Nato a Casal di Principe

   
   
   

Nessuno parla di Amedeo svanito nel nulla

di Emiliano Morreale La Repubblica

Amedeo Letizia nel 1989 era un aspirante attore di Casal di Principe, poco più che ventenne e in cerca di successo a Roma. Quando suo fratello sparì nel nulla, Amedeo tornò a Casale a cercarlo: davanti al silenzio generalizzato, il sospetto più forte era che i camorristi lo avessero fatto sparire per qualche sgarro. La verità emergerà solo molti anni dopo. Da questa storia vera è stato tratto anni fa un libro scritto insieme a Paola Zanuttini, Nato a Casal di Principe, che con lo stesso titolo arriva sullo schermo, prodotto dallo stesso Letizia con Mariella Li Sacchi. Davanti alla sciatteria dei mille film televisivi su mafia e camorra, ispirati a storie vere o romanzate, santini o rievocazioni d'epoca cialtrone, questo piccolo film è una sorpresa. Bruno Oliviero, noto documentarista al secondo lungometraggio di finzione, si è messo al servizio di un progetto non suo senza annullarsi, ma anche senza voler fare l'autore a tutti i costi. Il film, in effetti, è piuttosto semplice, con una storia lineare: le ricerche, alcuni flashback, i dialoghi coi parenti, gli amici, i vicini, i criminali. Certo, il progetto di partenza imponeva dei limiti, ha qualche caduta, alcuni passaggi sono inevitabilmente didascalici. Ma in fondo, lo si ammira insieme per il risultato e per i rischi che ha evitato. Basterebbe, a marcare la differenza con tanto cinema e tanta tv, la ricostruzione d'ambiente (la stanza del protagonista) o la direzione degli attori e la scelta delle facce, dal protagonista Alessio Lapice a Massimiliano Gallo nel ruolo del padre. (Curiosità: tra le donne che frequentano la casa ci sono le vere sorelle di Amedeo, che all'epoca dei fatti reali erano bambine). La storia è drammatizzata con precisione (soggetto e sceneggiatura sono firmati da Maurizio Braucci e Massimiliano Virgilio), e soprattutto la regia tiene, evita il più possibile le scelte scontate. L'idea centrale è che il vagabondare del protagonista alla ricerca dei colpevoli, più che un giallo diventa un'esplorazione degli spazi insieme a lui, una scoperta di luoghi in certo modo "parlanti", tra città e campagna, mostrati a volte di sbieco, per frammenti. E la volontà di rimanere insieme "dentro" e "fuori" la storia, di non perdere la dimensione riflessiva e non restare schiacciato sull'attualità, viene ribadita dall'inquadratura finale che mostra il dispositivo della macchina-cinema all'opera.
Da La Repubblica, 26 aprile 2018


di Emiliano Morreale, 26 aprile 2018

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