Non sempre si può chiedere troppo da un film. Né sempre ci si può accomodare in poltrona con il cipiglio del severo censore. In certe sere può bastare un po’ di sana leggerezza, purché supportata da qualche qualità minima che giustifichi il prezzo del biglietto e appaghi minimamente quel gusto estetico di cui non riusciamo a liberarci. È il caso di “Chi m’ha visto“, opera prima dello sceneggiatore Alessandro Pondi.
Sebbene tocchi una tematica affrontabile con altro impegno, il significato dell’essere nell’attuale civiltà mediatica dell’apparire, “Chi m’ha visto” segue la comoda strada di una commedia per tutti i palati. Partendo da una trovata di base, lo sparire come paradossale condizione per acquisire una riconoscibilità, seppur virtuale, Pondi costruisce una facile storiellina.
Martino Piccione (Giuseppe Fiorello) è un bravo chitarrista, turnista per molte popstar nostrane. Nonostante l’aspirazione ad esprimersi con la sua musica, il suo destino, sul palco come nella vita, sembra essere quello di restare nell’ombra. Tornato nel suo paese delle Murge, con l’aiuto del vecchio amico Peppe Quaglia (Pierfrancesco Favino) cialtrone e scansafatiche, mette in scena la sua scomparsa, affinché i media si accorgano di lui. Il piano ha successo e Martino diventa finalmente famoso, ma non per quello per cui avrebbe voluto esserlo. Tutto qua. Lungo l’esile filo della narrazione una serie di personaggi stereotipati: una cinica conduttrice televisiva (Sabrina Impacciatore), una prostituta dall’inattesa sensibilità (Mariela Garriga, bellissima), una fidanzata fedifraga (Oriana Celentano) una anziana mamma teledipendente (Mariolina De Fano).
Oltre alla scrittura garbata, che regala gustose risate, dove trovare allora quel quid in più che ci spinga a devolvere 8 euro al botteghino senza dovercene pentire?
Ce lo offre il talento di Pierfrancesco Favino. Lasciato libero da una regia non ingombrante e da un copione senza troppe velleità, riposta la misura delle sue interpretazioni più impegnate, fa andare a briglia sciolta le sue doti di istrione, che lo rendono capace di trovare tempi comici perfetti, di sfornare gag a ripetizione, di sciorinare dialetti come una seconda lingua. La performance di un mattatore, accanto a cui colui che dovrebbe essere il protagonista, Giuseppe Fiorello, diventa una semplice spalla. Quest’ultimo, infatti, che dovrebbe rendere un personaggio incline alla malinconia e alla riflessione, più che sublimare sottrae, con una recitazione monocorde e senza sfumature.
“Chi m’ha visto” finisce quindi per diventare erede di quella antica tradizione della commedia italiana che risparmiava sulla struttura, contentandosi di un canovaccio e costruiva la sua sostanza sull’estemporaneità dell’invenzione di protagonisti dallo straordinario talento, supportati da partner affidabili relegati, come il povero Martino, alla penombra.
C’è però un altro protagonista nel film che, pur silenzioso, prepotentemente si guadagna la ribalta: il paesaggio delle Murge, con le bianche case assolate di Ginosa e il fascino remoto della sua gravina. Ancora una volta l’accostamento fra cinema e turismo, portatore di benefici effetti per entrambi, si rivela un ingrediente di facile appeal.
Insomma con “Chi m’ha visto” si ride senza sentirsi stupidi, dedicando gli unici, nostalgici pensieri al caldo sole del Sud. Per una uggiosa serata d’autunno può bastare.
Voto: 6
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