vanessa zarastro
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lunedì 6 agosto 2018
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cognome e nome: chauvin antoine
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“L’Atelier” èun film interessante che però cambia registro sul finale passando da film impegnato di rappresentazione del sociale a uno psicologico.
Siamo a La Ciotat, una località di 35.000 abitanti sulla costa mediterranea vicino a Marsiglia, dove c’era un enorme cantiere navale che dava ricchezza a tutta la zona e che fu chiuso verso la fine degli anni Settanta. Dopo lunghe battaglie operaie, La Ciotat non si è ancora ripresa economicamente dopo tanti anni e oggi è prevalentemente porto turistico con officine per riparazioni navali per le unità da diporto. Al centro della zona c’è ancora un bacino di carenaggio di 200 per 60 metri.
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“L’Atelier” èun film interessante che però cambia registro sul finale passando da film impegnato di rappresentazione del sociale a uno psicologico.
Siamo a La Ciotat, una località di 35.000 abitanti sulla costa mediterranea vicino a Marsiglia, dove c’era un enorme cantiere navale che dava ricchezza a tutta la zona e che fu chiuso verso la fine degli anni Settanta. Dopo lunghe battaglie operaie, La Ciotat non si è ancora ripresa economicamente dopo tanti anni e oggi è prevalentemente porto turistico con officine per riparazioni navali per le unità da diporto. Al centro della zona c’è ancora un bacino di carenaggio di 200 per 60 metri.
La cittadina è famosa tra i cinéphilesanche per un’altra ragione: i fratelli Lumière immortalarono l’arrivo del treno proprio nella stazione ferroviaria di La Ciotat.
In “L’Atelier” Olivia Dejazet (interpretata da Maria Foïs) è una famosa scrittrice di gialli che tiene un atelier di scrittura con dei ragazzi locali: un gruppo multietnico e variegato.
Come spesso in questo genere di film - “La classe” dello stesso Laurent Cantet del 2008, “Monsieur Lazhar” di Philippe Falardeau del 2011, ma anche “Una volta nella vita” di Marie-Castille Mention-Schaar del 2016 - l’obiettivo è proprio quello di imparare a cooperare e a costruire in modo collettivo confrontandosi, in modo da creare un’identità collettiva al di là delle differenze. Il pretesto del film è quello di scrivere insieme un romanzo giallo che presenti quindi un omicidio e che sia ambientato proprio in quella zona.
Nel laboratorio di scrittura, naturalmente si creano delle difficoltà, dovute alle differenze culturali e religiose o a diverse opinioni politiche. Comunque a quell’età il rapporto tra giovani è sempre piuttosto delicato. Uno dei ragazzi (ben interpretato da Matthieu Lucci) si chiama Antoine Chauvin (un cognome a caso?) ed è un ragazzo solitario, introverso e scontroso che, con le sue ritrosie e fragilità, rappresenta un campione di permeabilità a slogan razzisti. Antoine è inquieto, si nasconde da tutti, forse anche da se stesso. I soli amici che riesce ad avere è un gruppetto di sbandati di estrema destra dove circola molta provocazione ed esibizione.
Anche se non c’è nessuna relazione, il personaggio di Antoine mi ha evocato quello rappresentato nel film “Cognome e nome: Lacombe Lucien”, diretto da Louis Malle nel 1974 e interpretato da Pierre Blaise, che narra le vicende di un giovanissimo contadino che diventa collaborazionista nel sud-ovest della Francia nel 1944. Il contesto storico e ambientale è molto diverso in “L’Atelier” la realtà rappresentata non è disagiata, è monotona e la radicalizzazione sembra costituire una valvola di sfogo dalla noia.
Nel nostro film Laurent Cantet sottolinea l’intrigo psicologico che diventa emergente: quello tra Olivia e Antoine, il quale provoca continuamente gli altri con posizioni violente, e perfino la tutor animatrice dell’atelier. Leggerà avanti a tutti un brano di un suo giallo accusandola di usare parole vuote senza capire fino in fondo la matrice della violenza. C’è una forte attrazione tra i due ma c’è anche repulsione.
Quest’ultima parte del film gioca molto sull’ambiguità: Olivia, lo maltratta ma poi gli chiede scusa, lo cerca, lo coinvolge in un nuovo giallo. Non si sa bene se i cerchi materiale umano per il suo nuovo romanzo o intenda realmente aiutarlo avendo compreso i suoi livelli di sofferenza?
I film di Laurent Cantet parlano di piccole storie del quotidiano; le protagoniste sono fabbriche in sciopero o scuole multiculturali nella banlieu, tutti luoghi di classi sociali meno favorite dalla sorte. Non solo ma Laurent Cantent e i suoi attori, spesso non professionisti, lavorano assieme per plasmare la sceneggiatura per rendere più veritieri i personaggi.
Con “L’Atelier” Maria Foïs ha ottenuto il Premio Cèsar 2018 per la migliore attrice, e il regista Laurent Cantet, il premio della giuria Un Certain Regard 2017.
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flyanto
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giovedì 21 giugno 2018
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un'inquietudine che sta per scoppiare
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“L’Atelier” del regista Laurent Cantet è un film psicologico in cui una nota scrittrice di romanzi, si impegna ad insegnare l’arte della scrittura ad un gruppo di ragazzi in un corso estivo in una scuola della cittadina portuale di La Ciotat. Tutti gli studenti sono entusiasti ed interessati a ideare, collaborando insieme, un romanzo thriller. Tra di loro ve ne è uno, molto sensibile, solitario ed un poco ombroso, diretto nell’esprimere le proprie opinioni, che mal si accorda con gli altri con cui spesso entra in accesi conflitti di idee. Egli fronteggia e discute persino con la suddetta insegnante che però rimane colpita dalla personalità del giovane in quanto sfuggente ed un poco misterioso ma molto intelligente.
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“L’Atelier” del regista Laurent Cantet è un film psicologico in cui una nota scrittrice di romanzi, si impegna ad insegnare l’arte della scrittura ad un gruppo di ragazzi in un corso estivo in una scuola della cittadina portuale di La Ciotat. Tutti gli studenti sono entusiasti ed interessati a ideare, collaborando insieme, un romanzo thriller. Tra di loro ve ne è uno, molto sensibile, solitario ed un poco ombroso, diretto nell’esprimere le proprie opinioni, che mal si accorda con gli altri con cui spesso entra in accesi conflitti di idee. Egli fronteggia e discute persino con la suddetta insegnante che però rimane colpita dalla personalità del giovane in quanto sfuggente ed un poco misterioso ma molto intelligente. La donna cercherà invano anche un maggior avvicinamento a lui per meglio comprenderlo e, se necessario, aiutarlo ma, nel frattempo il corso giunge alla fine e per tutti i protagonisti esso si sarà rivelato un’interessante esperienza mentre per il ragazzo solitario, in particolare, una vera e propria proficua lezione di conoscenza di sè e futura crescita personale.
Laurent Cantet è il regista che nelle sue opere sempre affronta le tematiche concernenti i giovani o le minoranze sociali ed i loro problemi. Acuto osservatore e conoscitore delle nuove generazioni e delle svariate classi sociali, egli riesce a comprenderle ed a rappresentarne il vissuto, le esperienze ed i problemi. Come nel suo film “La Classe” che 10 anni addietro vinse la Palma d’Oro al Festival di Cannes, anche ne “L’Atelier” il regista divide i propri protagonisti in due ‘fazioni’ : gli adulti che impersonano gli insegnanti e gli alunni di differenti culture che interagiscono e si contrappongono ai primi. Per Cantet è molto importante il dialogo in quanto strumento necessario ai fini della reciproca comprensione ed infatti le sue pellicole si contraddistinguono per una verbosità elevata che riflette alla perfezione la tempistica reale dello scambio di idee ed opinioni dei personaggi, svelandone a poco a poco di solito il naturale carattere. E’ così, dunque, che ne “L’Atelier” si assiste, infatti, al lento svelarsi del giovane protagonista spiegandone, proprio come in un thriller, la motivazione del suo essere strutturato in una certa maniera.
Del tutto consigliabile
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(di vanessa zarastro)
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michelino
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venerdì 7 settembre 2018
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michelino va al cinema
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Film sottilmente acuto e interessante.
Mette in scena un fallimento umano e pedagogico
con l'intento di non assolvere nessuna delle parti
in contrasto.
Tra le cause di questo fallimento il film annovera
anche (e giustamente) il ruolo dei diversi linguaggi
usati dai protagonisti.
A mio parere è forse proprio qui che il film mostra
il suo fianco debole...nel linguaggio che adotta e
che, a conti fatti, non mi sembra poi tanto diverso
dal linguaggio limitante e 'perdente' di una certa
letteratura che nel film stesso sembra essere
messa alla sbarra.
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Film sottilmente acuto e interessante.
Mette in scena un fallimento umano e pedagogico
con l'intento di non assolvere nessuna delle parti
in contrasto.
Tra le cause di questo fallimento il film annovera
anche (e giustamente) il ruolo dei diversi linguaggi
usati dai protagonisti.
A mio parere è forse proprio qui che il film mostra
il suo fianco debole...nel linguaggio che adotta e
che, a conti fatti, non mi sembra poi tanto diverso
dal linguaggio limitante e 'perdente' di una certa
letteratura che nel film stesso sembra essere
messa alla sbarra.
Spero di essere stato chiaro ma non ne sono
tanto sicuro...comunque se non l'avete visto
cercate di recuperarlo, le riflessioni che apre
sono stimolanti e degne dei tempi che stiamo
attraversando.
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giovedì 21 giugno 2018
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un'inquietudine che sta per scoppiare
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“L’Atelier” del regista Laurent Cantet è un film psicologico in cui una nota scrittrice di romanzi, si impegna ad insegnare l’arte della scrittura ad un gruppo di ragazzi in un corso estivo in una scuola della cittadina portuale di La Ciotat. Tutti gli studenti sono entusiasti ed interessati a ideare, collaborando insieme, un romanzo thriller. Tra di loro ve ne è uno, molto sensibile, solitario ed un poco ombroso, diretto nell’esprimere le proprie opinioni, che mal si accorda con gli altri con cui spesso entra in accesi conflitti di idee. Egli fronteggia e discute persino con la suddetta insegnante che però rimane colpita dalla personalità del giovane in quanto sfuggente ed un poco misterioso ma molto intelligente.
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“L’Atelier” del regista Laurent Cantet è un film psicologico in cui una nota scrittrice di romanzi, si impegna ad insegnare l’arte della scrittura ad un gruppo di ragazzi in un corso estivo in una scuola della cittadina portuale di La Ciotat. Tutti gli studenti sono entusiasti ed interessati a ideare, collaborando insieme, un romanzo thriller. Tra di loro ve ne è uno, molto sensibile, solitario ed un poco ombroso, diretto nell’esprimere le proprie opinioni, che mal si accorda con gli altri con cui spesso entra in accesi conflitti di idee. Egli fronteggia e discute persino con la suddetta insegnante che però rimane colpita dalla personalità del giovane in quanto sfuggente ed un poco misterioso ma molto intelligente. La donna cercherà invano anche un maggior avvicinamento a lui per meglio comprenderlo e, se necessario, aiutarlo ma, nel frattempo il corso giunge alla fine e per tutti i protagonisti esso si sarà rivelato un’interessante esperienza mentre per il ragazzo solitario, in particolare, una vera e propria proficua lezione di conoscenza di sè e futura crescita personale.
Laurent Cantet è il regista che nelle sue opere sempre affronta le tematiche concernenti i giovani o le minoranze sociali ed i loro problemi. Acuto osservatore e conoscitore delle nuove generazioni e delle svariate classi sociali, egli riesce a comprenderle ed a rappresentarne il vissuto, le esperienze ed i problemi. Come nel suo film “La Classe” che 10 anni addietro vinse la Palma d’Oro al Festival di Cannes, anche ne “L’Atelier” il regista divide i propri protagonisti in due ‘fazioni’ : gli adulti che impersonano gli insegnanti e gli alunni di differenti culture che interagiscono e si contrappongono ai primi. Per Cantet è molto importante il dialogo in quanto strumento necessario ai fini della reciproca comprensione ed infatti le sue pellicole si contraddistinguono per una verbosità elevata che riflette alla perfezione la tempistica reale dello scambio di idee ed opinioni dei personaggi, svelandone a poco a poco di solito il naturale carattere. E’ così, dunque, che ne “L’Atelier” si assiste, infatti, al lento svelarsi del giovane protagonista spiegandone, proprio come in un thriller, la motivazione del suo essere strutturato in una certa maniera.
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