Manuel

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Storia di Manuel lupo di periferia

di Emiliano Morreale La Repubblica

Passato in sordina tra mille altri titoli alla Mostra di Venezia (nella sezione "Cinema nel giardino"), l'esordio di Dario Albertini avrebbe meritato di più. Probabilmente lo ha penalizzato anche l'appartenenza a un vero e proprio sottogenere del nostro cinema, quel "realismo delle periferie" che ha peraltro prodotto opere notevoli, da Fiore a Cuori puri. Anche Manuel ha il suo punto di forza nell'osservazione diretta e nella riscrittura sul campo del copione. Come è capitato altre volte, c'è alla base un documentario, La repubblica dei ragazzi (2014), ambientato in una casa-famiglia di Civitavecchia. Da quell'incontro nasce lo spunto del film. Il Manuel del titolo è un ragazzo di 18 anni, cresciuto in quella struttura perché la madre è in carcere da 5 anni. Adesso esce, torna a casa, è solo e la libertà un po' lo spaventa. La madre ha chiesto i domiciliari e di essere affidata a lui, che da figlio diventerebbe responsabile della sua condotta. In attesa del responso del tribunale, Manuel vaga, incontra persone nuove, ritrova un amico entrato in giri loschi, o un altro ex ospite della casa-famiglia, oggi falegname. Molti di questi ritratti sono precisi, credibili, ma in un film come questo molto si basa sul protagonista. E il film ha la sua forza nell'attore venticinquenne Andrea Lattanzi, quasi esordiente, una specie di gigante dalla faccia lunga, con l'aria da cane bastonato e una fisicità goffa. Il regista gli sta addosso, costruisce le scene con tecnica paradocumentaria, senza stacchi, valorizzando i ritmi dei dialoghi e spostandosi spesso su di lui anche quando parlano gli altri. Ma sono valorizzati anche altri interpreti, come Alessandro Di Carlo, noto finora come comico televisivo. Manuel è un film tutt'altro che perfetto, a volte incappa in qualche stilema tipico del suo filone, specie nel finale, quando scivola su un paio di immagini quasi imperdonabili (meglio chiudere gli occhi e fingere che non ci siano). Eppure conquista per la sua curiosità, la capacità di guardarsi intorno con gusto degli spazi, di costruire un melodramma contemporaneo (ché di questo si tratta, alla fine), con piccole scene emozionanti: la prima entrata in scena di Manuel, l'addio all'amica da dietro i vetri, il dialogo con l'assistente sociale. Alla fine, a questo ragazzo ci si appassiona, si spera e si soffre con lui.
Da La Repubblica, 3 maggio 2018


di Emiliano Morreale, 3 maggio 2018

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