odiug
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sabato 5 maggio 2018
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non dimenticherò lo sguardo di manuel
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Un film da non perdere per chi ama il cinema d’autore. Sapevo che Manuel aveva ricevuto diversi premi ed un’ottima accoglienza dalla critica e dal pubblico in Francia ed ero molto curioso di vederlo, visto che era l’opera prima del regista [+]
Un film da non perdere per chi ama il cinema d’autore. Sapevo che Manuel aveva ricevuto diversi premi ed un’ottima accoglienza dalla critica e dal pubblico in Francia ed ero molto curioso di vederlo, visto che era l’opera prima del regista Dario Albertini. Sono rimasto a bocca aperta per l’interpretazione di Andrea Lattanzi, un giovane attore che mi è sembrato uno scafatissimo interprete con decine di film alle spalle. Lattanzi non sembra neanche recitare tanto è immedesimato nel ruolo di Manuel. Un film difficile che parla anche attraverso lunghi silenzi e buca lo stomaco per la semplicità e la crudezza della storia raccontata con grande sincerità, senza cercare di conquistare il pubblico con facili effetti speciali. Un film d’autore, che ricorda il primo neorealismo italiano del dopoguerra. Apparentemente il film, che si basa su una storia vera, racconta una storia che parte dal disagio e dai disastri della periferia di una delle nostre città, in realtà è un film che parla a tutti, perché Manuel si trova a dover fare una scelta, a dover dare un senso alla propria vita decidendo se abbandonare le illusioni e le lusinghe di una vita apparentemente più facile.
Il cast degli attori è perfetto, ognuno contribuisce a creare un’atmosfera ricca di emozioni che si scioglie in un finale inatteso. Quando il film finisce ero ancora preso dalla forte tensione che mi era cresciuta dentro, fino alle ultime inquadrature che sono tutte dedicate a Manuel ed alla sua sofferenza.
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loland10
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martedì 22 maggio 2018
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'...mi madre...'
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Manuel” (2017) è il primo lungometraggio del regista-documentarista Dario Albertini.
Film documentaristico ed essenziale, vivo e antiretorico, realista e asciutto.
Il cinema italiano, ogni tanto, respira di prodotti come questo, dove intelligenza, buona scrittura e facce riconoscibili vanno di pari passo con giusto modo di raccontare e raccontarci una storia dell'oggi, come di ieri (neorealismo) o forse di domani. Le piccole cose, i gesti minimi, il volto, uno sguardo, qualche titubanza, errori, incontri e una madre: ciò che Manuel attraversa è il suo mondo interiore infuocato e passivo, docile e pauroso.
Un figlio (‘il figlio’ dardenniano) che si lascia trasportare dalla sua angoscia, dal suo filo flebile, dalla sua voce.
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Manuel” (2017) è il primo lungometraggio del regista-documentarista Dario Albertini.
Film documentaristico ed essenziale, vivo e antiretorico, realista e asciutto.
Il cinema italiano, ogni tanto, respira di prodotti come questo, dove intelligenza, buona scrittura e facce riconoscibili vanno di pari passo con giusto modo di raccontare e raccontarci una storia dell'oggi, come di ieri (neorealismo) o forse di domani. Le piccole cose, i gesti minimi, il volto, uno sguardo, qualche titubanza, errori, incontri e una madre: ciò che Manuel attraversa è il suo mondo interiore infuocato e passivo, docile e pauroso.
Un figlio (‘il figlio’ dardenniano) che si lascia trasportare dalla sua angoscia, dal suo filo flebile, dalla sua voce. dal suo cordone ombelicale per aiutare la madre, per riaverla e per farla (ri)crescere dopo il carcere. Un figlio che misura le debolezze di una donna, un figlio che, miserevolmente, consola le mancanze di una donna, un figlio che (ri)vuole i difetti-errori della sua vita.
La disidratazione delle immagini si evince dallo scarno e congruo livello di ripresa. Un difetto, sembrerebbe, invece è solo pregio, un avvicinarsi agli occhi di chi guarda con circostanza, circospezione, quasi chiedendo permesso. Forse il cinema di racconto vero sta perdendo proprio questo è si deve rinnovare , quello di chiedere allo spettatore le scuse per presentarsi prima di una proiezione. Con delicatezza e gusto minimo i due si avvicinano quasi sfiorandosi, il grande schermo e il pubblico in sala.
Memorie di un cinema non didascalico o di rifugio, fatto di concretezza, animo e problemi reali. Una vita dura quella di Manuel che ha conosciuto emarginazione sociale e abbandono, casa-famiglia e solitudine, educatrici e affetti costruiti.
Ancora di Manuel è il suo sguardo assente, quello di voler 'spegnere' con le dita le luci di notte, delle auto o forse come fossero fari naturali di piccole fiamme notturne. Un diciottenne che vuole una vita aperta, che, seduto sul ciglio di una strada o vicino ad una stazione, sta ad osservare, aspetta e spera nel ritorno della madre a casa. 'È sempre mi madre' dice più volte. ‘È quello che conta … io sono il figlio’.
Notturni interiori con dissolvenze di panorami offuscati. Quasi sempre si vede il suo volto e i suoi movimenti divincolanti e non tranquilli. Un ragazzo che frena e che si rialza, che ha coraggio non sapendo da dove gli viene. Alle domande dei servizi sociali risponde indicando quello che ha dentro. 'Ma cosa gli hai detto....?'. Ecco Manuel ripulisce se stesso e l'appartamento di 'mi madre' per poter accoglierla e donarle ciò di cui ha bisogno. Un po' di serenità e un po’ di compagnia. La sentenza e l’abbraccio restano all’unisono con un’ansia fagocitante e implosiva; l’attesa snervante sono lacrime amarissime e lo sguardo nel vuoto sopra le spalle di una donna resa inerme da un figlio. Pianti divisi e mani unite.
Un ritorno dopo una telefonata, una sniffata, un qualcosa di lontano. Una canna nel passato e un amico perso nel tempo. Il ritorno al reale e al destino che attende la madre.
Ermetico e fisico, taciturno e movente, perso e pauroso: il volto di un ragazzo che si ritrova in mezzo alla vita senza un'idea. Eppure questo ragazzo, dal ciglio di una strada, da una spinta ad un triciclo, da poche parole verso gli altri, da incontri fortuiti riesce un minimo ad andare alla giornata. Con difficoltà enormi fa cadere i suoi occhi sulla speranza di una 'famiglia'.
L'avvocato e il ragazzo, i fatti e le speranze; risponde che in questo lavoro contatti i fatti non l'on la speranza o più di essa. Far uscire la madre dal carcere è essenziale. Chiude tutto per lei.
Andrea Lattanzi (nei panni di Manuel) convince e gioca il personaggio con sottrazione di intenti. Gesti e modi mesti e passivi, sguardo lontano e fisicità che attraversa lo schermo e le strade di un ritorno a casa. Il suo camminare tra i prati incolti di una periferia perenne detta il passo tra i grandi palazzoni disadorni e vuoti. Un ‘ragazzo di vita’ che guarda il futuro con speranza mentre raggiunge il ‘litorale’ per un nuovo inizio. La ‘poesia’ può arrivare, anche, da un grigio mare e da una stagione da lenire.
Si ricorda la presenza di Renato Scarpa che in pochi attimi riesce a non farsi dimenticare.
Regia minima(le), sentita, efficace e priva del futile.
Voto: 8/10.
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vanessa zarastro
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mercoledì 29 agosto 2018
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quando i ruoli si ribaltano
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Manuel è un giovane diciottenne che sta per uscire dal centro di accoglienza che lo ha ospitato per cinque anni. Non solo deve affrontare l’inizio di una nuova vita, ma anche la responsabilità di prendersi a carico la madre che, in tal modo, dal carcere passerebbe agli arresti domiciliari sotto la sua tutela.
In un certo senso è un maternage a rovescio. Infatti, in psicoterapia, il maternage è un metodo di cura che cerca di instaurare fra terapeuta e paziente un rapporto simile a quello esistente fra madre e bambino, per superare frustrazioni e traumi che si presumono avvenuti nella prima infanzia, per difetto di cure materne.
Nel film, anche la formazione degli attacchi di panico viene spiegata come effetto dell’assenza di un “attaccamento” sicuro.
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Manuel è un giovane diciottenne che sta per uscire dal centro di accoglienza che lo ha ospitato per cinque anni. Non solo deve affrontare l’inizio di una nuova vita, ma anche la responsabilità di prendersi a carico la madre che, in tal modo, dal carcere passerebbe agli arresti domiciliari sotto la sua tutela.
In un certo senso è un maternage a rovescio. Infatti, in psicoterapia, il maternage è un metodo di cura che cerca di instaurare fra terapeuta e paziente un rapporto simile a quello esistente fra madre e bambino, per superare frustrazioni e traumi che si presumono avvenuti nella prima infanzia, per difetto di cure materne.
Nel film, anche la formazione degli attacchi di panico viene spiegata come effetto dell’assenza di un “attaccamento” sicuro. Manuel non è mai potuto essere bambino, non ha mai ricevuto attenzioni e cure, al contrario gli sono state sempre richieste.
All’Istituto lo hanno responsabilizzato con mille regole e con cento obblighi. Manuel è un ragazzo gentile e di buon cuore che tende ad aiutare tutti, quindi un pochino se ne sono approfittati facendogli spesso svolgere mansioni che sarebbero state più adatte al personale che non all’ospitato. Ma si sa che l’Italia va avanti così, e che il volontariato sembrerebbe essere l’unica risorsa efficiente. Così anche per la ragazza, che Manuel incontra casualmente: un’aspirante attrice, che svolge attività di volontariato tra i poveri e che gli recita un brano di “Baci Rubati” di François Truffaut del 1968, svelando in tal modo una delle fonti di ispirazione del regista.
Il momento del reinserimento, una volta usciti da una struttura protetta, carcere, casa-famiglia o quant’altro, è problema molto delicato che andrebbe sempre accompagnato rendendo graduale il processo di autonomizzazione. Conosco varie associazioni che operano sul territorio e si occupano del il problema di re-integrazione che il paziente, nel caso specifico psichiatrico, deve affrontare nel momento in cui la “cura” è, in un certo senso, terminata. L’Associazione Solaris Onlus ad esempio, è un’associazione portata avanti da un gruppo di sociologhe coraggiose si è occupata del percorso che il paziente compie una volta terminata la fase della Comunità Terapeutica e inizia il lungo e faticoso percorso di autonomizzazione e di socializzazione nella capitale. Questo gruppo di familiari e amici dei pazienti, coinvolti dagli operatori della Comunità nel trattamento e nella riabilitazione dei pazienti, in linea con le tendenze più avanzate della psichiatria contemporanea, si sono resi partecipi e attori in prima persona dei processi di cambiamento.La Provincia di Roma, ad esempio, mediante un bando “Prevenzione Mille”, ha finanziato un percorso progettuale, iniziato nel 2009, mettendo insieme soggetti pubblici e privati sociali per coadiuvare il paziente nel superamento di tutte quelle difficoltà – soggettive e oggettive – che incontra nella sua riabilitazione. A tale scopo sono stati condotti dei Laboratori aperti al territorio sulla fotografia, sulla scrittura creativa e sull’informatica e così via.
Chiunque abbia sofferto di una lunga malattia sa per esperienza, quanto sia faticosa e delicata la fase di riabilitazione, della cosiddetta convalescenza, che è un processo lungo e discontinuo con alti e bassi, spesso con ricadute. È forse la fase più delicata in cui spesso gli amici e parenti non sono più disponibili perché è passata l’”emergenza”. Così se la malattia è di tipo psicologico o psichiatrico il ri-apprendimento ad affrontare la vita quotidiana, magari senza “protezioni”, talvolta senza più medicine o dipendenze in generale, fa provare una grande fragilità.
Se si addiziona al percorso di progressiva autonomia, un problema ancora più grosso come quello che deve affrontare Manuel - nell’accogliere la madre agli arresti domiciliari - l’attacco di panico è il minimo che possa capitare.
L’abitazione di Manuel è un piccolo appartamento nella periferia di una stazione balneare laziale - presumibilmente Civitavecchia - dove spiccano tre casermoni anonimi in una landa desolata, ma fortunatamente vicino al mare. Colpisce il gran senso di solitudine, l’assenza di un quartiere, di un vicinato, di un tessuto sociale dove potersi reinserire, elementi fondamentali per la reintegrazione dopo aver vissuto in una casa-famiglia.
Durante tutto il film è mostrato questo giovane così desideroso di libertà dopo tanti anni di reclusione - «Non ci dormo la notte» confessa Manuel allo psicologo che lo intervista – che inizia a spaventarsi per l’assunzione della responsabilità di dover diventare il “tutore” della madre. E come andrà la convivenza in una casa così piccola dopo tanti anni che i due non si sono né frequentati né visti? La madre piange, soffre, dice che non ne può più di stare nel carcere, avendo già passato cinque anni lì dentro. La dovrà accudire in tutto e per tutto perché lei non potrà proprio uscire di casa?…e se ricomincia a frequentare la gente che l’ha deviata? Cosa potrà fare lui? Come proteggerla?
Dario Albertini si era già cimentato con la tematica della vita dei minori in difficoltà nel documentario“La repubblica dei ragazzi” del 2015,ma qui è andato oltre, dipingendo questo personaggio - che Pier Paolo Pasolini avrebbe molto amato – con Andrea Lattanzi, attore straordinario, timido e autentico, rozzo e gentile, ribelle e orgoglioso. Rassegnato ma inquieto Manuel rinuncerà a partire con un vecchio compagno e rinuncerà anche a un amore in fieri per accudire una madre, che forse non lo merita neanche.
Il film commuove senza essere drammatico, la macchina da presa sembra guardare le emozioni attraverso gesti minimali, uno sguardo, mani che si congiungono, nell’addio alle persone della casa famiglia.
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flyanto
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martedì 15 maggio 2018
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il ritratto di ungiovane anzitempo cresciuto
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"Manuel" , opera prima del regista Dario Albertini, è il nome del protagonista del film che ha compiuto appena diciotto anni e, divenuto ormai maggiorenne, deve lasciare l'istituto di accoglienza dove da anni risiede, essendo sua madre stata arrestata per detenzione di droga. Una volta lasciato questo luogo che ha rappresentato la sua unica famiglia e dove egli si è saputo costruire buoni rapporti con tutti, compagni, assistenti sociali ed il parroco della Chiesa che sostiene l'Istituto, Manuel deve affrontare una nuova vita piena di responsabilità più grandi di lui e, pertanto, non troppo confacenti alla sua giovane età. Il ragazzo, infatti, deve sistemare la casa parecchio in disordine e lasciata in tale stato dal momento in cui la Polizia ha fatto irruzione ed ha arrestato la madre, presentarsi per un nuovo lavoro presso un panificio, dove è stato segnalato dall'Istituto stesso, come apprendista fornaio ed ovviamente dare di sè una buona impressione perchè tale attività per lui costituisce l'unica fonte di reddito e di garanzia al fine di affrontare quello che sarà per lui l' onere più gravoso e difficile e, cioè, garantire per il futuro la condotta della madre agli arresti domiciliari.
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"Manuel" , opera prima del regista Dario Albertini, è il nome del protagonista del film che ha compiuto appena diciotto anni e, divenuto ormai maggiorenne, deve lasciare l'istituto di accoglienza dove da anni risiede, essendo sua madre stata arrestata per detenzione di droga. Una volta lasciato questo luogo che ha rappresentato la sua unica famiglia e dove egli si è saputo costruire buoni rapporti con tutti, compagni, assistenti sociali ed il parroco della Chiesa che sostiene l'Istituto, Manuel deve affrontare una nuova vita piena di responsabilità più grandi di lui e, pertanto, non troppo confacenti alla sua giovane età. Il ragazzo, infatti, deve sistemare la casa parecchio in disordine e lasciata in tale stato dal momento in cui la Polizia ha fatto irruzione ed ha arrestato la madre, presentarsi per un nuovo lavoro presso un panificio, dove è stato segnalato dall'Istituto stesso, come apprendista fornaio ed ovviamente dare di sè una buona impressione perchè tale attività per lui costituisce l'unica fonte di reddito e di garanzia al fine di affrontare quello che sarà per lui l' onere più gravoso e difficile e, cioè, garantire per il futuro la condotta della madre agli arresti domiciliari. Insomma, un futuro sicuramente pieno di speranza per il suddetto giovane ma certamente non facile e, in ogni caso, denso di responsabilità troppo pesanti da sostenere alla sua giovanissima età.
Dario Albertini segue Manuel in tutto il suo percorso dagli ultimi giorni dentro l' Istituto a quelli nel corso dei quali egli deve piano piano affrontare tutte le difficoltà e responsabilità della sua nuova esistenza e vi riesce molto efficacemente scandendo in maniera dettagliata, ma senza inutili lungaggini, le giornate del ragazzo e dei suoi incontri con ex amici od individui nuovi. Ciò che si percepisce immediatamente è il difficile e problematico ambiente da cui proviene Manuel che, come tanti ragazzi di periferia e provenienti da famiglie disastrate di cui essi non hanno assolutamente colpa, deve faticare maggiormente rispetto ai suoi coetanei più fortunati ed agiati al fine di costruirsi un'esistenza dignitosa nella società. Questa tematica viene presentata da Albertini in maniera toccante e profonda ed il ritratto che si evince del ragazzo, peraltro ottimamente interpretato dal giovane esordiente Andrea Lattanzi, risulta quanto mai realistico, affatto edulcorato ma molto commovente: insomma, un racconto di vita che colpisce direttamente al cuore.
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fabiofeli
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domenica 20 maggio 2018
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la paura di non farcela
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Manuel (Andrea Lattanzi) vive in una casa-famiglia ed è a un giorno dalla maggiore età. La prima impressione è quella di trovarci davanti un giovane irrequieto, un ragazzo “difficile”, ma non è così. La educatrice si affida a lui per risolvere l’impuntatura di un bambino di 10 anni che si è chiuso nel bagno; Manuel risolve a modo suo, buttando giù la porta con un calcio, anche se sa che lui e il bambino verranno puniti con il turno di lavatura piatti.
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Manuel (Andrea Lattanzi) vive in una casa-famiglia ed è a un giorno dalla maggiore età. La prima impressione è quella di trovarci davanti un giovane irrequieto, un ragazzo “difficile”, ma non è così. La educatrice si affida a lui per risolvere l’impuntatura di un bambino di 10 anni che si è chiuso nel bagno; Manuel risolve a modo suo, buttando giù la porta con un calcio, anche se sa che lui e il bambino verranno puniti con il turno di lavatura piatti. Il motivo del comportamento brusco di Manuel è che, quando gli è stato chiesto aiuto per stanare il piccolo dal bagno, stava scegliendo cosa portare via con sé all’indomani quando deve lasciare la casa-famiglia: sua madre (Francesca Antonelli), una donna sui 50 è in carcere e dovrebbe scontare ancora due anni, a meno che – come consiglia l’avvocato – lui stesso, fresco 18enne, non si prenda la responsabilità di trovare un lavoro e mantenere la madre mentre si trova agli arresti domiciliari.
Il regista Albertini sceglie un tema durissimo, rappresentando il suo protagonista in una situazione che non andrebbe mai augurata nessuno: dover andare a vivere in un tugurio sporco e abbandonato da anni all’interno di un piccolo e allucinante agglomerato urbano - 4 casermoni sperduti sul litorale a nord di Roma - , pulirlo a specchio e renderlo vivibile; deve convincere l’assistente sociale che lui lavorerà ogni notte in un forno per mantenere se stesso e la madre dignitosamente. E’ un compito da far tremare vene e polsi a persone mature e di forte carattere che si scarica sulle spalle di un ragazzo inesperto della vita “di fuori”. Nell’istituto dal quale esce Manuel vive ancora Attilio (il bravissimo Renato Scarpa), che non se l’è sentita di affrontare il mondo e conduce una vita da “frate-contadino”. Proprio Attilio affida a Manuel il compito di portare un quadro a Elpidio (Alessandro Di Carlo), autore adolescente del dipinto poi uscito nel “mondo esterno”: Elpidio è diventato falegname ed è sposato, ma non conduce una vita felice. Blocca Manuel con un perentorio invito a mangiare a casa sua, perché ha intenzione di fargli fare sesso con una prostituta in una sorta di tristissima iniziazione. Manuel adora il mare e cammina lungo la spiaggia vuota mentre muore il giorno. Prima di dormire, la testa sul cuscino, tiene gli spalancati sul vuoto della parete di fronte; quando si addormenta ha l’incubo di nuotare sotto acqua come il protagonista de L’Atalante di Jean Vigo; nel sogno angoscioso Manuel non sembra trovare la direzione giusta per riemergere e respirare. E’ in una situazione di panico davanti al futuro: saprà fare e gli piacerà il lavoro che gli offrono per mantenere sé e la madre? Come sarà la sua vita con la madre, allontanata da lui da anni di carcere? Riuscirà Manuel a tenerla lontana dagli errori del passato? Non è detto che Manuel superi positivamente questo momento cruciale della sua vita. La sceneggiatura firmata dal regista stesso con un dialogo ridotto all’osso ed un montaggio esplicativo nobilitano la prova di Lattanzi pressato dalla cinepresa in primi e primissimi piani o ripreso in campi lunghi di fronte a quel mare deserto e simbolico, come schiacciato dal peso dei torreggianti casermoni. Albertini firma anche diversi intensi brani musicali, confezionando un film con una storia alla Ken Loach. Alle soglie del capolavoro: da non mancare assolutamente.
Valutazione ****
FabioFeli
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139pp
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lunedì 21 maggio 2018
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film intenso e poetico: da vedere
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Film moltro intenso, poetico, ben recitato dal protagonista. Un bel ritratto di un anomalo giovane d'oggi che, appena maggiorenne, è già maturo da comprendere che spesso nella vita il sacrificio personale è indispensabile per esprimere vero amore. Manuel rinuncia ad una probabile fidanzata, a riallacciare amicizie equivoche, alla seduzione di "sesso e droga", pur di dimostrare amore alla madre. Le belle scene di panico ci fanno capire che egli è ben consapevole che, dopo un iniziale impeto di generosità, dovrà giornalmente affrontare la dura realtà. La cosa appunto lo spaventa, e la bella inquadratura finale del suo sguardo rivolto verso la cinrepresa mi piace interpretarla come una sorta di interrogativo rivolto allo spettator
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Film moltro intenso, poetico, ben recitato dal protagonista. Un bel ritratto di un anomalo giovane d'oggi che, appena maggiorenne, è già maturo da comprendere che spesso nella vita il sacrificio personale è indispensabile per esprimere vero amore. Manuel rinuncia ad una probabile fidanzata, a riallacciare amicizie equivoche, alla seduzione di "sesso e droga", pur di dimostrare amore alla madre. Le belle scene di panico ci fanno capire che egli è ben consapevole che, dopo un iniziale impeto di generosità, dovrà giornalmente affrontare la dura realtà. La cosa appunto lo spaventa, e la bella inquadratura finale del suo sguardo rivolto verso la cinrepresa mi piace interpretarla come una sorta di interrogativo rivolto allo spettatore: ce la faro'?
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cardclau
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sabato 19 maggio 2018
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andrea lattanzi salva tutti in corner
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I registi italiani, spesso anche se non sempre, scelgono delle storie molto impegnative, con risvolti psicologici complessi e molto articolati, ma poi. caratteristicamente (è forse questione del nostro DNA?) non sono in grado di portarle fino in fondo, arenandosi tra cicche fumate, telefonini accesi, relazioni umane, specie con l'altro sesso, enigmatiche, e silenzi tombali, decisamente inespressivi, verso i quali lo spettatore, in assenza di un messaggio chiaro del regista, è chiamato a metterci drammaticamente del suo. Il film Manuel di Dario Albertini, malgrado la dedica finale, a suo padre e sua madre (qualcosa di autobiografico?), comincia molto lentamente, in modo non convincente, tra non detti, e silenzi, e ovvietà semplicistiche di una casa famiglia di stampo cattolico.
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I registi italiani, spesso anche se non sempre, scelgono delle storie molto impegnative, con risvolti psicologici complessi e molto articolati, ma poi. caratteristicamente (è forse questione del nostro DNA?) non sono in grado di portarle fino in fondo, arenandosi tra cicche fumate, telefonini accesi, relazioni umane, specie con l'altro sesso, enigmatiche, e silenzi tombali, decisamente inespressivi, verso i quali lo spettatore, in assenza di un messaggio chiaro del regista, è chiamato a metterci drammaticamente del suo. Il film Manuel di Dario Albertini, malgrado la dedica finale, a suo padre e sua madre (qualcosa di autobiografico?), comincia molto lentamente, in modo non convincente, tra non detti, e silenzi, e ovvietà semplicistiche di una casa famiglia di stampo cattolico. Ci troviamo nella situazione, particolarmente impervia, della grave deprivazione. Il protagonista infatti, Manuel, è in piena adolescenza, non ha un padre, ha una madre che passa da una condanna in giudicato, ad un'altra, a cui lui dovrebbe badare, fare da padre, nei probabili, ma non certi, arresti domiciliari. Ma qui avviene il miracolo. Andrea Lattanzi (Manuel) non è uno qualsiasi: ha le espressioni interiori, e direi le fattezze fisiche, di uno stupefacente Pulcinella napoletano, con tanto d'occhi, melanconici, naso, un po' adunco, e mento, sporgente, senza assolutamente le rigidità inespressiva della maschera. Dario Albertini e Andrea Lattanzi quindi procedono in una sinergia indovinata, in cui uno ha bisogno dell'altro. Il film prende momento particolare quando Manuel aiuta un vecchio barbone col suo triciclo, o quando viene accolto dolcemente da una prostituta, povera come lui. Una considerazione: per quanto lo Stato abbia le sue buone regioni, che non si permetta più di portare una madre davanti a suo figlio, ammanettata.
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