Ozpetek sul piano artistico tradisce poco in questo film. Mi ha convinto per le luci e i paesaggi di Istanbul; per i campi ed i controcampi ripetuti; per i primi piani prolungati; per la ricerca del passato e dell'interiorità dei personaggi tra cui spicca sicuramente Neval. L'inizio è promettente con alcune perle registiche tra cui una ripresa prolungata di nuca del personaggio principale che ti fa pensare per minuti al perchè di questa scelta; verrà addirittura ripetuta altre volte come se non dovesse essere guardato negli occhi, o forse perchè si doveva vedere il film dal suo lato? Altra perla è la cena a casa di Deniz con tutte le donne presenti al tavolo e Orhan capotavola.
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Quando una persona carissima ti dice che è uscito l'ultimo film di Ozpetek e ci vuole andare tu ci vai, perchè di lui hai anche visto Le fate Ignoranti e la Finestra di Fronte.
Poi anche perchè ti piace il cinema e come diceva Truffaut, per fare un grande film devi pensare che lo vedranno molte più donne degli uomini. E in effetti Ozpetek sul piano artistico tradisce poco in questo film. Mi ha convinto per le luci e i paesaggi di Istanbul; per i campi ed i controcampi ripetuti; per i primi piani prolungati; per la ricerca del passato e dell'interiorità dei personaggi tra cui spicca sicuramente Neval. L'inizio è promettente con alcune perle registiche tra cui una ripresa prolungata di nuca del personaggio principale che ti fa pensare per minuti al perchè di questa scelta; verrà addirittura ripetuta altre volte come se non dovesse essere guardato negli occhi, o forse perchè si doveva vedere il film dal suo lato? Altra perla è la cena a casa di Deniz con tutte le donne presenti al tavolo e Orhan capotavola. Sembrava Cluedo con lui indiziato di reato. Deniz è stato ucciso? Si è suicidato? Con il candelabro o la pistola? Ma questa risposta come tante altre il film non la darà. Sembra quasi che Ozpetek abbia avuto un lampo geniale abbia iniziato una storia, ma non sapesse concluderla; allora ha cosparso il film di scene inutili se non quasi ridicole e personaggi (la sorella e l'anziano che litiga con Yusuf) che poco hanno da dire alla storia stessa. Si nota una ricerca di un finale che più volte sembra arrivi ma che non arriva ed arriverà senza lasciare grosso ricordo. Ti farai alcune domande uscendo, ma poche ... in fin dei conti Cluedo diverte se si scopre chi è il colpevole, l'arma e la stanza dell'omicidio.
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andilento
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giovedì 16 marzo 2017
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dialoghi inconsistenti per un film "estetico"
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D'accordo sull'inconsistenza dei dialoghi e di alcune frasi che suonerebbero male anche se scritte sulla carta di un cioccolatino; un vero peccato, l'espressività di Neval e Orhan, senz'altro i migliori, meriterebbe altro spessore. Meno d'accordo sull'estetica del film, sia gli interni delle case che le luci sul Bosforo mi hanno convinto, direi anzi che protagonista del film sembra proprio quel braccio di mare. L'assenza di scenari politici è un punto a favore, almeno per me, non mi è mancata.
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maumauroma
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venerdì 10 marzo 2017
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rosso istanbul
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La misteriosa scomparsa del regista turco Deniz Soysal dalla sua bella casa sulle rive del Bosforo, determinera' una sorta di rielaborazione della vita passata dell'amico Orhan, gia' affermato scrittore, ma ormai prosciugato da anni nell'ispirazione e intristito nell'animo per una drammatica storia familiare, arrivato da Londra il giorno prima della sparizione di Deniz per aiutarlo nella stesura del suo primo romanzo autobiografico, attraverso un percorso di identificazione con l'amico e di purificazione del proprio trascorso. Ed ecco apparire sulla scena parenti e amici di Deniz, personaggi e attori del suo libro, quasi fuoriuscire dalle pagine, fondendosi tra realta' e immaginazione.
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La misteriosa scomparsa del regista turco Deniz Soysal dalla sua bella casa sulle rive del Bosforo, determinera' una sorta di rielaborazione della vita passata dell'amico Orhan, gia' affermato scrittore, ma ormai prosciugato da anni nell'ispirazione e intristito nell'animo per una drammatica storia familiare, arrivato da Londra il giorno prima della sparizione di Deniz per aiutarlo nella stesura del suo primo romanzo autobiografico, attraverso un percorso di identificazione con l'amico e di purificazione del proprio trascorso. Ed ecco apparire sulla scena parenti e amici di Deniz, personaggi e attori del suo libro, quasi fuoriuscire dalle pagine, fondendosi tra realta' e immaginazione. Madre, fratello, governante,una bella amica ed ex amante, un torvo e tormentato amico anch'esso ex amante. Orhan riuscira' a poco a poco a penetrare e a farsi coinvolgere dalle loro personalita', scoprendo anche i segreti del passato suo e di Deniz, segreti che l'amico nascondeva nel suo studio attraverso foto e scritti conservati nel computer. E queste rinnovata sintonia con l'amico scomparso dara' a Orhan un nuovo stimolo per continuare a vivere, una nuova ispirazione per la sua scrittura. Rosso Istanbul e' sicuramente un film enigmatico e di non facile lettura, ma di grande fascino. Costante e' il riferimento alla morte e all'abbandono delle radici familiari. Protagonista assoluta dell'opera di Ozpetek e' in fondo proprio Istanbul, mai cosi' misteriosa e metafisica, con i suoi moderni grattacieli e gli antichi vicoli, con la sua storia millenaria e il suo mare disteso tra due continenti, tra l'assillante rumore degli edifici in costruzione e la periodica preghiera del muezzin. Bella la prova degli attori, tutti di origine turca, e interessante e appropriata la colonna sonora. Peccato per i dialoghi che risultano alquanto costruiti e a volte irritanti. Fuori luogo anche le poche scene sulla contestazione al governo turco e il breve accenno alla spinosa questione curda. In definitiva, Rosso Istanbul potra' anche non piacere pero' bisogna ammettere che, almeno in alcuni tratti, quello di Ferzan Ozpetek e' sicuramente grande cinema
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