samanta
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martedì 3 luglio 2018
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l'ansia della libertà
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Il film del 2017 e sugli schermi in questi giorni è un remake dell'omonimo film del 1973 interpreti Steve Mc Queen e Dustin Hofmann con la regia di Franklin Schaffner buon regista americano (Il pianeta delle scimmie, Patton generale d'acciaio) e con la sceneggiatura di Donald Trumbo (uno dei più noti sceneggiatori di Hollywood: Vacanze romane, Exodus, Spartacus e così via) e così via, chi vede il remake avendo visto il film del 1973, si metta il cuore in pace tra i due film c'è un abisso (ovviamente a favore del primo).
La trama: il film è tratto da una storia vera e raccontata dal protagonista in un libro di successo scritto dopo più di trenta anni.
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Il film del 2017 e sugli schermi in questi giorni è un remake dell'omonimo film del 1973 interpreti Steve Mc Queen e Dustin Hofmann con la regia di Franklin Schaffner buon regista americano (Il pianeta delle scimmie, Patton generale d'acciaio) e con la sceneggiatura di Donald Trumbo (uno dei più noti sceneggiatori di Hollywood: Vacanze romane, Exodus, Spartacus e così via) e così via, chi vede il remake avendo visto il film del 1973, si metta il cuore in pace tra i due film c'è un abisso (ovviamente a favore del primo).
La trama: il film è tratto da una storia vera e raccontata dal protagonista in un libro di successo scritto dopo più di trenta anni. Siamo nella Parigi del 1931 e Henry Charriére (Charlie Hunnam attore inglese con una mediocre carriera cinematografica. Ritorno a Cold, Montain, Pacific rim) soprannominato Papillon per un cravattino tatuato sul petto è un ladro, coinvolto in imprese pericolose viene falsamente accusato di un omicidio condannato all'ergastolo e deportato ai lavori forzati nella Guyana. Qui Papillon conosce Dega (Rami Malek Una notte al museo)un finanziere condannato per una grave frode e lo protegge nell'inferno carcerario, con lui progetta piani di fuga che non riescono viene ripreso condannato prima a due anni di isolamento e poi a 5 anni e deportato all'isola del Diavolo, qui riuscerà a fuggire in Venezuela però da solo.
Il film diretto da Michael Noer (regista danese con una modesto curriculum, il film più noto è North West) in sé non è da bocciare. ma la regia è mediocre ad esempio gli episodi di fuga nell'oceano sembrano ripresi in una tinozza, c'é un eccesso di violenza in quanto la regia alcune volte si sofferma su episodi cruenti, ma specie la direzione degli attori lascia a desiderare. Questo è a mio avviso un'altra carenza del film, la recitazione di Hunnam è assolutamente modesta mentre la parte permetterebbe, stante i molteplici risvolti drammatici, notevoli possibilità alle prestazioni di un attore.
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(di giurg 63)
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loland10
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sabato 30 giugno 2018
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farfalla...in mostra
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“Papillon” (id., 2017) è il quarto lungometraggio del regista danese Michael Noer.
Per togliere ogni dubbio iniziale, almeno per chi scrive, il film per buona parte delude. Qualche sequenza alza l'asticella del medio(cre) e il finale per alcune scritte e musiche che ci fanno ricordare quello che la finzione non fa vedere praticamente mai. A meno che qualcuno si accontenti di qualche pettorale in prima fila, di qualche tatuaggio ben messo e di qualche scazzottatura (molto ordinarie e per niente nuove) allora il film può guardarsi in un pomeriggio di svago. Ma accontentarsi del minimo 'sindacale' per quanto riguarda il modo di affrontare i personaggi.
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“Papillon” (id., 2017) è il quarto lungometraggio del regista danese Michael Noer.
Per togliere ogni dubbio iniziale, almeno per chi scrive, il film per buona parte delude. Qualche sequenza alza l'asticella del medio(cre) e il finale per alcune scritte e musiche che ci fanno ricordare quello che la finzione non fa vedere praticamente mai. A meno che qualcuno si accontenti di qualche pettorale in prima fila, di qualche tatuaggio ben messo e di qualche scazzottatura (molto ordinarie e per niente nuove) allora il film può guardarsi in un pomeriggio di svago. Ma accontentarsi del minimo 'sindacale' per quanto riguarda il modo di affrontare i personaggi....non aiuta certo a far rimanere questo film negli annali e il gusto di rivederlo.
Henri Charrière ovvero Papillon (dalla farfalla tatuata sul torace) nella Parigi del 1931 si trova accusato di un omicidio mai commesso. Il giovane venticinquenne viene condannato all’ergastolo: mandato ai lavori forzati nella Guyana francese sull’Isola del Diavolo. Conosce Louis Dega, falsario e pieno di denaro, che ha intenzione di ‘pagare’ la fuga di Papillon. Non sarà semplice dopo vari tentativi ma la protezione del suo amico fa gioco forza ad entrambi.
Tutto come previsto, buoni ambienti e ricostruzioni, comparse e facce scolpite, ma manca il ‘pathos’ ardimentoso della carcerazione e della fuga. Psicologia annullata rispetto ad una fisicità espressa ma che alla fine reprime. Ordinario e un po’ troppo trattenuto. Poi la prima parte viene compressa in pochi minuti fino alla conoscenza o meglio la presentazione di ‘Papi’ e ‘Dega’.
Poi bisogna dire che lo score musicale segue, purtroppo, di pari passo il succo del film e il roboante tono in alcuni momenti delude ancora di più perché il film vira non verso il 'racconto' carcerario del libro ma da una parte lontana, una soap-docu che vorrebbe essere accattivante ma è solo facile gioco di contrasti, compravendite, di volti imbolsiti e parti sottostanti che non scardinano la visualità intera.
Isola maledetta del diavolo, isolati dal mondo: ma l'isolamento è anche cinematografico. Si percepisce una ricostruzione (anche) corretta ma appare tutto plastificato e i personaggi hanno un distacco generale. Si dice bucare lo schermo...e manca proprio questo. E poi in tale tipo di film il non detto, il visionario, l'ideale, la fuga come distacco, il sogno, l'impossibilità sono parti che hanno fondamento per agganciarci ai due amici, inconsapevolmente, amici.
Arriva una domanda senza risposta: ‘Cosa ci fa un figlio di insegnanti in simile posto?’ Louis vuol sapere del suo amico, lui furfante mentre di fronte (forse) un innocente. I suoi occhiali smossi distanziano gli altri, non trasmettono fiducia. Vogliono capire a chi offrire aiuto per convenienza. Lo spettatore dovrebbe avere la sensazione di un qualcosa che vada oltre ai pugni, al palestrato e ai grugnì che rimangono in prima fila. L'impercettibile, il non detto, l'orizzonte, l’ideale sono sfiorati: la conoscenza è alla mercé per un film di puro intrattenimento che non vuole interrogarsi. Ci si ferma sul ciglio. Già sappiamo tutto.
Papillon e il vizio di una farfalla con ali tenere, come Icaro vorrebbe volare. Chi sa se gli insegnanti genitori hanno mai conosciuto il proprio figlio? Chi sa se la domanda è pura poesia inespressa? Chi sa se un ragazzo venticinquenne ha voglia di sfidarsi? La sua donna (una delle tante) o la sua amante o la sua prostituta non può fare nulla, neanche l’alibi di se stessa figurarsi per il suo ‘Papi’. Si vive in modo libertino, si sorride al divertimento, si viene rinchiusi senza saperlo.
Intestardito dalla sua volontà, incapace di perdere, insieme al suo amico Dega, Papillon regge ogni sconfitta come una vittoria. Certo il denaro serve e sarà sempre utile, per corrompere, per comprare e per saper trattare.
Losco individuo o leggiadro uomo, lesto e silenzioso, Charlie Hunnam ci mette il suo ma il personaggio è complesso, forse troppo, per racchiuderlo in gesti e modi che forse non gli appartengono. E la sceneggiatura così com’è stata dettata non è indice di un altro tipo di film. Quindi basta sapersi adattare.
Legato e testardo, il fisico di Henri regge all’urto, anche con mezza reazione e in completo isolamento.
Omettere ogni paragone con l'originale primo film è un errore...come omettere ogni riferimento al libro (autobiografico). E il dislivello esiste. Inutile girarci attorno.
Non senza concludere che Papillon ha dietro una storia lunga di polemiche, repliche, affermazioni, verità, falsità, testimonianze e altro su quello che l'autobiografia carceraria pubblicata nel 1969.
Dopo l'uscita del film del 1973 (di Franklin J. Schaffner, regista sì di altro rango) le polemiche non si placarono (notizie che oggi paiono dimenticate completamente). Il film di suo, con o senza queste, ebbe un clamoroso successo. Si vedano i nomi degli sceneggiatori per ‘cercare’ di capire dove un film può arrivare e a che altezza. La dicitura iniziale 'ispirato ad una storia vera' oramai pare un sotterfugio ai più senza aver idea di cosa si tratta e da quale fonte si parte.
Charlie Hunnam( Papillon) e Rami Malek (Louis Dega) sanno il fatto proprio ma con una direzione poco incisiva lasciano potenzialità inespresse. Regia di lascito medio, con inquadrature (se ne ricordano tre) verticali (ora sulla nave, ora in carcere, ora sulla barca) che hanno la voglia di essere(ci) ma che alla fine stonano su tutto il contesto.
Voto: 5½/10 (**½).
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taty23
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sabato 7 luglio 2018
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remake o no?
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Dopo la versione del 1973 tratta dal libro omonimo con Steve McQueen e Dustin Hoffman la storia di Papillon viene riportata sul grande schermo per la seconda volta dal regista Michael Noer.
Nella Parigi degli anni 30 il ladro Henri Charrière detto Papillon (Charlie Hunnam) viene ingiustamente accusato di omicidio e condannato all’ergastolo. Viene mandato a scontare la pena nel penitenziario sull’isola del diavolo nella Guyana Francese.
Intenzionato a fuggire a tutti i costi creerà un’alleanza con il falsario Luis Degas (Rami Malek) che in cambio di protezione finanzierà i vari tentativi di fuga, tra i due nascerà un duraturo legame di amicizia.
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Dopo la versione del 1973 tratta dal libro omonimo con Steve McQueen e Dustin Hoffman la storia di Papillon viene riportata sul grande schermo per la seconda volta dal regista Michael Noer.
Nella Parigi degli anni 30 il ladro Henri Charrière detto Papillon (Charlie Hunnam) viene ingiustamente accusato di omicidio e condannato all’ergastolo. Viene mandato a scontare la pena nel penitenziario sull’isola del diavolo nella Guyana Francese.
Intenzionato a fuggire a tutti i costi creerà un’alleanza con il falsario Luis Degas (Rami Malek) che in cambio di protezione finanzierà i vari tentativi di fuga, tra i due nascerà un duraturo legame di amicizia.
Il film altalena la narrazione con momenti molto lenti a momenti concitati, sicuramente tende a sottolineare lo stato di quasi schiavitù dei prigionieri, soprattutto nei periodi di isolamento, nel silenzio e nel buio di una cella, a cui il protagonista è sottoposto dopo ogni suo tentativo di fuga.
Molto interessante la fotografia che evidenzia con un totale stacco l’esuberanza di Parigi, con colori vivaci, vividi in confronto alla desolazione dell’Isola del Diavolo con colori tenui e dove la vegetazione era più un ostacolo che una salvezza.
Non convincono invece alcune scene legate alla fuga, fin troppo improbabili ed evidentemente studiate che potevano essere molto più potenti ed emozionali.
Charlie Hunnaminterpreta in modo convincente il protagonista, nell’evidente sofferenza fisica trasmette determinazione e riesce ad empatizzare con lo spettatore.
Ciò che sorprende e colpisce è la perseveranza, lo spirito, la voglia di sopravvivere a tutto e a tutti di Papillon, il suo obiettivo è l’evasione e tenterà in tutti i modi di perseguire la via della libertà.
Meno efficace l’interpretazione di Rami Malek nel ruolo del falsario, ma che nel finale si riprende in un momento di accettazione, amicizia e consapevolezza.
Molto interessante l’interazione tra i due personaggi dove i due attori hanno saputo dare le migliori sfumature attraverso semplici sorrisi o cenni per evidenziare il rispetto e l’amicizia che legava queste due persone.
In conclusione un film che dà una sua visione della storia che non ha bisogno di fare paragoni con l’originale.
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udiego
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sabato 28 luglio 2018
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papillon
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Tocca al giovane trentottenne Michael Noer, riportare al cinema il remake dell’apprezzato film del 1973. Film ispirato ad uno dei romanzi di più grande successo di tutto il dopo guerra, “Papillon” pubblicato nel 1969. Effettivamente il compito non era facile, visto il grande successo sia del libro che del film, interpretato ai tempi da Steve McQueen e Dustin Hoffmann. Il Papillon di Noer concentra la sua attenzioni sulle condizioni disumane delle carceri francesi di quel periodo, ma anche in questa occasione, l’argomento principale è l’amicizia. L’amicizia tra due uomini che si conoscono perché rinchiusi nella stessa prigione, ma che grazie alla loro forza di volontà ed al loro temperamento riusciranno a non spezzarsi mai e a non rompere l’indissolubile legame nato tra di loro.
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Tocca al giovane trentottenne Michael Noer, riportare al cinema il remake dell’apprezzato film del 1973. Film ispirato ad uno dei romanzi di più grande successo di tutto il dopo guerra, “Papillon” pubblicato nel 1969. Effettivamente il compito non era facile, visto il grande successo sia del libro che del film, interpretato ai tempi da Steve McQueen e Dustin Hoffmann. Il Papillon di Noer concentra la sua attenzioni sulle condizioni disumane delle carceri francesi di quel periodo, ma anche in questa occasione, l’argomento principale è l’amicizia. L’amicizia tra due uomini che si conoscono perché rinchiusi nella stessa prigione, ma che grazie alla loro forza di volontà ed al loro temperamento riusciranno a non spezzarsi mai e a non rompere l’indissolubile legame nato tra di loro.
Analizzando l’opera, nonostante fatichi a reggere il confronto con il suo più quotato predecessore, Noer ci regala un film ben costruito e strutturato sotto diversi punti di vista. L’impianto cinematografico è di buon livello, con una regia ed un montaggio capaci di ben integrarsi con i luoghi e le location in cui viene girato il film. Il carcere di detenzione prima e l’isola del diavolo poi riescono bene a rendere il clima di oppressione e maltrattamento vissuto dai diversi personaggi.
Anche la sceneggiatura, curata dallo stesso Charrière, come per il film precedente e Aaron Guzikowski, risulta fluida e scorrevole, nonostante la non breve durata del film, circa 2 ore e un quarto. Vengono rappresentati ovviamente tutti i clichè che possiamo trovare in opere del genere, dalle condizioni sanitarie precarie della prigione, al direttore crudele e senza umanità, fino alle guardie sottopagate pronte a farsi corrompere dai detenuti per qualche soldo. Nonostante ciò, il film scorre via in modo piacevole, suscitando interesse nello spettatore, soprattutto nel vedere fino a dove il protagonista potrà spingersi prima di cedere e spezzarsi definitivamente.
“Papillon” è un film che ci parla di uomini e della loro forza di volontà nel perseguire gli scopi che si erano prefissati per raggiungere la libertà. Forza di volontà che certo troveranno dentro di sé, ma che non potrà che venire alimentata dalla loro grande amicizia, un sentimento che li renderà più forti ed impavidi, ma soprattutto più uomini.
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elgatoloco
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sabato 4 agosto 2018
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spettacolare quanto grandguignolesco
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Questo"Papillon"(2017, Michael Boer), che si pretende "remake"dell'originale di Schaffner(1973), rispettando la sceneggiatura di Dalton Trumbo, che allora tornava al cinema dopo la lunga sospensione comminatagli dal maccartismo("COmmissione per le attività antiamericane), ispirato al romanzo autobiografico del vero"Papillon", Henry Charrière, si divide tra una forma di "spettacolarismo classico"(nel senso di poche innovazioni stilistiche, di una narrazione filmica che non diremo"piatta", ma certamente molto tradizionale, senza-quasi-rotture delle continuità narrativa)nella storia dell'ergastolano condannato ingiustamente a un ergastolo da scontare nella Guyana Francese, negli anni Trenta del 1900 e una forma di "grandguignolismo", che accentua i particolari più cruenti della punizione, con il sadismo che vien fuori da ogni poro, per così dire.
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Questo"Papillon"(2017, Michael Boer), che si pretende "remake"dell'originale di Schaffner(1973), rispettando la sceneggiatura di Dalton Trumbo, che allora tornava al cinema dopo la lunga sospensione comminatagli dal maccartismo("COmmissione per le attività antiamericane), ispirato al romanzo autobiografico del vero"Papillon", Henry Charrière, si divide tra una forma di "spettacolarismo classico"(nel senso di poche innovazioni stilistiche, di una narrazione filmica che non diremo"piatta", ma certamente molto tradizionale, senza-quasi-rotture delle continuità narrativa)nella storia dell'ergastolano condannato ingiustamente a un ergastolo da scontare nella Guyana Francese, negli anni Trenta del 1900 e una forma di "grandguignolismo", che accentua i particolari più cruenti della punizione, con il sadismo che vien fuori da ogni poro, per così dire. Fanno di più il colorismo(molta parte del film , anche nelle sequenze notturne, deriva dall'accentuazione degli elementi cromatici più"lussureggianti")e una recitazione anche abbastanza esasperata, con Charlie Hunnam e Rami Malek che ce la mettono tutta-ma Steve Mc Queen E Dustin Hoffman, sarà anche retorico dirlo e ribadirlo, sono/erano altra cosa. El Gato
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felicity
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mercoledì 20 marzo 2019
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pedissequa ricalcatura (in peggio) del precedente
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Era veramente necessario un remake di Papillon? La risposta probabilmente è no, ma il film di Michael Noer riesce comunque a salvare il salvabile e a rivelarsi un’opera persino godibile, se approcciata con la mente sgombra da pregiudizi e riottosità.
"Papillon" di Noer conserva gli aspetti peggiori del precedente (prolissità e uniformità dell’intreccio), amputando gli aspetti più seducenti e fascinosi del film di Schaffner (la follia, la parentesi nel villaggio indigeno, la denuncia del sistema carcerario, l’evasione con le noci di cocco). Traspare dietro a quest’operazione il chiaro intento di rimasticare un cult adattandolo al gusto del pubblico giovane.
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Era veramente necessario un remake di Papillon? La risposta probabilmente è no, ma il film di Michael Noer riesce comunque a salvare il salvabile e a rivelarsi un’opera persino godibile, se approcciata con la mente sgombra da pregiudizi e riottosità.
"Papillon" di Noer conserva gli aspetti peggiori del precedente (prolissità e uniformità dell’intreccio), amputando gli aspetti più seducenti e fascinosi del film di Schaffner (la follia, la parentesi nel villaggio indigeno, la denuncia del sistema carcerario, l’evasione con le noci di cocco). Traspare dietro a quest’operazione il chiaro intento di rimasticare un cult adattandolo al gusto del pubblico giovane.
Ne risulta un film castrato, inane, che non ha nulla da dichiarare se non la propria precoce obsolescenza.
Da amante del cinema e della pietra miliare di Schaffner spero che questo remake possa incuriosire i giovani a vedere il predecessore ed altri grandi classici del passato.
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lucio di loreto
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venerdì 28 febbraio 2020
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un penoso remake senza anima e cuore
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Grottesca e inopportuna la trasposizione di questo remake, affidata al giovane Michael Noer, filmaker 40enne alla prima esperienza d’elite, perciò buttato in pasto da una disordinata produzione a girare la versione di un inarrivabile capolavoro come Papillon. Raggiungere le vette originali era ovviamente impensabile, anche per gli organizzatori di questa pellicola, ma ciò che manca alla base e fa rabbia è la benchè minima presenza di passione e calore, principali caratteristiche da tramandare ai posteri per una storia così tanto drammatica e claustrofobica, dove libertà e vero e proprio ossigeno sono carenti dallo start fino all’epilogo nei protagonisti principali, sebbene l’uno per fisicità e abitudine a delinquere sia più preparato dell’altro, furbo e scaltro ma inadatto a sopportare la ferocia dell’isolamento nella famigerata e ormai iconica “Isola del Diavolo”! La piattezza a dirigere le sequenze migliori (?) è patetica e la macchina da presa si limita a correre dietro ad Hunnam e Malek per tutta la durata, in attesa di un climax che mai ci sarà; tutto ciò sarebbe giustificato se accoppiato ad una recitazione da brividi, o almeno animata da spirito sofferente, relativo a pena e tormento, ma le due star contemporanee falliranno in maniera epocale la loro missione.
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Grottesca e inopportuna la trasposizione di questo remake, affidata al giovane Michael Noer, filmaker 40enne alla prima esperienza d’elite, perciò buttato in pasto da una disordinata produzione a girare la versione di un inarrivabile capolavoro come Papillon. Raggiungere le vette originali era ovviamente impensabile, anche per gli organizzatori di questa pellicola, ma ciò che manca alla base e fa rabbia è la benchè minima presenza di passione e calore, principali caratteristiche da tramandare ai posteri per una storia così tanto drammatica e claustrofobica, dove libertà e vero e proprio ossigeno sono carenti dallo start fino all’epilogo nei protagonisti principali, sebbene l’uno per fisicità e abitudine a delinquere sia più preparato dell’altro, furbo e scaltro ma inadatto a sopportare la ferocia dell’isolamento nella famigerata e ormai iconica “Isola del Diavolo”! La piattezza a dirigere le sequenze migliori (?) è patetica e la macchina da presa si limita a correre dietro ad Hunnam e Malek per tutta la durata, in attesa di un climax che mai ci sarà; tutto ciò sarebbe giustificato se accoppiato ad una recitazione da brividi, o almeno animata da spirito sofferente, relativo a pena e tormento, ma le due star contemporanee falliranno in maniera epocale la loro missione. Icone del calibro di McQueen e Hoffman, oltre a personalizzare i loro Charriere e Dega con l’acting che li ha resi celebri, fatto di forza interiore per il primo e timidezza associata a furbizia introspettiva per il secondo, erano infatti aiutati dagli splendidi dialoghi firmati Dalton Trumbo, che a sua volta si mise a scrivere pensando per l’appunto a quali campioni avrebbe lasciato l’onore di riportare a voce le sue accorate parole, vedendo ad opera compiuta un’infinità di scene epiche, intimistiche rivelazioni e feroci rese dei conti. Qui la performance degli attori è grossolana, e lascia intendere più che una pazzesca epopea al contrario – costituita da ingiuste e massacranti detenzioni, colme di soprusi e prepotenze fisiche, atte alla vera e propria eliminazione corporale del detenuto – una gara a chi riuscirà nell’impresa di fuggire da tale martirio. La sceneggiatura praticamente non permette un qualunque aiuto ad Hunnam e Malek, i quali sono perciò costretti ad improvvisare ogni azione, palesandosi l’uno esageratamente esaltato e sguaiato, forte di un fisico che lo eleva più a supereroe che ad impavido e coraggioso prigioniero innocente e l’altro quasi più sveglio del compagno, pronto quindi prima o poi a farla franca. E’ proprio il tanto atteso Rami Malek a deludere e a manifestare maggiormente in negativo la sua recita bullesca rispetto a quella del partner in crime. Difatti utilizzerà il copione a lui assegnato esclusivamente per mettere un’altra tacca nella sua ormai famosa arte da underdog ribelle, pronto a rivoltarsi alle angherie ed ergersi a paladino degli ultimi, anziché far trasparire le sconfitte psicofisiche del suo Louis, dimenticando forse che lo scopo della trama non era quello di superare ostacoli insormontabili, ma sbatterci il grugno periodicamente fino a desistere. La modernità dei mainstream hollywoodiani è anch’essa non pervenuta, dato che gli esterni e la natura ad essi circoscritta non vengono mai allargati e valorizzati, non dando così la vertiginosa sensazione di prigionia claustrofobica all’interno di spazi al contrario vasti e infiniti. Un brutto esperimento dunque questo remake, che anziché l’ovvio pathos e thriller, che un racconto sulla chiusura forzata verso il mondo esterno e i molteplici tentativi di ribellarvisi dovrebbero riaccendere nell’animo di chi guarda, lascia invece in essere l’ennesima sensazione di propaganda e lucro verso una pietra miliare del cinema, mandata anch’essa a morire contro le esigenze da botteghino.
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