ashtray_bliss
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domenica 25 febbraio 2018
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viaggio verso la rinascita di una nazione.
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Scott Cooper
torna a collaborare nuovamente con Christian Bale dopo il dramma cupo, rurale e violento di Out of the Furnace (2013) che metteva in evidenza i problemi e i contrasti della perifria americana emarginata, povera, burbera e violenta.
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Scott Cooper
torna a collaborare nuovamente con Christian Bale dopo il dramma cupo, rurale e violento di Out of the Furnace (2013) che metteva in evidenza i problemi e i contrasti della perifria americana emarginata, povera, burbera e violenta. Questa volta invece si guarda indietro verso il passato americano, e il racconto, di più ampio respiro e dal notevole peso storico e morale, volge le sue attenzioni alla antica rivalità, ostilità (come da titolo) e deriva violenta tra i popoli nativi e gli americani bianchi. Un esame di coscienza, in pratica, una riflessione accompagnata dall'autocritica sentita e necessaria, un imperativo morale obbligatorio specialmente nei tempi correnti (post Trump), instabili e insicuri, alimentati da un'ondata subdola e implosiva di bieca violenza, razzismo e incomprensione tra la popolazione e le sue comunità.
Hostiles funge dunque da tentativo, indubbiamente riuscito anche se non esente da relativi difetti, di ristabilire l'equilibrio tra colpevoli e vittime, tra soldati senza scrupoli e selvaggi, tra assassini e uomini perbene di ambedue le parti. Un equilibrio che spesso nel corso della storia si è perduto, alternando continuamente i ruoli di vittima e carnefice con un bilancio pesante a sfavore dei nativi.
Cooper affonda le mani nelle ferite del passato, nel tentativo di redimere ed espiare le colpe di una intera nazione che ha barbaramente represso e sterminato le popolazioni indigene; i nativi, i pellerossa come venivano chiamati in senso sprezzante. Attraverso un'epopea western rigorosa che guarda costantemente ai classici degli anni passati, favorendo e omaggiando il cinema di J. Ford, il regista affronta con saggezza il tema del confronto tra nativi e bianchi, dell'odio che genera una insensata spirale di violenza e incomprensione, della perdita, sofferenza e disperazione anche se la vera essenza e anima del film è quella che omaggia la grandezza dello spirito umano, universale e trascendentale, che riesce a riscoprire se stesso, superando le avversità e gettando le basi per una convivenza pacifica. Quello spirito umano che sapientemente sostituisce la divisione con l'unione, l'odio con l'accettazione e la reciproca comprensione, il nichilismo e la rassegnazione con la speranza verso il futuro.
Supportato da una fotografia suggestiva ed esteticamente ammaliante emerge un'America paesaggisticamente splendida, ruvida e selvaggia al tempo stesso, che alterna il deserto assolato del New Mexico con le valli e i canyon, passando per le cupe terre boschive del Montana seguendo il percorso dei protagonisti.
La storia infatti vuole che un capitano ormai prossimo alla pensione e provato dalle innumerevoli guerre contro i pellerossa, Joe Blocker, accompagni un ormai anziano e malato capo Cheyenne nsieme alla sua famiglia, indietro nelle loro terre natie nella Valle degli Orsi del Montana. Le ferite del passato riemergono subito per lo stoico capitano che inizialmente si rifiuta di scortare il "nemico" ma si piegherà davanti ad un ordine firmato dal presidente stesso. Questo pretesto, essenziale e scarno quanto basta per allinearsi alla tematica western, serve a raccontare un viaggio d'introspezione e redenzione che avvicinerà progressivamente i personaggi tra loro. Durante il cammino si aggiungerà al gruppo di soldati anche una giovane donna che ha visto la sua famiglia sterminata per mano di una banda di indiani Comanche. La sequenza in questione è quella d'apertura, che provoca un notevole impatto visivo ed emotivo nello spettatore che si predispone ad un western rozzo e violento. Tali aspettative saranno tuttavia disattese in quanto il racconto procede in maniera lineare, con pochi picchi d'azione o particolari colpi di scena, facendo emergere il carattere contemplativo e malinconico del film.
La vera potenza della pellicola in questione, come spesso accade, si basa sulla forza e sul carisma degli attori di indubbio talento quali Christian Bale, Rosamund Rike, Wes Studi e Ben Foster. Bale ancora una volta riesce a portare sullo schermo un capitano Joe logorato dal peso dalla guerra e dalla violenza, dalla perdita e dal dolore che lo hanno trasformato in un uomo chiuso, silenzioso e solitario, stanco e rassegnato ma inaspettatamente ancora umano, empatico, fragile ed emotivo. Attraverso i suoi sguardi e i suoi lunghi silenzi, C. Bale riesce a trasmettere tutta la sofferenza muta e repressa del capitano Joe, confermandoci l'immensa bravura del'attore premio Oscar. La Pike dona spessore a una figura tragica, quasi uscita da una tragedia greca: quella di una donna devastata dal massacro della sua famiglia che tuttavia, mostrando una mirabile forza di volontà, si rifiuta di abbandonarsi al lutto e alla disperazione, cosi come si rifiuta di cedere al pregiudizio, o peggio al rancore e all'odio, nei confronti della famiglia indiana che viaggia con loro. Ricordandoci e riconfermandoci che il diverso non equivale sempre ad una minaccia. Lo straniero non è unicamente un selvaggio assassino.
Molto convincenti anche l'interpretazione di Foster, qui rilegato ad un ruolo minore ma comunque incisivo, rappresentando i residui di un'America ormai lontana, superata, assettata di sangue e guerrafondaia. Altresì Wes Studi incarna anch'egli perfettamente l'archetipo del nativo ormai anziano e saggio, pronto a lasciarsi alle spalle i trascorsi violenti, conscio che solo l'unione potrà garantire la sopravvivenza e la pacifica convivenza. Insieme ad un mosaico di personaggi e personalità diverse il regista riesce dunque a ricreare uno spaccato di società tremendamente attuale nella sua allegorica trasposizione, trasformando il viaggio in un'opportunità per conoscersi, redimersi, perdonarsi e accettarsi.
Supportato da atmosfere crepuscolari e nostalgiche che perfettamente si addicono al genere western, Cooper confeziona un prodotto veramente riuscito anche se non totalmente privo di toni didascalici e moralisti e altresì di alcuni passaggi narrativi pleonastici. Quello che realmente colpisce e resta impresso è il carattere antieroico del racconto, la consapevolezza degli errori commessi e sopratutto il desiderio di essere perdonati e di iniziare, insieme, una nuova pagina della Storia. Questo elemento assieme alle ottime performance del cast, alla fotografia mozzafiato di Takayanagi e alle musiche di Max Richter rendono un prodotto di buona fattura, un western dalle intenzioni d'oro.
Il finale potrà, giustamente, stordire, deludere e confondere lo spettatore, ma bisogna ammettere che è perfettamente coerente col messaggio di fondo che la pellicola vuole trasmettere allo spettatore. Un messaggio di speranza in un futuro migliore e specialmente in una società, una Nazione, più matura, saggia e unita che non ha paura di affrontare i propri errori passati, assumendosi le proprie colpe, ma che resta comunque proiettata verso il futuro, con unici bagagli l'ottimismo e la speranza. La scena conclusiva del film è quindi perfettamente in sintonia con la visione e il messaggio di S. Cooper, il quale parte dalla frase iniziale di D.H. Lawrence, pessimistica e stoica, riuscendo, narrativamente, a sfatarla e smentirla. Voto 3,5/5.
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loland10
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martedì 27 marzo 2018
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capitano e falco
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“Hostilies.Ostili” (Hosiles”, 2017) è il quarto lungometraggio del regista-sneggiatore-attore della Virginia Scott Cooper.
“La morte arriva quando vuole”.
In un’America (siamo nel 1892) da immaginario minimo e limitato, dove si vede qualche avamposto, ogni comando da eseguire con la bandiera a stelle e strisce che indica ogni strada da percorrere e il vuoto tra un assalto e una natura maestosa e meschina. Il sangue della vita degli eroi fasulli danno lacrime di fermezza e l’odore del pudore della morte saccheggiano ogni destino già prima di partire.
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“Hostilies.Ostili” (Hosiles”, 2017) è il quarto lungometraggio del regista-sneggiatore-attore della Virginia Scott Cooper.
“La morte arriva quando vuole”.
In un’America (siamo nel 1892) da immaginario minimo e limitato, dove si vede qualche avamposto, ogni comando da eseguire con la bandiera a stelle e strisce che indica ogni strada da percorrere e il vuoto tra un assalto e una natura maestosa e meschina. Il sangue della vita degli eroi fasulli danno lacrime di fermezza e l’odore del pudore della morte saccheggiano ogni destino già prima di partire. Pass e leggi, severità e capitano in un putiferio di polveri abbassate, di luci ammutolite e di distese roboanti di corpi da seppellire.
Incipit: inquadratura lontana, paesaggio povero, una casa di legno isolata, un nonno che sega un tronco, una madre e i figli, silenzio e pochi rumori di fondo, da dietro si odono il sentire di cavalli, bassa sulle zampe la ripresa, l’arrivo, tutto senza risparmio, ladri e furenti, fuoco e pallottole, la donna scappa con i figli, il nonno in difesa, morte atroce e spari su innocenti, la madre col pargolo in un bosco vicino, nascondimento, passi, silenzio e respiro trattenuto, arrivano le fiamme e tutto brucia mentre si allontanano i cavalli. Titolo.
Film funereo, implosivo; quando la rivalità estrema, di sangue rivoltante diventa amalgama e antipatia, poi l'accoglienza intensa è col nemico personale come col coltello squarciante un corpo conosciuto, ti accorgi che una nazione, un paese, una città e un terreno futuro rigoglioso nasce o può nascere da trucidi avvenimenti e fa duelli ravvicinati senza ripari e schemi. L'ultimo appiglio è di togliersi ma qualcuno manifesta coraggio a vivere o morire per qualcosa forse per un nulla. La voce con la sua legge comanda in ogni caso e si deve rispondere sì: deve accompagnare il capo Cheyenne, Falco Giallo (Wes Studi) e la sua famiglia verso le loro terre native, dal New Mexico al Montana. Una lunga traversata dove si mescolano i diritti di tutti, tra assalti, assalitori, indiani, nativi, militari e bambini.
Menzione di un terreno sconosciuto e del capitano che deve accettare una missione pericolosa. In un western poco incline al soporifero, in un dramma dove non c’è sconto per i bambini, in un’avventura sintetica e avara di spettacolo, “Hostiles” rimane un film avido e truce con linee di confine mai vicine e orizzonti imprecisi. La casa d’arrivo è una ‘terra desolata’ dove non esiste nessun presidente e legge: l’unica legge è il fuoco. “Toglietevi dalle palle”: ecco come si arriva ad una destinazione con protezione inutile e morte che tracima ogni poro di pelle. Senza sconti e con un treno in partenza. Un treno di fuoco e un treno di fumo che porta la speranza di una donna e di una bambina. Per Chicago in un emisfero di sogno represso.
Western di ordini e comandi, rari colloqui di respiro e attese di un domani. “Crede nel Signore” chiede Rosalie al Capitano mentre legge le Sacre Scritture. E un Capitano che usa forza e spirito, sangue e commozione per raggiungere l’ordine preso.
Christian Bale(Capitano Joseph J. Blocker) ha fatto molta strada, come attore, da quel 1987 ("Empire off the Sun" di Spielberg, appena tredicenne) e, sicuramente, continuerà a farla: una postura è un modo di recitare veramente attento e mai privo di rotondità affettive sopra le righe. Un capitano fermo, deciso, attento, fisso, lacrimato e riempitivo della scena, sia di fronte che di spalle o ancora meglio quando osserva, in silenzio, gli altri, gli amici, il corpo senza vita e un terreno privo con alcuni cumuli di eroi giornalieri seppelliti. È una donna (Rosalie) in carreggiata e presa in pattuglia che lascia il segno e decide il da farsi. Una madre (Rosamund Pike) priva di tutto, padre, marito e figli. Un grembo ancora pieno di sangue che vuole scavare con le proprie mani la sua tomba e quella del proprio piccolo ancora tra le sue braccia. Una casa bruciata e tutta annerita è stato il suo rifugio, il cielo stellato, adombrato è pieno d'acqua è stato il suo tetto per rutto il viaggio accanto ad un capitano che con gesti e massacri le ha ridato una speranza. L'ultima inquadratura, il suo rigirarsi, il prendere un viaggio, forse un treno che parte è un affetto verso persone sconosciute, da Butte in Montana: stranieri che si incontrano.
Musica rarefatta e mistica, poco incline alla sfaccettature dei luoghi, sembra partire ma poi si fa assente, ispira un pericolo in attesa e arriva quando (forse) non credi. Gli indiani in assalto non certamente stanno a guardare. Il sonoro è in ritardo perché un film può essere anche senza morte quando pensi di averla di fronte.
Ambientazione efficace; i cavalli che risalgono il bosco pieno di pioggia, quando penetrano le gole, quando rasentano l'orizzonte, quando accarezzano la natura nelle grandi vallate o vanno dentro alle acque di un fiume danno un segno di antico ma raccontano (anche) l'oggi con un respiro ansimante di scontro corpo a corpo.
Regia che ridisegna il gusto per un cinema classicheggiante.
Voto: 7½ /10 (***½).
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kimkiduk
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domenica 29 ottobre 2017
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piaciuto
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Western secondo me all'antica. C' è tutto in questo film: gli indiani buoni odiati dai bianchi ma con il loro orgoglio; gli indiani cattivi che scalpano anche i bambini; i bianchi cattivi quelli buoni e quelli che si redimono; l'onore, l'amore e la morte.
Cooper ripercorre la strada del bianco che deve redimersi nella sua facciata di fronte allo sterminio dei pellerossa americani, i nativi.
Storia certo fritta e rifritta ma non per questo non interessante.
Certo vederlo a Roma in anteprima mi ha sicuramente condizionato. sapere di essere il primo a vederlo o quasi ed avendo visto prima la Pike sul red carpet, un pò altera il giudizio.
Bale hanno detto quasi da Oscar e questo non lo credo, non è un film da ricordare nè interpretazioni memorabili.
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Western secondo me all'antica. C' è tutto in questo film: gli indiani buoni odiati dai bianchi ma con il loro orgoglio; gli indiani cattivi che scalpano anche i bambini; i bianchi cattivi quelli buoni e quelli che si redimono; l'onore, l'amore e la morte.
Cooper ripercorre la strada del bianco che deve redimersi nella sua facciata di fronte allo sterminio dei pellerossa americani, i nativi.
Storia certo fritta e rifritta ma non per questo non interessante.
Certo vederlo a Roma in anteprima mi ha sicuramente condizionato. sapere di essere il primo a vederlo o quasi ed avendo visto prima la Pike sul red carpet, un pò altera il giudizio.
Bale hanno detto quasi da Oscar e questo non lo credo, non è un film da ricordare nè interpretazioni memorabili.
La storia si dipana classicamente senza grosse sorprese con un finale direi scontato e banale.
Per chi ama il western vecchio stile --- quello direi di Ford (anche se lì i pellirossa sono sempre cattivi e basta) ma non certo quelli di Leone con i messicani e meno indiani, è da vedere.
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carloalberto
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venerdì 30 marzo 2018
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ennesimo western moraleggiante
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Inizio molto promettente, fuori dagli schemi, con indiani veramente cattivi e selvaggi, come non se vedevano da prima di “Piccolo grande uomo”. La scena iniziale è potente e drammatica. Lo sviluppo è, però, deludente, il plot si svolge a puntate, come i telefilm, con vari episodi cuciti insieme da un percorso ideale che porterà il protagonista al ripensamento sulle atrocità commesse nella guerra contro i nativi americani e a versare lacrime di coccodrillo sul genocidio appena consumato dai colonizzatori. Con il ritorno al canone ormai classico dell’indiano buono e saggio, il sentimentalismo moraleggiante prende il sopravvento e spegne sul nascere qualsiasi spunto di approccio originale al genere.
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Inizio molto promettente, fuori dagli schemi, con indiani veramente cattivi e selvaggi, come non se vedevano da prima di “Piccolo grande uomo”. La scena iniziale è potente e drammatica. Lo sviluppo è, però, deludente, il plot si svolge a puntate, come i telefilm, con vari episodi cuciti insieme da un percorso ideale che porterà il protagonista al ripensamento sulle atrocità commesse nella guerra contro i nativi americani e a versare lacrime di coccodrillo sul genocidio appena consumato dai colonizzatori. Con il ritorno al canone ormai classico dell’indiano buono e saggio, il sentimentalismo moraleggiante prende il sopravvento e spegne sul nascere qualsiasi spunto di approccio originale al genere. La civiltà, si fa per dire, rappresentata da uno dei primi treni, porterà via il rimorso e segnerà l’inizio del riscatto nel segno dell’amore che su tutto trionfa. Doppiaggio frettoloso con traduzione a tratti imbarazzante, come mettere in bocca a un criminale veterano di guerra il termine desueto “i belligeranti”. Buona la fotografia ed ottima la recitazione di Christian Bale e di Rosamund Pike, nonostante la sceneggiatura, che fa del primo un duro troppo piagnucoloso e della seconda una madre privata di tre figli che si consola in modo poco credibile assai velocemente. Ennesimo western moralista con autocritica più che tardiva e, come spesso accade, sdolcinata sullo sterminio dei nativi americani, cattivi o buoni che fossero.
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l''inquilinadelterzopiano
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sabato 28 ottobre 2017
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la migliore apertura degli ultimi anni a romaff12
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Il patriottismo americano lascia il posto all'universalità del conflitto dell'uomo
Si è aperta giovedì scorso la dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma con Hostiles, il western drammatico di Scott Cooper con Christian Bale, Rosamunde Pike e Wes Studi.
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Il patriottismo americano lascia il posto all'universalità del conflitto dell'uomo
Si è aperta giovedì scorso la dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma con Hostiles, il western drammatico di Scott Cooper con Christian Bale, Rosamunde Pike e Wes Studi.
Siamo nel 1892 e un uomo sta tagliando della legna fuori della sua abitazione in campagna. All'interno una donna sta insegnando gli avverbi a due bambine. Poi arrivano gli indiani, vogliono rubare i cavalli e saccheggiare la casa. La sequenza iniziale scaraventa immediatamente lo spettatore in un clima minaccioso di violenza, sangue e terrore. Il prologo di Hostiles è cinema d'azione ma non solo, allo stesso tempo c'è il western (la minaccia dello straniero, l'ambientazione campestre) e il melodramma familiare (una famiglia distrutta). In pochi minuti e tanta tensione Scott Cooper getta le basi per una storia emozionante, trascinante, umana.
Dopo lo scoppio iniziale, il film presenta una situazione solo apparentemente meno violenta, stiamo entrando nell'ufficio dove un leggendario capitano dell'esercito (Christian Bale) verrà costretto ad accettare l'incarico di scortare un capo guerriero Cheyenne in punto di morte (Wes Studi) e la sua famiglia nella loro terra natìa.
Sono molti gli omaggi al grande padre del western americano (John Ford), specialmente al suo Sentieri selvaggi, rimandi non solo estetici come le famose inquadrature dall'interno verso l'esterno con i personaggi incorniciati (di fatto intrappolati) da porte e finestre. Soprattutto il personaggio di Christian Bale ricorda il John Wayne solo e disilluso, tanto eroe nel campo quanto sconfitto come essere umano. Il capitano interpretato da Bale però non è l'uomo duro senza lacrime di Ford, è anzi mostrato in tutta la sua fragilità ed emotività. Egli è un uomo traumatizzato che ha perso tanti affetti nel corso della sua vita, difatti entra subito in empatia con il personaggio interpretato da Rosamunde Pike, anch'ella scioccata dalla recente tragedia.
Il "mito della frontiera" assume dunque una nuova accezione. Il viaggio verso un'altra terra, tra scontri, imprevisti, lotta per la sopravvivenza, ora diventa il pretesto per narrare le paure, le fragilità e la disperazione ma anche la solidarietà e l'umanità che si acquisiscono con il dialogo e la conoscenza del "diverso".
Tratto dal manoscritto di Donald E. Stewart, Hostiles di Scott Cooper vuole essere un grido silenzioso, come le emozionanti scene in cui la sofferenza del capitano è espressa solamente tramite la musica coinvolgente di Max Richter, i ralenti e le immagini di uno straziato Christian Bale.
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eugenio
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mercoledì 28 febbraio 2018
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in viaggio verso se stessi
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Homo homini lupus diceva Hobbes. Ovvero il più debole soccombe naturalmente al più forte.
E ancora: Nella sua essenza, l’anima americana è dura, solitaria, stoica e assassina. Finora non si è mai ammorbidita. Così parlava H.D. Lawrence e così è riportato all’inizio di Hostiles- Ostili, ultimo film di Scott Cooper.
La prima scena ci mostra ex-abrupto un precetto di queste amare sentenze: lo sterminio barbaro di una famiglia, due figli e un uomo da parte di un gruppo di ladri di cavalli Comanche e il miracoloso salvataggio di una donna, Rosalie (Rosamund Pike) e del suo figlio appena nato, scampati all’uccisione.
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Homo homini lupus diceva Hobbes. Ovvero il più debole soccombe naturalmente al più forte.
E ancora: Nella sua essenza, l’anima americana è dura, solitaria, stoica e assassina. Finora non si è mai ammorbidita. Così parlava H.D. Lawrence e così è riportato all’inizio di Hostiles- Ostili, ultimo film di Scott Cooper.
La prima scena ci mostra ex-abrupto un precetto di queste amare sentenze: lo sterminio barbaro di una famiglia, due figli e un uomo da parte di un gruppo di ladri di cavalli Comanche e il miracoloso salvataggio di una donna, Rosalie (Rosamund Pike) e del suo figlio appena nato, scampati all’uccisione.
Poi la scena cambia. Ci spostiamo nei tormenti mentali del capitano Joe Blocker (Christian Bale) che giunto alla soglia della pensione è incaricato, su ordine del presidente degli Stati Uniti -pena una condanna alla corte marziale- di condurre dal Nuovo Messico fino al Montana il capo Cheyenne Falco Giallo, in fin di vita per una malattia terminale. Una beffa proprio per un uomo che durante la guerra non ha esitato a massacrare, spinto dall’odio più profondo, decine di indiani, animato da propositi di vendetta, appagata solo quando il sangue di persone amate, fosse pagato con altro sangue, versato su desertici sentieri polverosi.
Joe, accompagnato da un silenzioso drappello e da tre prigionieri indiani troverà nel suo cammino di redenzione la silenziosa Rosalie, ne condividerà il triste destino, quello di anima solitaria dagli occhi tristi, offuscata dall’aura gelida della morte in un territorio che non perdona e dove la guerra tra popoli si tramuta in una spirale d’odio senza fine, mossa solo dagli incubi della ragione.
Incubi che generano mostri nel nome della nuova politica federale di umanità e riconciliazione coi popoli sterminati fino a poco prima.
Il viaggio come strumento di conoscenza, l’occasione di rinascita, la scoperta dei limiti della propria consapevolezza, la dignità umana e il potere della pace. Ecco cosa succede in soldoni, in questo western cupo, dai dialoghi serrati come colpi di fucile.
Un film che sa di già visto, di una storia trasposta in decine di pellicole. Il comportamento di Falco Giallo, al termine protettivo dei confronti del suo carnefice, i tumulti interiori del protagonista, le crisi di coscienza dell’amico commilitone, la lotta insensata nel segno di una violenza immotivata, spesso più da parte dei “bianchi” che degli “indiani” e le maschere di baldanza di soldati prepotenti e arroganti sono il contesto in cui si muovono Joe e la sua truppa sullo sfondo di un tramonto rosso-sangue. Che non nasconde fuochi in mezzo alle mese, notti in tenda, silenzio di volti rassegnati e tanto tanto conformismo, quello vacuo delle alte cariche militari unito ad un sentimento di falsa speranza.
Una pecca non da poco? La sceneggiatura non sempre a supporto della riuscita fotografia e dell’ottimo montaggio.
Ci consoliamo con due aggettivi che ben caratterizzano Hostiles: contemplativo e riflessivo. Una contemplazione, figlia di efferatezze senza fine, che si concentra sugli sguardi dei protagonisti (senza pietà all’inizio, poi via via più “morbidi” sino a un finale che capovolge ogni certezza), per mostrarli sotto la luce di un paesaggio naturale ben fotografato dal giapponese Masanobu Takayanagi.
Sospeso in un silenzio quasi poetico, interrotto dal buio di ombre nella notte, Hostiles è un tuffo nei territori di frontiera di fine ottocento, in cui sembra quasi di respirare l’aria brucente del deserto, avvertire il soffio caldo del libeccio e ridestarsi dopo un placido torpore, col cuore in tumulto per gli schiamazzi di un attacco indiano improvviso e letale.
Ritratto dell’animo americano, solitario, stoico e assassino, il film di Cooper, malgrado qualche caduta di stile e una lieve parentesi retorica di Christian Bale che tolta la maschera dell’uomo pipistrello, si muove abbastanza a suo agio in quella di capitano, stringe un legame molto forte con i protagonisti femminili: dalla Rosamund Pike, vedova inconsolabile e assetata di vendetta alle native americane che accompagnano i nostri eroi verso un incerto futuro, idilliaco e chimerico, dove vivere anzi sopravvivere non significa necessariamente uccidere.
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felicity
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mercoledì 28 novembre 2018
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western moderno e riflessivo
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Un western moderno e riflessivo che vive sulla doppia dimensione dell’azione e della parola.
Un film dal passo quieto e misurato, incendiato da conflitti improvvisi, potenziato nei panorami di grandezza classica e dilatato nella profondità dei dialoghi.
Un western crepuscolare dall’animo progressista che di fatto contestualizza il problema razziale dell’America dei giorni nostri.
Da vedere per la performance di Christian Bale.
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fabio
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giovedì 4 aprile 2019
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western malinconico e attuale
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Chi si aspetta azione, sparatorie e corse a cavallo resterà deluso. Non è questo il film: poche le scene violente e mai gratuite ma "obbligate" dalle necessità del racconto. Spesso girate in campo lungo, testimoniano la volontà di non indulgere in scene cruente; oppure troviamo la scena dramatica con l'azione già conclusa.
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Chi si aspetta azione, sparatorie e corse a cavallo resterà deluso. Non è questo il film: poche le scene violente e mai gratuite ma "obbligate" dalle necessità del racconto. Spesso girate in campo lungo, testimoniano la volontà di non indulgere in scene cruente; oppure troviamo la scena dramatica con l'azione già conclusa.
In racconto assume toni malinconici e dolenti: il dolore per le atrocità a cui si si è dovuto assistere o prendere parte è qualcosa di inesprimibile. La follia è negli occhi di tutti.
Ovviamente non esiste divisione netta tra buoni e cattivi: nessuno può giudicare le colpe altrui ma questo non significa assoluzione ma solo un confronto muto tra futuri "americani" sulle loro vite travolte dal corso della storia.
L'unico respiro in questa cappa opprimente è dato dal paesaggio naturale, sconfinato e selvaggio: la frontiera smitizzata, un luogo dove muoiono i protagonisti dell'epoca della "conquista" e nasce una nazione.
Il genere western, dato sempre per morto, dimostra ancora una volta il proprio fascino e la capacità di raccontare il passato ma anche di riflettere sul presente: i temi dell'immigrazione e del confronto tra civiltà diverse, la paura della sopraffazione ma anche l'istinto di predominio, si rincorrono per tutte le due ore della pellicola rendendola attuale.
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stenoir
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martedì 31 dicembre 2019
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una fotografia che lascia a bocca aperta
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1892. Il Capitano Blocker (Christian Bale, inutile sottolinearne la bravura) ha il compito e, nonostante il rifiuto, è costretto causa corte marziale, di scortare un cheyenne, Falco Giallo (Wes Studi) e la sua famiglia dal New Mexico al Montana, perché malato, nel posto in cui andare a morire. Il rifiuto categorico da parte del Capitano deriva dal fatto che Falco giallo, in passato, gli ha ammazzato molti amici/compagni, e doverlo accompagnare, gli sembra ingiusto e beffardo. L’indecisione di inserire questo film di Scott Cooper tra i migliori dieci visti nell’anno 2019, era dovuta “solamente” ad una scelta di sceneggiatura: gli antagonisti infatti, da come sono presentati tramite i racconti, sembra che non aspettino altro che eliminarsi a vicenda, ma forse una presa di coscienza e altri avvenimenti accaduti durante il viaggio, tra cui il salvataggio di una donna sopravvissuta (Rosamund Pike) alla strage della propria famiglia, da parte di una tribù indiana, cambiano drasticamente i caratteri di entrambi.
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1892. Il Capitano Blocker (Christian Bale, inutile sottolinearne la bravura) ha il compito e, nonostante il rifiuto, è costretto causa corte marziale, di scortare un cheyenne, Falco Giallo (Wes Studi) e la sua famiglia dal New Mexico al Montana, perché malato, nel posto in cui andare a morire. Il rifiuto categorico da parte del Capitano deriva dal fatto che Falco giallo, in passato, gli ha ammazzato molti amici/compagni, e doverlo accompagnare, gli sembra ingiusto e beffardo. L’indecisione di inserire questo film di Scott Cooper tra i migliori dieci visti nell’anno 2019, era dovuta “solamente” ad una scelta di sceneggiatura: gli antagonisti infatti, da come sono presentati tramite i racconti, sembra che non aspettino altro che eliminarsi a vicenda, ma forse una presa di coscienza e altri avvenimenti accaduti durante il viaggio, tra cui il salvataggio di una donna sopravvissuta (Rosamund Pike) alla strage della propria famiglia, da parte di una tribù indiana, cambiano drasticamente i caratteri di entrambi. Perché per il resto, il film (incipit, scene di violenza -ma mai ‘gratuite’-, paesaggi meravigliosi e soprattutto la fotografia grandiosa di tale Masanobu Takayanagi) è meritevole di far parte di questa classifica.
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ennepi
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venerdì 11 giugno 2021
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un film capolavoro
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Ed ecco perchè:
Voglio consigliare a tutti i miei amici un film del 2018, un western, Hostiles, di eccezionale bellezza, coerenza e solidità narrativa. Il film rientrerebbe nel genere Western, ma non è un Western nel senso più banale del termine. Si tratta invece di un autentico capolavoro, di una macchina filmica in grado di regalare significati e considerazioni etiche e morali non indifferenti. Qui non ci troviamo ad assistere allo scontro tra i buoni (solitamente i bianchi) e i cattivi (solitamente gli indigeni o pellerossa). E questo perché la vicenda mette subito in chiaro come i soggetti ritratti portino con sé una angoscia esistenziale che solo una vita autentica, vera può conferire e quindi la rappresentazione delle vicende va al di là di tutti i possibili stereotipi e/o di ogni pruderie political correct.
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Ed ecco perchè:
Voglio consigliare a tutti i miei amici un film del 2018, un western, Hostiles, di eccezionale bellezza, coerenza e solidità narrativa. Il film rientrerebbe nel genere Western, ma non è un Western nel senso più banale del termine. Si tratta invece di un autentico capolavoro, di una macchina filmica in grado di regalare significati e considerazioni etiche e morali non indifferenti. Qui non ci troviamo ad assistere allo scontro tra i buoni (solitamente i bianchi) e i cattivi (solitamente gli indigeni o pellerossa). E questo perché la vicenda mette subito in chiaro come i soggetti ritratti portino con sé una angoscia esistenziale che solo una vita autentica, vera può conferire e quindi la rappresentazione delle vicende va al di là di tutti i possibili stereotipi e/o di ogni pruderie political correct. Qui non ci sono diligenze da salvare, fanciulle bianche indifese da proteggere, c’è invece una Tranches de vie avrebbe detto Émile Zola che più autentica non si può. Ci sono le persone che sono il contrario di quello che ci si può aspettare, e ci sono gli autentici farabutti, capacissimi di rimanere tali fino al giorno del giudizio universale perché chiusi nei propri pregiudizi. Ci sono gli uomini, le donne, in carne e sangue e non con il proprio cervello ottuso dalle mode del momento. In una delle scene più toccanti la moglie del comandante di un forte snocciola la propria edificante tiritera su quanto grandi siano le responsabilità nella, cattivissima, gestione del problema dei nativi d’America da parte delle autorità governative USA. Tutto vero, ma quanto falsa già all’epoca doveva suonare questa teorica e parolaia ammissione di colpevolezza! Peccato che oggetto della lezioncina sia però anche una donna, una Rosamund Pike completamente immersa nel proprio, non facile, ruolo la cui famiglia è stata da poco completamente massacrata da una banda di Comanches. E peccato anche che quella stessa donna non potrà non riconoscere via via che la vicenda prosegue che il gruppo di indiani con cui si trova costretta a viaggiare insieme all’ufficiale comandante protagonista del film, siano sì pellerossa pure loro, ma di tutt’atra pasta e di tutt’altra umanità. E pure l’ufficiale passerà da un comportamento più che aggressivo perché memore delle sofferenze patite nelle guerre indiane, ad una consapevolezza che quel nemico tanto detestato non è, in realtà, diverso da lui, poiché entrambi sinceri e leali nell’avere combattuto per il proprio paese, costretti dalle vicende vere e non immaginarie che la vita propose loro. In una parola il comandante impersonato da un gigantesco Christian Bale e il capo Cheyenne, impersonato da Wes Studi che deve essere riportato nelle proprie terre d’origine, riescono, sia pure giunti al limite della propria esperienza terrena e dopo essersi in passato combattuti accanitamente, a riscoprire l’uno nell’altro la propria umanità e a rispettarsi vicendevolmente. Il film non concede alcuna scena edificante, i soggetti umani sono così consapevoli del vero valore della vita umana e di quello che significa onore, fedeltà che non arretrano neanche di un passo nel mostrare l’accettazione a viso aperto, del proprio destino fino all’estreme conseguenze. Un coraggio e una volontà frutto di una superiore legge morale eroicamente introiettata. Dispiace avere letto delle critiche i cui autori, evidentemente, non hanno saputo leggere tra le righe, non hanno apprezzato alcune lentezze della narrazione, pochissime in verità. Viene voglia a volte leggendo tali recensioni, in verità, se si va a vedere un film per ricevere qualcosa da quel film, o se al contrario, cestone di pop corn al fianco, per tutt’altri motivi. E un’ultima notazione va fatta, l’epopea western è il mito fondativo dell’identità USA, al fondo, occorre non dimenticarlo mai, esso è un mito di libertà, di affermazione della propria umanità. Sappiamo bene come questo mito coesista con il massacro generalizzato dei nativi d’America, ma bisogna rifuggire dalle tagliole manichee. Questo grande film ci fa imparare a come provarci. In questi giorni di forzata permanenza cercate di vederlo, io l’ho visto in originale inglese, sottotitolato e in italiano, le differenze nel parlato, nella resa del sonoro non ne impedisce la comprensione. Può essere necessario vederlo due volte, ne varrà la pena.
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