Hostiles - Ostili |
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Un film di Scott Cooper.
Con Christian Bale, Rosamund Pike, Wes Studi, Adam Beach.
continua»
Titolo originale Hostiles.
Avventura,
Ratings: Kids+13,
durata 127 min.
- USA 2017.
- Notorious Pictures
uscita giovedì 22 marzo 2018.
MYMONETRO
Hostiles - Ostili
valutazione media:
2,93
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Viaggio verso la Rinascita di una Nazione.di Ashtray_BlissFeedback: 29534 | altri commenti e recensioni di Ashtray_Bliss |
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domenica 25 febbraio 2018 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Scott Cooper
torna a collaborare nuovamente con Christian Bale dopo il dramma cupo, rurale e violento di Out of the Furnace (2013) che metteva in evidenza i problemi e i contrasti della perifria americana emarginata, povera, burbera e violenta. Questa volta invece si guarda indietro verso il passato americano, e il racconto, di più ampio respiro e dal notevole peso storico e morale, volge le sue attenzioni alla antica rivalità, ostilità (come da titolo) e deriva violenta tra i popoli nativi e gli americani bianchi. Un esame di coscienza, in pratica, una riflessione accompagnata dall'autocritica sentita e necessaria, un imperativo morale obbligatorio specialmente nei tempi correnti (post Trump), instabili e insicuri, alimentati da un'ondata subdola e implosiva di bieca violenza, razzismo e incomprensione tra la popolazione e le sue comunità.Hostiles funge dunque da tentativo, indubbiamente riuscito anche se non esente da relativi difetti, di ristabilire l'equilibrio tra colpevoli e vittime, tra soldati senza scrupoli e selvaggi, tra assassini e uomini perbene di ambedue le parti. Un equilibrio che spesso nel corso della storia si è perduto, alternando continuamente i ruoli di vittima e carnefice con un bilancio pesante a sfavore dei nativi. Cooper affonda le mani nelle ferite del passato, nel tentativo di redimere ed espiare le colpe di una intera nazione che ha barbaramente represso e sterminato le popolazioni indigene; i nativi, i pellerossa come venivano chiamati in senso sprezzante. Attraverso un'epopea western rigorosa che guarda costantemente ai classici degli anni passati, favorendo e omaggiando il cinema di J. Ford, il regista affronta con saggezza il tema del confronto tra nativi e bianchi, dell'odio che genera una insensata spirale di violenza e incomprensione, della perdita, sofferenza e disperazione anche se la vera essenza e anima del film è quella che omaggia la grandezza dello spirito umano, universale e trascendentale, che riesce a riscoprire se stesso, superando le avversità e gettando le basi per una convivenza pacifica. Quello spirito umano che sapientemente sostituisce la divisione con l'unione, l'odio con l'accettazione e la reciproca comprensione, il nichilismo e la rassegnazione con la speranza verso il futuro. Supportato da una fotografia suggestiva ed esteticamente ammaliante emerge un'America paesaggisticamente splendida, ruvida e selvaggia al tempo stesso, che alterna il deserto assolato del New Mexico con le valli e i canyon, passando per le cupe terre boschive del Montana seguendo il percorso dei protagonisti. La storia infatti vuole che un capitano ormai prossimo alla pensione e provato dalle innumerevoli guerre contro i pellerossa, Joe Blocker, accompagni un ormai anziano e malato capo Cheyenne nsieme alla sua famiglia, indietro nelle loro terre natie nella Valle degli Orsi del Montana. Le ferite del passato riemergono subito per lo stoico capitano che inizialmente si rifiuta di scortare il "nemico" ma si piegherà davanti ad un ordine firmato dal presidente stesso. Questo pretesto, essenziale e scarno quanto basta per allinearsi alla tematica western, serve a raccontare un viaggio d'introspezione e redenzione che avvicinerà progressivamente i personaggi tra loro. Durante il cammino si aggiungerà al gruppo di soldati anche una giovane donna che ha visto la sua famiglia sterminata per mano di una banda di indiani Comanche. La sequenza in questione è quella d'apertura, che provoca un notevole impatto visivo ed emotivo nello spettatore che si predispone ad un western rozzo e violento. Tali aspettative saranno tuttavia disattese in quanto il racconto procede in maniera lineare, con pochi picchi d'azione o particolari colpi di scena, facendo emergere il carattere contemplativo e malinconico del film. La vera potenza della pellicola in questione, come spesso accade, si basa sulla forza e sul carisma degli attori di indubbio talento quali Christian Bale, Rosamund Rike, Wes Studi e Ben Foster. Bale ancora una volta riesce a portare sullo schermo un capitano Joe logorato dal peso dalla guerra e dalla violenza, dalla perdita e dal dolore che lo hanno trasformato in un uomo chiuso, silenzioso e solitario, stanco e rassegnato ma inaspettatamente ancora umano, empatico, fragile ed emotivo. Attraverso i suoi sguardi e i suoi lunghi silenzi, C. Bale riesce a trasmettere tutta la sofferenza muta e repressa del capitano Joe, confermandoci l'immensa bravura del'attore premio Oscar. La Pike dona spessore a una figura tragica, quasi uscita da una tragedia greca: quella di una donna devastata dal massacro della sua famiglia che tuttavia, mostrando una mirabile forza di volontà, si rifiuta di abbandonarsi al lutto e alla disperazione, cosi come si rifiuta di cedere al pregiudizio, o peggio al rancore e all'odio, nei confronti della famiglia indiana che viaggia con loro. Ricordandoci e riconfermandoci che il diverso non equivale sempre ad una minaccia. Lo straniero non è unicamente un selvaggio assassino. Molto convincenti anche l'interpretazione di Foster, qui rilegato ad un ruolo minore ma comunque incisivo, rappresentando i residui di un'America ormai lontana, superata, assettata di sangue e guerrafondaia. Altresì Wes Studi incarna anch'egli perfettamente l'archetipo del nativo ormai anziano e saggio, pronto a lasciarsi alle spalle i trascorsi violenti, conscio che solo l'unione potrà garantire la sopravvivenza e la pacifica convivenza. Insieme ad un mosaico di personaggi e personalità diverse il regista riesce dunque a ricreare uno spaccato di società tremendamente attuale nella sua allegorica trasposizione, trasformando il viaggio in un'opportunità per conoscersi, redimersi, perdonarsi e accettarsi. Supportato da atmosfere crepuscolari e nostalgiche che perfettamente si addicono al genere western, Cooper confeziona un prodotto veramente riuscito anche se non totalmente privo di toni didascalici e moralisti e altresì di alcuni passaggi narrativi pleonastici. Quello che realmente colpisce e resta impresso è il carattere antieroico del racconto, la consapevolezza degli errori commessi e sopratutto il desiderio di essere perdonati e di iniziare, insieme, una nuova pagina della Storia. Questo elemento assieme alle ottime performance del cast, alla fotografia mozzafiato di Takayanagi e alle musiche di Max Richter rendono un prodotto di buona fattura, un western dalle intenzioni d'oro. Il finale potrà, giustamente, stordire, deludere e confondere lo spettatore, ma bisogna ammettere che è perfettamente coerente col messaggio di fondo che la pellicola vuole trasmettere allo spettatore. Un messaggio di speranza in un futuro migliore e specialmente in una società, una Nazione, più matura, saggia e unita che non ha paura di affrontare i propri errori passati, assumendosi le proprie colpe, ma che resta comunque proiettata verso il futuro, con unici bagagli l'ottimismo e la speranza. La scena conclusiva del film è quindi perfettamente in sintonia con la visione e il messaggio di S. Cooper, il quale parte dalla frase iniziale di D.H. Lawrence, pessimistica e stoica, riuscendo, narrativamente, a sfatarla e smentirla. Voto 3,5/5.
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